Giulio Regeni è morto di sete. Di quella sete di diritti e notizie, mettendoci dentro le mani piuttosto che dedicandosene come se fosse un safari da turista disincantato. E avere sete nei Paesi in cui è obbligatorio dichiararsi sazi è peccato mortale. Letteralmente mortale. Eppure le parole della madre durante il funerale di Giulio, uno dei nostri soliti funerali dove non ci sono colpevoli e alla fine sembrano colpevoli solo i morti, avrebbero dovuto farci venire l’acquolina in bocca, svegliarci fastidiosi come unghie sulla lavagna, spingerci a masticarci il cranio per recuperare anche l’ultima scheggia più piccola delle unghie che Giulio ha perso in giro, ritrovare i suoi capelli, riportarsi a casa anche le orme delle macchie di sangue, se possibile.
Ci vorrebbe un decreto che impedisca di commemorare qualcuno finché non c’è almeno una storia potabile da raccontare. Qualcosa come una sospensione del cordoglio per non disperdere nemmeno un centimetro di energie che servono per la verità, bisognerebbe vietare per legge la corsa al pianto saltando a piè pari la giustizia. Piangiamolo, ricordiamolo, onoriamolo, raccontiamolo e poi vedremo, non ci accontenteremo, andremo fino in fondo: i parenti dei morti ammazzati rimangono appesi al tempo di mezzo che sta tra lo Stato che piange e lo Stato che indagherà. Sospesi. Sotto vuoto. Attoniti.
L’ultima unghia strappata a Giulio è l’enorme bugia di chi ha sperato che una confusa narrazione di ipotetici servizi segreti potesse impantanarne la storia tra quelle cose losche che inorridiscono molto meno. L’ultima sigaretta spenta addosso è quest’Egitto che crede davvero di poterci perculare con quella risata prepotente di chi sta piazzando un pacco all’ennesimo rimbambito. L’ultima tortura è questa indagine strabica che indaga il morto. Al contrario. Ancora una volta. Ancora su un altro morto.
Io non so voi ma io volo via di rabbia quando tutto avviene dietro al palco mentre in scena si stiracchia la solita storia “ben altra” buona per la messinscena. Mi verrebbe voglia di alzarmi dalla platea e strappare le quinte per vederli, mostrarli a tutti, guardarli negli occhi quegli unti e potenti che concordano una possibile rappresentazione. Questione di sete. Appunto.
E allora forse sarebbe il caso, in questi giorni tutti tiepidi di eroi finiti in fiction, in prima serata, in pasto alle famiglie, sarebbe bello promettersi che un fiction su Giulio non gli permettiamo di scriverla. Proviamo a pretendere, se non una diretta, almeno una differita minima. Poi all’epopea ci pensiamo, dai. E custodiamo la sete.
Buon giovedì.