Un referendum per respingere il piano Ue di ricollocazione dei rifugiati. È questa l’ultima scelta del governo ungherese, che ha fatto della crisi uno dei suoi cavalli di battaglia nello scontro con Bruxelles. Dopo il via libera della Corte di Giustizia Suprema, anche il Parlamento ungherese ha approvato, con 136 voti favorevoli su 199, la proposta di far votare ai cittadini un referendum anti-rifugiati. La consultazione, che si dovrebbe tenere il prossimo autunno, verterà sulla legittimità del programma europeo di spartizione di quote di profughi tra Paesi membri. Lo scorso settembre Budapest era già parte del quartetto – insieme a Repubblica Ceca, Romana e Slovacchia – ad aver fortemente criticato e respinto l’accordo. «Siete d’accordo, anche senza l’autorizzazione del Parlamento nazionale, ad accogliere quote di cittadini stranieri ricollocati dall’Unione europea?» è il quesito che verrà posto ai cittadini ungheresi.
A favore del «No» è il Primo Ministro, Viktor Orban, principale proponente dell’iniziativa e strenuo difensore dei confini nazionali. «Ho deciso di tenere il referendum perché l’Unione Europea non ha il diritto di ridisegnare l’identità culturale dell’Europa» – ha tuonato a febbraio Orban, a capo di un governo di destra dalle forti tinte nazionaliste e autoritarie – «Non possiamo adottare, all’insaputa dei cittadini e contro il loro volere, decisioni che cambieranno le loro vite e quelle delle generazioni future».
Per diventare vincolante il referendum ha bisogno di un quorum del 50% + 1 dei votanti. Ma la vittoria del «No» è comunque molto probabile. Innanzitutto per l’appoggio che danno al referendum il governo e il partito di maggioranza relativa, la conservatrice Fidesz, che nell’ultima tornata elettorale del 2014 ha ottenuto il 44% delle preferenze. Anche i sondaggi incoraggiano la linea governativa: secondo l’agenzia di stampa Szazadvég, ben l’84% degli ungheresi sarebbe favorevole al «No», mentre solo il 10% voterebbe «Si». Ma la cosa più incredibile è quel 57% di elettorato che si dichiara «di sinistra» schierato contro il piano europeo.
E se da una parte l’Europa si sta lacerando al suo interno e rischia la sua stessa sopravvivenza per la crisi dei migranti, dall’altra i 28 paesi membri hanno firmato all’unanimità un accordo con la Turchia, che prevede il respingimento dei migranti nel caso in cui non facciano richiesta di asilo in Grecia prima di sbarcare in territorio europeo. Ankara ha chiesto in cambio della “gestione dei flussi” la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi che entrano in Unione Europea e aiuti per sei miliardi di euro.
La denuncia di Human Rights Watch sulle violenze alla frontiere turco-siriana
Nel frattempo aumentano le denunce delle organizzazioni internazionali sul modo in cui l’Europa tratta i rifugiati. In questo caso la critica è a A lanciare l’ultimo allarme è Human Rights Watch: secondo cui le autorità turche «sostengono di accogliere i rifugiati siriani a braccia aperte. Ma le guardie di frontiera tentano di respingere con la forza i profughi, talvolta uccidendoli».
Human Rights Watch ha intervistato vittime e testimoni coinvolti in sette incidenti tra la prima settimana di marzo e il 17 aprile. Dai racconti emerge una realtà inquietante. “Siamo scappati da Aleppo dopo i bombardamenti”, racconta Abdullah, uno degli intervistati – “Le guardie di confine al valico non ci lasciavano passare, ci siamo rivolti a un contrabbandiere che ci ha portati più vicini, ma ci hanno sparato addosso una serie di colpi». Con i nostri corpi abbiamo protetto bambini, ma mia sorella e mio cugino di fianco a me sono stati colpiti, e sono morti.”
L’organizzazione aveva già denunciato le autorità di Ankara il mese scorso, accusandole di aver ucciso 5 persone che stavano oltrepassando la frontiera, tra cui un ragazzo di 15 anni, e di averne ferito altre 14 (tra cui tre bambini, di età compresa tra 3, 5, e 9), di cui 6 in maniera grave.
Il 4 maggio Human Rights Watch ha inviato una lettera con questi risultati al ministro degli interni turco chiedendo alla Turchia di indagare sulle accuse e di fermare l’uso della forza, invitandola alla riapertura effettiva dei confini.
Inoltre, i primi effetti dell’accordo Ue – Turchia (contrario secondo gli esperti al diritto internazionale – Ankara non ha mai ratificato la Convenzione di Ginevra mentre tutti i paesi Europei l’hanno fatto) cominciano a sentirsi: gli arrivi dei profughi in Grecia sono drasticamente diminuiti da inizio anno (67mila a gennaio, 57mila a febbraio, 26mila a marzo e solo 3500 ad aprile). Inoltre oltre 400 migranti sono stati riammessi in Turchia.
Il video di HRW con le testimonianze dei rifugiati siriani (Attenzione, contiene immagini che potrebbero urtare la vostra sensibilità)