Quello del Foglio è un appello disperato: «Che a nessuno venga in mente, dopo gli avvisi di garanzia a Federico Pizzarotti e Filippo Nogarin e ai loro assessori, di fare tabelloni e liste d’indagati grillini. Quelle sono cose che fa il Movimento 5 stelle con una furia giustizialista che non tiene conto dei princìpi basilari dello stato di diritto e in molti casi neppure della decenza».
Il suo nome nella “piovra” dei condannati: Cioni querela Di Battista e Piazza Pulita https://t.co/zid0adugyA
— Marcello Lopez (@PiramideRossa) 13 maggio 2016
E però è proprio quello che sta accadendo in queste ore, con il caso Nogarin prima e adesso quello di Pizzarotti, sindaco di Parma, a cui è arrivato un avviso di garanzia per abuso d’ufficio – un classico per un sindaco – per le nomine dei vertici del Teatro Regio. Il partito democratico sta gareggiando sul crinale del giustizialismo – precisando però sempre di esser garantisti – con il Movimento 5 stelle.
In 13 comuni su 17 il #M5S ha avuto problemi: inchieste, dimissioni o espulsioni: sono oltre il 75% #malgoverno5stelle
— Francesco Nicodemo (@fnicodemo) 12 maggio 2016
L’obiettivo del Pd è dimostrare che i 5 stelle non sono in grado di governare, con una classe dirigente improvvisata, alla vigilia delle elezioni. E si vuole colpire l’asse portante del Movimento nato dal VaffaDay, la rivendicata superiorità morale. L’accusa è invece di doppia morale, e non la riduce il fatto che il Movimento 5 stelle abbia sospeso, dopo ore di attesa, Pizzarotti. Sospendere Pizzarotti e non Nogarin, anzi è un’aggravante. Il capogruppo dem alla Camera, Ettore Rosato, ad esempio, dice così alla Stampa: «C’è un giustizialismo schizofrenico nel M5S. Fino a ieri un avviso di garanzia era una condanna, soprattutto se recapitato a un amministratore Pd. Poi, con i guai di Nogarin, è stato declassato, diventando una circostanza da valutare caso per caso. E oggi, con Parma, Virginia Raggi dice che è un manganello in mano alla magistratura».
Da Di Maio a Raggi #doppiamoralea5stelle – https://t.co/iYAxxhZRqq pic.twitter.com/Fh4xGE1RXO
— Partito Democratico (@pdnetwork) 12 maggio 2016
In effetti l’inflessibilità dei 5 stelle non sembra più tale a sentire ciò che la candidata a Roma Virginia Raggi ha detto al Corriere: «Noi la questione morale la affrontiamo caso per caso. Una cosa è essere indagati per diffamazione, altro è un abuso d’ufficio, o la corruzione, la truffa. La legalità non può essere usata strumentalmente contro una forza politica: siamo onesti ma non siamo sciocchi. Se poi cadremo sotto la scure, vedremo. Ma io sono quella che vedete, vado in giro a testa alta. Gli avvisi di garanzia non possono essere usati come manganelli». Rispetto a quello che diceva Luigi Di Maio a dicembre 2015 il cambiamento è sensibile: «Di fronte a un avviso di garanzia bisogna dimettersi. sono contrario alla presunzione d’innocenza per un politico».
La Raggi dice che gli avvisi di garanzia al #m5S sono manganelli. Vedo che il tirocinio da Previti non è stato così inutile #miRaggi
— Ernesto Carbone (@ernestocarbone) 12 maggio 2016
Il debry tra Pd e 5 stelle fa però male a entrambi. Lo nota ad esempio Mauro su Repubblica. Secondo cui «il numero di amministratori del Pd coinvolti in inchieste giudiziarie dovrebbe da solo far capire all’intero gruppo dirigente che c’è nella principale forza della sinistra un problema di selezione delle cosiddette élite grande come una casa». Sarebbe meglio non alimentare il circuito, dunque, non seguire i 5 stelle, lasciando che sia l’evidenza a dimostrare i loro limiti: «I grillini», scrive ancora Mauro, «che pensavano di fischiare comodamente dagli spalti nella partita tra la politica e la magistratura, si trovano improvvisamente in campo mentre i fischi oggi sono per loro, impreparati e incapaci di gestire l’incoerenza tra i doveri pretesi dagli altri e le indulgenze domestiche».