Dove non arrivano ceo e amministratori delegati, arrivano azionisti e investitori. L’allarme climatico ribadito lo scorso dicembre alla Cop21 di Parigi fatica a tramutarsi in politiche attive e scelte imprenditoriali, ma c’è chi guarda con lucidità al futuro – anche a quello dei propri risparmi – e sta con il fiato sul collo a Big oil e operatori dell’industria fossile. Nei giorni scorsi gli azionisti della multinazionale anglo-elvetica Glencore hanno votato una mozione affiché la dirigenza fornisca maggiori informazioni sull’impatto che le proprie attività hanno sui cambiamenti climatici. Nella classifica dei 500 peggiori “emettitori” di gas serra, Glencore è al terzo posto dopo Gazprom (1.260 milioni di tonnellate di gas climalteranti rilasciate nel 2013) e Coal India. Sotto accusa soprattutto i loro affari attorno al carbone, la più inquinante delle fonti energetiche fossili, bersaglio prioritario delle campagne con l’hashtag #keepitintheground.
A poca distanza da Glencore, nella lista nera dei nemici del clima, c’è ExxonMobil, che durante l’assemblea annuale della prossima settimana dovrà affrontare una vera e propria rivolta degli azionisti più influenti, decisi a ottenere che la Big oil – coinvolta peraltro in un’inchiesta con l’accusa di aver nascosto agli azionisti le informazioni sui rischi climatici – pubblichi annualmente i dati del proprio impatto sul riscaldamento del Pianeta. A proporre la mozione, lo Stato di New York, una fiduciaria del New York State Common Retirement Fund, il terzo più grande fondo pensione degli Usa, e la Chiesa anglicana.
Un investitore specializzato nel pressing alle aziende più inquinanti è Calpers, il fondo previdenziale dello Stato della California che gestisce asset per 294 miliardi di dollari e che ha fatto la voce grossa sia con Glencore sia con ExxonMobil. «Siamo molto soddisfatti per il fatto che il management di Glencore sostenga questa risoluzione» ha dichiarato in una nota a commento della relativa mozione Anna Simpson, direttore degli investimenti di Calpers. «Si comprende che gli investitori hanno bisogno di un reporting ambientale per comprendere meglio i rischi e le opportunità». Il presidente di Glencore, Tony Hayward, ha reagito invece facendo buon viso a cattivo gioco e nell’accogliere la risoluzione pro-clima degli azionisti ha detto: «Il carbone resta la fonte energetica di prima scelta per i Paesi emergenti e c’è un motivo: è a buon prezzo e facilmente reperibile. Ha portato miliardi di persone fuori dalla povertà e continuerà a farlo».
Anche altre Big oil, tra cui Chevron, Royal Dutch Shell, Bp e Total hanno annunciato provvedimenti per mitigare i rischi ambientali correndo ai ripari dopo le pressioni degli investitori. D’altro canto, già da tempo l’International Energy Agency ha lanciato l’allarme alle imprese del gas, del petrolio e del carbone: se non intervengono per tempo subiranno danni per diversi miliardi di dollari. Intanto, un rapporto del Wwf con Natural Resources Defense Council e Oil Change International evidenzia come i Paesi del G7 proseguano imprerterriti a finanziare centrali ed estrazione di carbone all’estero.