Tutti lo chiamavano il Duca bianco anche se non era nato in un castello di alto lignaggio, ma veniva dalla periferia di Londra. I quarti di nobiltà David Bowie se li era conquistati con una innata eleganza, con la sua divertente ironia e i suoi modi gentili. Anche quando ciò che evocava attraverso i suoi travestimenti faceva sobbalzare i benpensanti. Come quella volta che si presentò in televisione in un programma musicale in prima serata vestito con una luccicante calzamaglia invitando gli spettatori a smettere di essere tali diventando protagonisti della propria vita senza inibizioni. Quel suo guardare dritto nell’obiettivo rivolgendosi direttamente a chi stava dall’altra parte, seduto nel salotto di casa, fu come un battito di ali di farfalla capace di generare effetti a cascata nella musica, nella moda, nel costume. Lo racconta nel film David Bowie is (che è tornato nelle sale italiane dall’11 al 13 luglio distribuito da Nexo Digital) lo scrittore anglo pachistano Hanif Kureishi, autore de il Budda delle periferie (Bompiani), che evoca Bowie stesso nella figura di Charlie Hero.
Nel docufilm diretto da Hamish Hamilton, Kureishi racconta che l’aver visto David Bowie emergere da quella periferia e dalla sua stessa scuola fu per lui una iniezione di fiducia, un’apertura verso possibilità impreviste, una spinta a superare la rassegnazione di essere destinato a una vita da “invisibile” in quanto figlio di immigrati anglo -pakistani che nella Londra degli anni Settanta erano fra le fasce sociali meno inserite .
«David era uno di noi» è la frase che si sente pronunciare più spesso in questo film, non solo da artisti, ma anche dai fans intervistati al Victoria and Albert Museum di Londra dove si tenne nel 2013 la grande retrospettiva su Bowie, che solo in quella prima tappa è stata vista da più di 300mila visitatori. Dal 14 luglio al 13 novembre quella stessa mostra sarà ospitata dal Mambo di Bologna, come ultima tappa del tour europeo, dopo essere stata a Berlino, a Parigi e in molte altre città. Questo docufilm offre la possibilità di una emozionante visita virtuale, guidati dai curatori del Victoria and Albert museum, Victoria Broackes e Geoff Marsh che raccontano gli oggetti in mostra – disegni, costumi, video, manoscritti originali di Bowie – anche intervistando musicisti ( fra i quali il front-man dei Pulp Jarvis Cocker), giornalisti, scrittori, fotografi e artisti che negli anni hanno lavorato con il musicista e cantante inglese scomparso il 10 gennaio 2016.
Dal loro racconto live e dagli oltre trecento oggetti provenienti dallo sterminato archivio personale di Bowie, emergono aspetti forse non a tutti noti della poliedrica personalità di David Robert Jones, alias David Bowie. Come la sua abitudine di scrivere a mano i testi della canzoni, come fossero poesie, con una grafia morbida, quasi infantile. Mentre potenti incisivi e visionari appaiono i suoi disegni e le serie di bozzetti, quasi uno storyboard per ogni nuovo disco, che di volta in volta lanciava un personaggio, un suo nuovo alter ego, da Major Tom di Space oddity a Ziggy di Ziggy Stardust per arrivare a Diamond dog, che Bowie avrebbe voluto trasformare in un vero e proprio film di animazione.
Nel film si racconta anche la sua grande passione per la lettura, che lo ha portato ad esplorare campi diversissimi del sapere e della letteratura. Benché autodidatta, la curiosità aveva spinto Bowie a leggere tantissimo, tanto che si narra di cassoni pieni di libri e non solo di costumi che lo seguivano in tour. I suoi interessi spaziavano dalla filosofia, alla letteratura fantastica, alla poesia. Passando dai poeti della Beat generation, a Orwell e Bulgakov per arrivare alle filosofie orientali e a Nietzsche, solo per fare qualche esempio. Il film racconta i cento libri più amati da Bowie, oltre ché i dischi che più l’hanno influenzato, fin da giovanissimo scoprendo Elvis Presley e Little Richard e il jazz di Memphis.
Il viaggio cinematografico nelle sale del V&A comincia con i due curatori che esplorano la prima sezione della mostra dove sono raccolte fotografie e testimonianze sull’infanzia di David. Emerge qui la sua precoce passione per il disegno e la pittura che non lo abbandonerà più. E che il cantante e polistrumentista inglese ha vissuto anche come collezionista d’arte. Presto sarà resa pubblica la sua collezione privata in cui primeggiano soprattutto pittori dell’espressionismo tedesco (di cui approfondì la conoscenza nei musei tedeschi, durante gli anni berlinese) e nuova pittura degli anni 60 come quella di Frank Auerbach e poi arte americana, da Basquiat (Air Power , 1984) alla Pop art, arte africana ma anche design con alcuni pezzi di Ettore Sottsass and the Memphis group. Come Bowie disse in una intervista alla Bbc nel 1999, «l’unica cosa di cui sono davvero dipendente è l’arte». La collezione di arte di Bowie sarà in mostra dal 20 luglio al 9 agosto a Londra e in futuro a Los Angeles, New York e Hong Kong.
Una passione, come accennavamo, cominciata sui banchi di scuola, quando era uno studente brillante, ma distratto, secondo una pagella in cui un insegnante annotò come demerito il suo esibizionismo! In una conversazione con Kureishi di qualche anno fa Bowie parlava di «forte determinazione», fin da piccolo. Una spinta interna che unita alla consapevolezza di voler entrare nel mondo della musica lo portò giovanissimo a prendere lezioni di sax e poi di mimo (con Lindsay Camp), lo portò ad interessarsi di teatro kabuki e a molte altre discipline. Al Giappone lo legava anche l’amicizia con lo stilista Kansai Yamamoto che disegnò alcuni dei suoi abiti più futuribili e spettacolari.
In David Bowie is racconta come nacque la loro collaborazione che poi diventò amicizia con il cantante inglese che si divertiva a scorrazzare l’amico giapponese facendogli da taxi, per stupirlo mostrandogli quanto profondamente conoscesse Tokyo. Complice Yamamoto, David Bowie si è divertito ad sperimentare anche con la moda, come raccontano i tanti costumi in mostra, indossati in tour e nei video. Al contempo in canzoni come Fashion, Bowie si divertiva a smascherare il vuoto pneumatico di un mondo fatto di messaggi massificanti. Lui che aveva fatto della telegenia un tesoro invitava a spegnere la tv e a dedicarsi alla lettura.
In mostra c’è il costume del Pierrot di Ahes to Ashes e c’è la marsina con la bandiera, ci sono gli abiti da dandy elegante, da Thin White Duke, ma erano tutte maschere, strumenti per rappresentare, per mettere in scena un nuovo personaggio, che fosse il diafano post-rocker di Heroes, o l’elegante seduttore di China girl, fino all’inquietante uomo che vede solo attraverso una benda forata di Blackstar, il suo album testamento, emozionante e potente.
Omaggio a David Bowie
Una carovana di appuntamenti per ricordare David Bowie. E’ iniziata l’11 luglio con l’approdo al cinema, fino al 13 luglio del film David Bowie is (elenco delle sale su www.nexodigital.it), il documentario sulla mostra evento del Victoria & Albert Museum . Si prosegue poi il 14 luglio con l’inauurazione della mostra “David Bowie is” del V&A accompagnata da un catlogo ricco di testimonianze pubblicato in Italia da Rizzoli. Intanto sui social prende il via l’iniziativa #OmaggioABowie che invita tutti i fan del Duca Bianco a raccontare il proprio legame con l’artista attraverso un’immagine o un testo di omaggio. L’esposizione David Bowie is aperta fino al 13 novembre 2016 nelle sale del MAMbo di Bologna celebra la prodigiosa carriera di David Bowie e la sua inesauribile capacità di reinventarsi senza mai tradire se stesso né il suo pubblico. intanto alla galleria Ono arte di Bologna prosgue la mostra fotografica di cui avevamo parlato in questo articolo Maggiori info sul sito www.davidbowieis.it.
Ecco il tralier di David Bowie is: