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Vietata la satira nella Tunisia di Saïed con cui l’Italia e l’Europa siglano accordi

Mentre la premier Meloni e la presidente Von der Leyen siglano accordi con l’autocrate Saïed perché fermi i migranti, in Tunisia le libertà sono sempre più negate, a cominciare da quella di espressione. Arrestato il 21 settembre e rilasciato sotto sorveglianza, il vignettista Tawfiq Omrane è stato deferito al Tribunale di prima istanza di Tunisi il 25 settembre. Il suo reato? Aver pubblicato una vignetta (appena un po’) satirica sul Primo ministro tunisino, Ahmed Hachani.

Tawfiq Omrane è un vignettista conosciuto dagli anni 80 per le sue vignette politiche nei circoli di opposizione della sinistra prima che gli fosse vietato esercitare la sua professione sotto il regime di Ben Ali. Dalla caduta della dittatura, nel gennaio 2011, ha lavorato in Tunisia con i giornali Sawt Echaâb, Aljomhourya, e i siti web di Radio Kalima e Radio Express Fm. In Francia, pubblica su CQFD The Dissident. Ha partecipato a vari festival in Tunisia, Francia, Egitto e Camerun, nonché a eventi, tra cui la riunione internazionale dei cartoonisti a Caen e disegni dal vivo per il vertice euro-arabo all’Unesco – Parigi. Premio Academia per la Caricatura – Tunisia 2014, è ambasciatore di United Sketches in Tunisia e membro del Consiglio scientifico di Librexpression.

La notizia dell’arresto di Tawfiq Omrane è arrivata mentre i vignettisti del centro Librexpression/Libex discutevano al festival Lector In Fabula del ruolo dei vignettisti di stampa nell’informare l’opinione pubblica e delle minacce di tutti tipi che subiscono, anche nei Paesi democraitici. Tutti i membri del Comitato scientifico di Libex, i vignettisti presenti al festival e Pagina ’21 protestano contro questi arresti arbitrari e offrono il loro sostegno a Tawfiq. Left è al loro fianco.

Miller Puckette, il leone dell’elettronica

Miller Puckette è una vera autorità nel campo della musica elettronica. La sua esperienza di applicazione di modelli matematici ed informatici ha fatto sì che diversi aspetti della musica contemporanea potessero essere praticabili grazie anche alla creazione di piattaforme come Pure Data. Il suo lavoro è alla base di tanta musica elettronica dal vivo, di installazioni sonore ed è stato usato per creare strumenti musicali virtuali, elaborare suoni in tempo reale nelle performance strumentali, generare suoni digitali e composizioni per computer. Il 19 ottobre riceverà l’ambito Leone d’argento alla carriera alla Biennale Musica di Venezia 2023. Left lo ha incontrato.

Mister Puckette ci può spiegare come applica la matematica alla musica?
Non saperei come spiegarlo, a dire il vero. Alla base c’è l’intuizione che certe pratiche musicali usino analoghe abitudini di pensiero che sono usate anche in matematica. Tuttavia il vero lavoro di fare musica di solito non sembra essere molto matematico. Ho sfruttato la mia formazione matematica in vari modi nella progettazione di algoritmi per generare ed elaborare suoni musicali, ma non credo che quel tipo di lavoro possa essere considerato di per sé fare musica. È più come costruire uno strumento musicale.

L’amico siciliano di Caravaggio

Mario Minniti è amico del cuore di Michelangelo o Michele Merisi da Caravaggio e a tutta prima la cosa sorprende. Difficile pensare a una così marcata differenza tra i due. Tanto Michelangelo è affilato nei lineamenti, negli zigomi pronunciati, nel mento squadrato, nel naso aguzzo quanto Mario è morbido, dolce, tondo, quasi angelico.
E così ci appare ripetutamente nei quadri di Caravaggio a cominciare dal giovane ingenuo de La buona ventura del 1595 oggi al Louvre per continuare in molti altri dipinti come nella Vocazione e poi nel Martirio di San Matteo del 1600 a San Luigi dei Francesi a Roma. Mario è molto vicino a Michele sino all’inizio del Seicento e forse anni prima era stato anche suo apprendista e aiutante visto che i sei anni di differenza sono un’enormità quando si è giovani. Rimarrà comunque sempre amico del Caravaggio visto che nel 1603 è segnalato in un documento tra i suoi sodali al famoso processo per gli sberleffi al pittore Baglione. Poi Mario scompare da Roma, dove è finito?
Minniti è tornato nella sua natìa Siracusa dove vivrà una vita felice e relativamente lunga per i tempi (1577-1640), così diversa da quella brevissima e drammatica dell’amico (1570-1610). Anzi, nelle peregrinazione nel Mediterraneo di Michele e nei suoi due soggiorni in Sicilia, sicuramente Mario il siracusano dette aiuto e supporto all’amico lombardo.

Italo Calvino, immaginare il mondo come potrebbe essere

Non si creda che i classici vadano letti perché servono a qualcosa. Lo scrive in modo lapidario Italo Calvino in “Perché leggere i classici”, un articolo pubblicato nel 1959.Quando morì nel 1985, lui stesso era già un autore di classici, quegli autori che a scuola si leggono nell’ora di narrativa o si studiano nell’antologia di letteratura. Oggi che, a cento anni dalla sua nascita, è oramai entrato a pieno titolo tra i più noti scrittori italiani in patria e all’estero diventando un classico tra i classici riformuliamo la domanda: a cosa serve oggi leggere Calvino a scuola e in qualunque altro contesto? Possiamo pensare che dipenda da come lo si “usa” e cioè, più in generale, da come pensiamo che la letteratura debba entrare nella scuola e nella nostra vita. In un recente manuale sulla didattica della letteratura Simone Giusti scrive che a scuola la letteratura si può usare in tanti modi: proponendo di studiare la vita e le opere degli autori della tradizione rispettando il cosiddetto “canone” e offrendo un preciso modello culturale di riferimento, oppure si può mettere l’analisi del testo al centro del lavoro della classe, sulla scia della tradizione strutturalista o, ancora, si può pensare che la letteratura serva per una crescita prima di tutto personale che, partendo da quella esperienza estetica che ci permette di abitare storie anche lontane nel tempo e nello spazio, ci aiuti a capire meglio noi stessi, gli altri e il mondo che ci circonda. È in questa ottica che a scuola cerco di proporre la letteratura, come uno strumento che possa aiutarci a capire il mondo, che renda più chiaro quel senso invisibile delle cose che a volte si ingarbuglia e le rende incomprensibili.

La falsificazione della storia e la sfida di “Fact Checking”

Gli storici, sia detto in apertura, mettono di norma tra virgolette, talvolta letteralmente, il discorso sulla “verità”, ma i fatti, gli eventi e i processi storici esistono, come esistono le ricerche che li hanno indagati. E di questo, dello stato dell’arte, bisogna tenere conto. Il sapere storico è un sapere documentato e verificabile: è un punto di partenza che non si può eludere.
Parte da queste premesse la serie “Fact Checking: la Storia alla prova dei fatti” che ho l’onore di curare per Editori Laterza, inaugurata dal mio L’antifascismo non serve più a niente (2020) e giunta quest’anno in doppia cifra con dieci – presto dodici – volumi. Nasce come reazione alla proliferazione di fake news storiche, diffuse in maniera esponenziale grazie ai social network, ma anche in risposta a un (ab)uso politico della storia sempre più sistematico e sfacciato, in un panorama di divaricazione preoccupante tra quanto è stato acclarato dagli studi e quello che “si dice”. Autori e autrici condividono con l’editore l’esigenza di restituire complessità e valore alla ricerca storica e di giocare un ruolo significativo nel dibattito pubblico sul passato. Da E allora le foibe? di Eric Gobetti (2021) a Il fascismo è finito il 25 aprile 1945 di Mimmo Franzinelli (2022), passando per Anche i partigiani però… di Chiara Colombini (2021), Non si parla mai dei crimini del comunismo di Gianluca Falanga (2022) e La Germania sì che ha fatto i conti con il nazismo di Tommaso Speccher (2022), il primo biennio di “Fact Checking” è stato fortemente incardinato nella storia del Novecento, al netto delle fisiologiche eccezioni – Il fantastico regno delle Due Sicilie. Breve catalogo delle imposture neoborboniche di Pino Ippolito Armino (2021) e Prima gli italiani! (sì, ma quali?) di Francesco Filippi (2021). Il progetto grafico immediatamente riconoscibile di Riccardo Falcinelli è a mio avviso assai efficace, e i titoli antifrastici o provocatori sono il “marchio di fabbrica” della sfida editoriale fin dai suoi esordi.

In soccorso della sanità pubblica

Più avanza la sanità privata, più saremo privati della nostra salute”. Non è un gioco di parole, è proprio ciò che sta avvenendo. I dati ormai li conosciamo. Il Servizio sanitario nazionale (Ssn) è stato fortemente compromesso da un taglio di 37 miliardi di finanziamenti negli ultimi 10-15 anni; dei 191 miliardi del Pnrr solo poco più di 15 sono stati destinati alla sanità, circa l’8%; il governo Draghi decise di ridurre a poco sopra il 6% del Pil la spesa sanitaria nel giro di quattro anni, mentre già oggi la spesa sanitaria pro-capite è meno della metà di quella tedesca e solo poco sopra al 50% di quella francese. È quindi arrivato il governo Meloni: taglio di oltre 414 case di comunità sulle 1.350 previste e di 96 ospedali di comunità su 400. Negli ultimi vent’anni sono circa 180mila gli operatori sanitari, formatisi in Italia e trasferitisi a lavorare all’estero. Aumenta il numero di medici che fuggono verso la sanità privata che, nel frattempo, ha un giro d’affari superiore ai 62 miliardi dei quali oltre 25 sono soldi pubblici destinati alla sanità privata convenzionata. In tale contesto, quest’anno l’aumento di spesa per il Fondo sanitario nazionale non copre nemmeno la metà dei costi dovuti all’inflazione.
Il risultato è un vero e proprio disastro che milioni di italiani stanno sperimentando quotidianamente sulla loro pelle e nel loro corpo. L’aspetto più evidente sono le infinite liste d’attesa che possono arrivare anche a 1.300 giorni (quasi 4 anni) per una colecistectomia in Lombardia e non sono certo che questa sia la maglia nera a livello nazionale. Ma vi sono anche aspetti meno evidenti al cittadino, ma non di minor importanza, come ad esempio la condizione della medicina preventiva, diventata la cenerentola del nostro Ssn, che comprende anche l’abbandono al proprio destino dei servizi di medicina del lavoro e quindi anche del loro ruolo ispettivo, proprio in un momento dove le morti sul lavoro raggiungono l’apice. Dopo aver ignorato per decenni i tagli alla sanità realizzati da governi di qualunque colore, oggi i principali media se ne accorgono e non c’è giorno che non raccontino le drammatiche condizioni nei quali versa il Ssn, ma rimangono refrattari nell’indicare cause e responsabili. A sinistra si moltiplicano i seminari e i think tank; abbiamo certamente necessità di analisi e di riflessioni, ma non possiamo aspettare un ipotetico cambio di governo, per ora non all’orizzonte, per progettare un rilancio e una riorganizzazione del Ssn. Ammesso che nel frattempo si sia sviluppata una seria autocritica sull’azione dei governi di centrosinistra degli ultimi vent’anni. C’è urgenza di interventi immediati, perché resuscitare un morto è un’impresa impossibile e il nostro Ssn è boccheggiante. È necessario che chi, come noi, si batte per un Servizio sanitario nazionale universalistico, gratuito nelle prestazioni, perché finanziato dalla fiscalità generale in modo proporzionale al reddito, si ponga obiettivi concreti, immediati, finalizzando al loro raggiungimento vertenze che, partendo dai territori, sappiano diventare una campagna nazionale nella quale utilizzare anche forme di lotta radicali e continuative nel tempo. È bene essere chiari: non ci può essere alcun rilancio del Ssn a costo zero, né senza un significativo taglio dei finanziamenti e dei vantaggi attribuiti oggi alla sanità privata. Chi non intende scontrarsi con le grandi aziende sanitarie private proprietarie di ospedali e ambulatori, di Rsa e Rsd (Residenze sanitarie per disabili), con Big Pharma che controlla la produzione e i prezzi di farmaci e vaccini, può lanciare tutti i proclami che vuole, ma le sue resteranno parole vuote nel vento. Alcuni obiettivi per l’immediato: aumento della spesa sanitaria pubblica fino ad arrivare almeno al 7,5% del Pil per avvicinarsi alla media Ue; distribuzione delle risorse nel Ssn privilegiando la prevenzione, la diagnosi precoce e i servizi territoriali a cominciare da quelli destinati alla psichiatria, ai consultori e ai servizi per i minori; aumento significativo degli stipendi dei medici e del personale sanitario oggi molto sotto la media dei Paesi dell’Europa occidentale; contratto di assunzione nel Ssn per i nuovi medici di medicina generale e proposto a chi già svolge questa professione; divieto, entro 6 mesi, del “medico a gettone” con la realizzazione nel frattempo di canali a disposizione, per chi oggi lavora con tali modalità, per rientrare/entrare nel Ssn. Per l’abbattimento delle liste d’attesa: obbligo, in ogni regione, di un unico Cup, Centro unico di prenotazione, nel quale convogliare le agende di tutte le strutture pubbliche e private accreditate/convenzionate senza esclusione alcuna; divieto, con precise penalità, sia alle strutture pubbliche che private accreditate/convenzionate di chiudere le agende; obbligo per le strutture private accreditate/convenzionate di garantire i medesimi tempi di attesa a chi arriva attraverso il Ssn e a chi arriva privatamente; interruzione dell’attività intramoenia in quei servizi dove non sono rispettati i tempi di attesa previsti dalla normativa; in mancanza del rispetto dei tempi previsti, offerta della prestazione in regime di solvenza al solo costo del ticket, se dovuto, come previsto dal decreto legislativo 124/98. Non è una rivoluzione, né la realizzazione del Ssn che noi tutti desideriamo e certamente ognuno riterrà di aggiungere, in base alla sua esperienza, altri obiettivi urgenti, ma quanto qui propongo sono il “minimo sindacale” per evitare il dissolvimento del Ssn.

Vittorio Agnoletto è medico, docente universitario e componente del direttivo nazionale di Medicina Democratica

Illustrazione di Marilena Nardi

«Siamo terrorizzati per i nostri affetti in Sudan»

Sanaa osserva Akim con quei bei riccioli saltellare sul tatami durante la prima lezione di karate. Sua madre scrive ormai da aprile che va tutto bene. Lei sa che non è così; è soltanto perché non vuole darle pensieri e che, al contrario, il suo Paese sta bruciando, si sta come disintegrando. Incontriamo questa giovanissima sudanese e suo marito Kamal nella palestra del Quartiere San Gennaro dell’Unical, ad Arcavacata, nel Cosentino. All’Università della Calabria Kamal, 34 anni, ha un dottorato di ricerca alla facoltà di farmacia. Arrivò qui cinque anni fa da Khartoum, dove infuriano da aprile i combattimenti e dove sembra di essere in una città fantasma. Lei lo ha raggiunto solo tre mesi prima che scoppiasse l’inferno con i due bambini: il minuscolo karateka, quattro anni e mezzo, il piccolo Ali di sette. Appena in tempo. Il loro splendido Sudan è drammaticamente lontano, incredibilmente oltraggiato. Sanaa e Kamal per un attimo provano a non pensarci. «Abbiamo fatto altri tentativi con lui, Akim, ma i giochi con la palla non gli piacciono e nemmeno pattinare, come fa suo fratello. Vedremo che cosa combinerà con le arti marziali», dice Sanaa, accennando un sorriso, tenendo di continuo il cellulare tra le mani.

Fuoco incrociato su Khartoum

«Non mi era sconosciuta, la guerra. La differenza è che qui non ci sono regole. Se di regole si può parlare, in una guerra». Quel “qui” è Khartoum, capitale del Sudan oggi devastato da un conflitto che va avanti da metà aprile scorso e di cui, almeno nel momento in cui scriviamo, non si scorge la fine. A raccontarci un pezzo di questa follia è Federica Iezzi, 39 anni, chirurgo di Medici senza frontiere. «Eravamo in sala operatoria, i bombardamenti proseguivano sin davanti al cancello dell’ospedale. E poi fumo, bagliori, sempre, per due mesi di fila». Un’immagine chiara, quella della giovane specialista in chirurgia infantile, ma con alle spalle una lunga storia di missioni, rientrata in Italia, ad Ancona, ma pronta a ripartire. La fotografia di un Sudan senza più “legge”. I numeri (certamente per difetto, perché anche la conta delle vittime è difficile) sono terrificanti: quasi 4mila morti (ma potrebbero essere 10mila) dall’avvio del conflitto, oltre tre milioni di sfollati. Li dobbiamo ai due generali che si contendono il potere e le risorse di questo straordinario Paese, ricchissimo anche sul profilo culturale e storico: Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan, capo delle forze armate sudanesi, le Saf, il presidente, e Mohamed Hamdan Dagalo, conosciuto da tutti col nome di Hemetti, ex vice del presidente e ora suo nemico al comando delle Rsf, le Rapid support forces, ovvero le forze di supporto rapido, paramilitari pronti a tutto, responsabili in questi sette mesi di violenze e abusi di ogni genere.

Napoli Est, uniti per un ambiente pulito

Qual è la situazione della giustizia ambientale in Italia? Il caso del Sin (Sito di interesse nazionale) di Napoli Est, una zona inclusa tra quelle che richiedono bonifiche urgenti già dal 1999, è emblematico. Il 24 maggio il ministero dell’Ambiente e il ministero della Cultura hanno espresso parere negativo alla proposta delle multinazionali Kuwait e Edison di realizzare un impianto di stoccaggio di gas naturale liquefatto (Gnl) nella darsena petroli del porto di Napoli, zona costiera di San Giovanni. Il progetto non ha, infatti, superato la valutazione di impatto ambientale poiché «incompatibile con l’obiettivo di delocalizzare i depositi petroliferi dall’area orientale e con l’obiettivo di riqualificare l’area» e in quanto in questa area «sono consentite trasformazioni orientate esclusivamente al miglioramento della sicurezza e dell’impatto ambientale». I ministeri hanno dunque recepito le osservazioni della Rete Stop Gnl, il coordinamento territoriale contro il deposito, che federa numerose realtà locali e che si è opposto al progetto riaffermando la necessità di bonifiche e rigenerazioni sostanziali e immediate.

A caccia di ecocidi con i droni

Nell’agosto 2023 mi trovo in Kalimantan, il Borneo indonesiano. Davanti a me un muro apparentemente impenetrabile di foresta. È un’illusione: quando il mio drone si alza sorvola poche centinaia di metri gli alberi, passa i baracchini delle guardie paramilitari armate di kalashnikov e si trova di fronte a trecento ettari di foresta bruciata da una grande azienda di olio di palma, per far spazio ad altre piantagioni e soddisfare la domanda indiana, cinese, europea.
Nell’ottobre 2017 sono sul bordo di un laghetto nel centro della Sardegna, a Furtei. La zona intorno è di una bellezza alpina, sembra quasi incontaminata. Il laghetto invece no: l’acqua è di un viola intenso e malsano. È stato inquinato in maniera irreparabile dal cianuro di una vicina miniera d’oro, aperta da un’azienda australiana, la Sardinia Gold Mining, che prometteva ricchezza per tutto il territorio ed è scappata quando le già scarse risorse si sono esaurite. Hanno lasciato una bomba ecologica che avrà bisogno di ben più dei 65 milioni di euro messi a disposizione dalla Regione per essere disinnescata. Nel luglio 2023 sono in Spagna, nel parco naturale di Doñana; a destra ho la meraviglia di uno degli ecosistemi più ricchi di biodiversità d’Europa, a sinistra le coltivazioni illegali di fragole che la stanno condannando a morte – le stesse fragole che arrivano nei nostri supermercati.