La violenza di genere è il tema drammatico che ci troviamo ad affrontare ormai, da molto tempo, con una cadenza implacabile. Un tempo che ci sembra infinito. Ed ogni volta si rinnova un antico dolore, un senso di impotenza, di fronte ad una realtà psichica che improvvisamente diventata visibile è disumana, mostrando l’incomprensibile ferocia con cui si manifesta. Come medici della mente sentiamo il dovere di affrontare questa immensa tragedia che non finisce mai, e di proporci l’indagine, rigorosa e necessaria, sulla violenza che si scatena proprio nel momento storico in cui tante donne hanno raggiunto importanti realizzazioni in moltissime discipline. Ci siamo proposti di realizzare una indagine rigorosa per scoprire le cause che sono alla radice di questa violenza continua, nei confronti di colei che ha lottato e vinto la durissima battaglia per l’emancipazione.
La ricerca pertanto diventa fondamentale per poter uscire da questo tragico destino e cercare di cambiarlo. La ricerca per la conoscenza, in primis, è l’arma importante da proporre sempre per trasformare la storia. L’indagine si apre con una approfondita ricerca sul pensiero greco che , con la nascita del logos occidentale, decide che l’anima si deve separare dal corpo che la tiene prigioniera e vedremo a quali disastri porterà questo pensiero.Proseguendo nella ricerca, racconteremo come l’Impero romano, alle soglie del suo tramonto, apre le porte al cristianesimo, la nuova religione, che in breve tempo si imporrà come unica.Il cristianesimo, mentre all’inizio sembra dare una speranza di riscatto alle donne, in breve tempo mostra il suo volto feroce e fin dall’inizio condannerà definitivamente Eva che è colpevole di una caduta nel peccato. Questo peccato che in origine era di conoscenza, poi diventerà il peccato della concupiscenza e porterà a distruggere la donna e porterà a controllare in maniera ossessiva il privato dei cittadini: la sessualità viene sottoposta ad un rigido controllo anche nell’ambito del matrimonio.
La donna diventa «la porta del diavolo» e sarà proprio la sessualità della donna ad essere colpita perché distruggerebbe l’uomo razionale. Il corpo, scisso dalla mente, sarà il filo conduttore che porterà al delirio delle sante anoressiche che sacrificano il corpo perché colpevole di “sentire”. Fino ad arrivare al più grande femminicidio compiuto nella storia dell’umanità: la caccia alle streghe colpevoli di avere rapporti sessuali con il diavolo. Sappiamo che tale pensiero violento sulle donne, anche se invisibile a volte, si ritrova anche oggi: esso si estende alle donne che lavorano, nei luoghi che dovrebbero essere sicuri, alle donne migranti inermi, vittime senza riparo alcuno.È importante anche parlare della violenza nel linguaggio della comunicazione nei media e della discriminazione vissuta dalle giornaliste.
Questo pensiero violento sulle donne ha permesso di esercitare un controllo anche sulla gravidanza e il parto: la nascita umana da sempre controllata dalla religione e da certa politica che la segue, per secoli è stata sottoposta al suo insindacabile giudizio: la donna non avrebbe nemmeno il diritto di scelta sulla maternità. Di fronte a questo panorama così drammatico però vogliamo proporre la speranza di una trasformazione della società, anche se potrebbe sembrare una utopia.
Per questo nell’Ecm “La violenza contro la realtà femminile” che si svolge fino al 16 maggio (vedi box a fine articolo, ndr) parleremo prima di tutto di una legislazione che si è molto evoluta nella tutela delle donne, segno importante di una società che si ribella di fronte a questa tragedia che si ripete sempre. Parleremo della prevenzione primaria e di quanto sia importante ai fini di una prevenzione secondaria e terziaria. In quest’ottica diventa fondamentale saper riconoscere i segni della violenza invisibile, che deve diventare un forma di conoscenza degli esseri umani.
«Le donne devono ritrovare quella sensibilità che fa vedere quello che c’è oltre un buon comportamento, come anche oltre a delle parole d’amore», ha detto lo psichiatra Massimo Fagioli intervistato su Left nel 2016. Spesso la violenza viene mascherata da un corteggiamento intenso, da forme di seduzione e adulazione che nascondono una verità terribile. E la donna si confonde, anche perché in questo rapporto patologico perde la vitalità, si ammala silenziosamente, ma non sa dare un nome al malessere che sta vivendo. A volte sono le donne stesse che non riescono a comprendere la gravità di quanto sta accadendo: devono ritrovare quella sensibilità che fa vedere quello che c’è oltre un buon comportamento.
Come diceva Fagioli, bisogna andare oltre le belle parole d’amore: «Bisogna andare oltre quel discorso falso e ipocrita che ti fa dire “ io amo tanto le donne” quando non è vero per niente». Parleremo anche dei servizi a cui occorre rivolgersi per cercare aiuto e della formazione degli operatori sanitari consapevoli del ruolo importante che hanno in tutte le branche della medicina. Sono loro che accolgono le richieste di aiuto ed è importante che essi recepiscano la gravità della situazione e del dramma che si sta svolgendo sotto i loro occhi. Fondamentale sempre e comunque è la ricerca sul grave disturbo mentale, la percezione delirante causa del pensiero nascosto che ha sempre visto la donna e con lei anche il bambino , come sottospecie umana, simili al mondo animale. La percezione delirante sulla realtà femminile è ancora presente nei confronti delle donne, e per cambiare questa condizione occorre non solo la ricerca per la conoscenza ma anche la cura degli esseri umani che sono andati incontro a malattia.
A questo proposito citiamo ancora Massimo Fagioli in una intervista apparsa su Left. Riportiamo per intero il suo discorso fondamentale per la comprensione di questa grave patologia mentale: «Nella quasi totalità sono uomini che uccidono le donne. Per prima cosa bisogna andare a fondo, non si tratta di amore passionale. È un rapporto che sembra di amore ma in realtà è una attrazione intrisa di odio e confusione, specificatamente tra un uomo e una donna». La cosa che abbiamo scoperto – continua Fagioli – è che la visione dell’essere umano diverso, in questo caso la donna, fa riecheggiare, fa muovere dentro memorie confuse, indefinite, riconducibili al primo anno di vita, quando ognuno di noi era diverso da quello che è adesso. Non parlava, non camminava, non aveva coscienza e linguaggio articolato… era tutto un mondo e un pensiero di immagini in cui si svolge il primo rapporto , assolutamente vitale, con una donna, in genere la madre. Poi tutto questo si perde si dimentica e così quando si fa questo innamoramento per il diverso da sé e poi avviene quella realtà precisa, possiamo dire triste ma anche realistica… della separazione del lutto, nella persona sana, questo deve produrre al più tanta tristezza».
Tutti abbiamo avuto almeno una volta nella vita una storia di amore che si è perduta, per tanti motivi, ed abbiamo reagito, magari facendoci aiutare da qualche amico, oppure da un bravo psicoterapeuta. La capacità di accettare anche una perdita è un evento che si può elaborare, anche se con fatica e dolore a volte… Ma ben diversa è la situazione in cui si cade nella violenza. E Fagioli poi aggiunge: «Questi assassini ,magari coscientemente uguali agli altri e dunque per i giudici capaci di intendere e di volere sono gravemente ammalati nell’inconscio e di fronte a questa separazione, alla perdita di questo primo anno di vita impazziscono perché quella donna ….diventa la cattiva , la madre persecutrice, Quella che effettivamente può essere stata quando era bambino ,magari una madre anaffettiva». Siamo consapevoli del grande lavoro che abbiamo davanti. Ma abbiamo la forza di una teoria che parla di una naturale e originaria sanità degli esseri umani. Abbiamo la certezza di una cura che può portare al cambiamento e alla guarigione dalla malattia mentale che c’è sempre dietro la violenza.
FORMAZIONE – Un corso per gli operatori
Dal 21 marzo al 16 maggio sui svolge l’Ecm “La violenza contro la realtà femminile, dinamiche psicopatologiche e fenomeni correlati” nell’ambito dell’educazione continua in medicina della Scuola medica ospedaliera di Roma. Con questo corso si intende colmare una carenza nella formazione di medici, infermieri, ostetriche, operatori sanitari in genere che possono essere spesso il primo punto di contatto per donne vittime di violenza e per i loro figli. Spesso l’accesso ai servizi sanitari avviene per patologie somatiche e psichiche non direttamente collegate dalle donne a una condizione di violenza vissuta nel presente o in precedenza. Ormai è invece accertato che numerosi danni fisici e psichici si verificano a seguito di condizioni di violenza fisica, psicologica, sessuale, economica, nelle mura domestiche e sul web, nell’ambito di relazioni attuali o in corso di separazione. Tra tutte le forme in cui la violenza contro le donne si manifesta quella psicologica è la più subdola, sottostà ad ogni forma di oppressione e violenza e spesso è difficilmente riconoscibile. La violenza invisibile del pensiero che annulla e nega le donne e che permea la cultura si traduce in troppi casi in violenza psicologica nelle relazioni concrete tra uomini e donne Riconoscere precocemente i sintomi ed i segni della violenza al fine di prevenirne gli esiti più gravi è anche compito sanitario. (Irene Calesini)
Donne e diritti
Una diade di termini che ci appare inscindibile, quasi come se l’uno stesse a proteggere l’altro. Perché quella della conquista dei diritti da parte delle donne è una storia lunga, irta di ostacoli ma pur sempre bellissima ed esaltante che è sempre utile ricordare per trovare continuamente il coraggio, la vitalità e l’intelligenza per non arrendersi di fronte ai continui tentativi di arretramento sul piano del diritto e alle notizie che la cronaca ci propone a proposito di violenza di genere e di femminicidi. Reati, questi ultimi che vengono ancora pervicacemente indicati come un’emergenza, laddove invece sarebbe più giusto, vista la storia millenaria degli orrendi delitti commessi contro le donne, definirli un problema culturale legato a pregiudizi profondamente radicati. Possiamo affermare di certo che più grande rivoluzione che ha interessato il ‘900, insieme a quella tecnologica, è stata quella delle donne per l’affermazione dei propri diritti, per la conquista dei propri spazi di libertà, per l’affermazione della propria identità uguale, ma nello stesso tempo diversa da quella degli uomini. (Concetta Guarino)
In un lento, ma inesorabile processo di emancipazione realizzato in poche decine di anni le donne, con coraggio e tenacia, hanno letteralmente rimescolato le carte, mettendo in crisi un sistema di ruoli molto consolidato, ed è in gran parte a loro che dobbiamo le leggi che ci consentono di essere libere. Hanno conquistato spazi di potere, fino a poco tempo fa inimmaginabili, contribuendo in modo determinante a modificare il nostro corpus normativo che è stato per molto tempo caratterizzato dalla violenza di genere. Pensiamo che fino al 1956 esisteva lo Jus corrigendi cioè il potere correttivo del pater familias che prevedeva il diritto di picchiare! Di fronte a questo processo di conquista di spazi di autonomia e di libertà e pur se la sensibilità collettiva sulla gravità del fenomeno della violenza è molto forte, il numero dei femminicidi è sempre alto. Una cultura della violenza che resiste nonostante le azioni di contrasto e la produzione normativa sempre più punitiva. Per l’8 marzo, con un tempismo sospetto, è stato approvato dal governo un disegno di legge che prevede l’inserimento nel codice penale del reato femminicidio come fattispecie autonoma e non più come aggravante, con la previsione tra l’altro della pena dell’ergastolo. È pacifico che le norme fissano i valori i principi e le regole su cui si fonda la convivenza civile, ma l’errore di prospettiva è quello di pensare che il diritto, attraverso l’abuso delle norme penali come strumento privilegiato per arginare delitti molto connotati, possa influire sul pensiero, funzionare da deterrente, intimorire o, addirittura favorire un cambio culturale. Le norme penali si applicano quando i misfatti sono stati già perpetrati, intervengono ex post ed il processo penale nelle sentenze produce una verità che non sempre coincide con la verità storica. Questa tendenza panpenalistica è sintomo di un’impotenza culturale ad agire sul piano della prevenzione, è pericolosa ed è violenta. Si ha come l’impressione che si faccia molta fatica non tanto a prendere atto della cosiddetta emancipazione, ma a cambiare il proprio pensiero sull’universo femminile affrancato dagli stereotipi di genere e dai ruoli tradizionalmente affibbiati ad esse. Soprattutto in quest’ultimo periodo storico e culturale in cui la continua erosione dell’importanza dei diritti fondamentali ed il sostanziale disconoscimento della centralità dell’essere umano, va a diretto discapito dei soggetti cosiddetti deboli, per esempio i migranti, le classi sociali più deboli, i bambini e le donne. In questo quadro noi donne dobbiamo sicuramente continuare sul cammino tracciato, ma anche avere maggiore e più profonda coscienza di noi stesse, e questo si può fare solo con un aumento della conoscenza che ci consente di separare il grano dal miglio e di non confondere l’affettività con le buone maniere che invece, spesso, mascherano il killer.
Le autrici: Ludovica Costantino e Irene Calesini sono psichiatre e psicoterapeute. Concetta Guarino è docente di legge
In apertura, Tracey Emin, You Made a Hole Inside Me (2022)










