Home Blog Pagina 82

Quando Emmy Noether stupì Einstein

Per celebrare il centenario della habilitation di Emmy Noether (1882-1935) avvenuta all’università di Gottinga il 4 giugno 1919, l’ensemble Portraittheater Vienna, in cooperazione con la Freie Universität Berlin e il Theater Drachengasse, ha prodotto l’opera teatrale Diving into Math with Emmy Noether (diretta da Sandra Schueddekopf e con Anita Zieher nel ruolo di Emmy) che ha debuttato proprio il 4 giugno 2019. Lo spettacolo racconta la vita della brillante algebrista Emmy Noether, figura iconica per le donne nella scienza moderna, la quale, seppur di genio, ha avuto, come tante, il suo problema “di cristallo”: ha cioè incontrato indicibili difficoltà nel realizzare le sue legittime aspirazioni.
Questa storia, questa vita sono state raccontate mirabilmente nelle pagine di due notevoli libri: il primo scritto in inglese; il secondo in italiano. Sono rispettivamente Proving It Her Way. Emmy Noether, a Life in Mathematics di David E. Rowe e Mechthild Koreuber (Springer 2020) e Emmy Noether. Vita e opere della donna che stupì Einstein (1882-1935) di Elisabetta Strickland (Carocci 2024).
Proprio come è successo con lo spettacolo teatrale, anche gli autori dei libri portano il lettore non esperto all’interno di un affascinante percorso narrativo. «I always went my own way in teaching and research», (Ho sempre seguito la mia strada nell’insegnamento e nella ricerca) scrisse una volta Emmy Noether verso la fine della sua vita. Questa breve osservazione riflette non solo il suo approccio alla matematica, ma anche il tono di base della sua biografia. Noether è stata una dei matematici più importanti del XX secolo. Attraverso la ricerca e l’insegnamento ha dato un contributo decisivo allo sviluppo dell’algebra moderna e all’emergere e alla diffusione dell’approccio strutturale alla matematica. Allo stesso tempo, era una figura visionaria profondamente convinta della fecondità dei concetti astratti, non solo per chiarire problemi concreti, ma anche per costruire teorie generali che vanno ben oltre le teorie classiche del XIX secolo, scrivono Rowe e Koreuber.

Il talento delle donne per la scienza raccontato da Elena Cattaneo

«C’è una rivoluzione in corso da cui difficilmente si potrà tornare indietro», scrive Elena Cattaneo in Scienziate, storie di vita e di ricerca (Raffaello Cortina). è la rivoluzione silenziosa delle studentesse, delle ricercatrici, delle donne che si dedicano allo studio di materie Stem e non solo. Con passione e determinazione, dovendo affrontare mille ostacoli. Nei panni inediti della “giornalista”, per scrivere questo libro la senatrice a vita e scienziata di fama internazionale è andata a incontrare colleghe che hanno primeggiato in differenti ambiti del sapere e in questo libro ci regala undici ritratti inediti e un generoso spicchio di autobiografia. Incontriamo così l’astrofisica Mariafelicia De Laurentis, che è riuscita a vedere l’invisibile dei buchi neri, e la scienziata che ha sfidato la fisica quantistica, Catalina Oana Curceanu. E poi la genetista Vittoria Colonna, l’etologa Alessandra Mascaro e tante altre. Alle loro spalle balenano tanti ritratti di pioniere che hanno aperto loro la strada (brilla per esempio il ritratto della paleontologa Mary Anning che, sfidando i pregiudizi, ebbe il coraggio di perseguire un’intuizione avuta a soli 12 anni). Non tutte sono scienziate di materie Stem in senso stretto: ci sono anche studiose come la chimica Costanza Ferrari e la filologa Silvia Ferrara che hanno fatto le loro importanti scoperte superando le rigide compartimentazioni del sapere.

Senatrice Cattaneo, in un certo senso, potremmo dire che questo suo libro è una “autobiografia collettiva” di scienziate?

Sono storie in cui mi sono rivista completamente. Pur occupandosi di ambiti del sapere molto diversi, sono donne che hanno molto in comune, a cominciare dalla passione per la ricerca. Le unisce l’idea che “si possa fare”, che nulla possa essere precluso ad una donna o un uomo per il solo fatto di essere donna o uomo. Forse questo è il messaggio collettivo.

Ogni storia diventa qui affascinante racconto. Quanto è importante comunicare la ricerca?

Io sono una fan della comunicazione, penso che il vostro lavoro sia il collante della società. E il racconto è anche un modo per spogliarsi dai ruoli prestabiliti e avvicinare le persone. Racconti così i tuoi inizi, le fragilità, che cosa vuol dire avventurarsi in un campo che magari è erroneamente considerato prerogativa maschile. Nelle storie che ho raccontato ci vedo i sogni, l’audacia, i fallimenti, inevitabili per ciascuno di noi e che non devono mai essere vissuti come una caduta senza ritorno.

Fatima Muriel: «Noi donne siamo forti, non ci distruggono»

«Questa storia nasce dal dolore». Ha ripetuto molte volte questa frase Fatima Muriel durante gli incontri e le conferenze che ha tenuto in Italia nel corso del suo lungo tour autunnale. Fatima Muriel, attivista e femminista colombiana, quando parla di «questa storia» si riferisce a quella dell’associazione di cui è fondatrice e presidente, “Alianza de mujeres tejedoras de vida” (Alleanza delle donne tessitrici di vita, Atv), e il dolore di cui parla è anche il suo. «Sono 25 anni che Atv è nata, 25 anni in cui abbiamo costruito una vera e propria rete tra le molte organizzazioni di donne del Putumayo e con cui lavoriamo per dare lavoro, dignità e ascolto alle tante donne che sono state le prime vittime del conflitto. E lo sono state in molteplici modi: come madri, come mogli, come figlie. Morte anche loro, anche se sopravvissute». Fatima stessa ha perso due fratelli, un cognato e il marito è stato ferito gravemente in un attentato. Quando parliamo del conflitto dobbiamo ricordare che la Colombia negli ultimi 60 anni ha vissuto una vera e propria guerra intestina e fratricida che ha visto contrapposti negli anni, gruppi di estrema sinistra come le Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia) o l’Eln (Esercito di liberazione nazionale) – nati per rivendicazioni sociali e sfociati nel narcotraffico – all’esercito colombiano e a gruppi paramilitari organizzati dai cartelli della droga con la connivenza dello Stato per combattere la guerriglia. Circa 500mila morti civili per mano degli uni o degli altri, secondo i dati della Commissione verità (istituita nel 2016 ndr). Ad oggi, sempre secondo la stessa fonte, sono circa 8milioni i desplazados ovvero rifugiati interni, che si sono spostati da un luogo all’altro, da una regione all’altra cercando di allontanarsi dalla violenza e lasciando dietro di loro case, appezzamenti di terra, la vita precedente. Ma sulla violenza è imperniata tutta la storia recente di questo meraviglioso Paese. E il Putumayo, caratterizzato da una selva intricata e da imponenti fiumi che fungono da vie di comunicazione, è stato a lungo la regione che ha visto il maggior numero di attori armati combattersi tra di loro o creare qui i loro quartieri generali. Durante questi anni guerriglieri e paramilitari a seconda dell’area di influenza, entravano nei villaggi, reclutavano i ragazzi anche molto piccoli per arruolarli e prendevano le ragazze per violentarle. Per questo Fatima dice che le donne sono state quelle che hanno sofferto di più. «Sono quelle che sono rimaste sole, vedove, senza figli. In molti casi sono loro che si sono immolate per cercare di farsi restituire, anche cadavere, un figlio o un marito, finendo per essere a loro volta uccise oppure violentate dai soldati. Molte hanno partorito figli e figlie della violenza sessuale e alcune solo oggi trovano il coraggio di confessare questo segreto ai figli e di affrontare insieme un percorso che è anche un percorso di riconciliazione, come quello che avviene nel Paese».

Starmer, fai davvero una cosa di sinistra?

Possiamo dire che l’era di Keir Starmer è davvero iniziata il 30 ottobre con la pubblicazione della, a lungo attesa, legge di Bilancio.
Un provvedimento con cui i laburisti hanno sorpreso gli osservatori e i mercati, perché prevede un aumento significativo delle tasse e, al contempo, un grande aumento della spesa pubblica, anche grazie alla variazione delle regole di contabilità finanziaria grazie alla quale il governo britannico decide di non contare come debito pubblico la spesa per gli investimenti. Una scelta, solo quest’ultima, che sblocca qualcosa come 50 miliardi di sterline. Appare, dunque, una manovra di bilancio di sinistra, molto più di sinistra di quanto ci si aspettasse quando Re Carlo III ha letto il programma di governo di Starmer. Anche se, come sempre, il diavolo sta nei dettagli e dunque dovremmo aspettare per vedere se, pur con queste note positive a cui abbiamo accennato, come alcuni temono, il governo aprirà anche pesantemente all’ingresso dei privati specie all’interno del sistema sanitario, rischiando dunque di vanificare la – oggettivamente – gigantesca iniezione di spesa corrente promessa da Starmer, 25 miliardi di sterline nel solo 2025 per il Sistema nazionale sanitario (Nhs).
A guidare la carica contro questa manovra Starmer ha trovato al dispatch box un nuovo leader dell’opposizione, anzi una leader. Il 5 novembre, infatti, i Tories hanno scelto la loro nuova guida, eleggendo Kemi Badenoch che ha sconfitto nettamente il suo avversario Robert Jenrich. Ancora una volta la base conservatrice ha scelto la candidata più radicale e a destra che avesse a disposizione come aveva fatto eleggendo Liz Truss nel 2022. Va detto però che questa volta, grazie agli errori di calcolo del gruppo parlamentare, la scelta era tra due rappresentanti dell’ala più reazionaria dei Tories. Il candidato considerato più centrista, e dato per grande favorito all’inizio della competizione, James Cleverly, è stato infatti sconfitto nella fase di selezione all’interno del gruppo parlamentare perché i membri del Parlamento (MPs) hanno fatto male i conti e, nel tentativo di mandare al ballottaggio Jenrich contro Cleverly ed escludere così Kemi Badenoch, hanno finito per combinare un pasticcio ed eliminare il loro candidato preferito. Fatto sta che ha assunto la leadership una personalità che negli ultimi anni si è contraddistinta per le sue posizioni ultra reazionarie più o meno su tutto: dai diritti delle persone transgender al tema dell’espulsione dei migranti, passando persino per un attacco al permesso per maternità.

Chi mise al bando la Costituzione

Il nostro è un tempo caratterizzato da profonde trasformazioni e pressanti incertezze che scuotono dalle fondamenta l’assetto stesso della nostra democrazia. Per questa ragione è naturale rivolgersi allo studio del passato per interpretare il presente. Tuttavia ciò non può esimersi – insegna Marc Bloch – dall’ingaggiare anche il processo inverso, ovvero: «Vivere il tempo che ci è dato vivere – disse Aldo Moro nel suo ultimo discorso prima del rapimento delle Brigate Rosse – con tutte le sue difficoltà». Soltanto l’essere presenti al proprio tempo consente di porre le giuste domande al passato; per capire non solo da dove si viene e dove si è arrivati, ma soprattutto qual è stato il percorso che ci ha fatti ciò che siamo.
È su questa alta misura della conoscenza che si colloca il volume di Giuseppe Filippetta, La Repubblica senza Stato. L’esilio della Costituzione e le origini della strategia della tensione (Feltrinelli), che affronta il grande tema della transizione dal fascismo alla democrazia dell’Italia che, dopo la Seconda guerra mondiale, riuscì a farsi repubblicana ma non costituzionale.
L’autore, colto giurista e per anni direttore della biblioteca e dell’archivio storico del Senato della Repubblica, muove la sua riflessione in maniera originale e preziosa perché centrata e declinata non soltanto sulla storia delle istituzioni, incapaci di rinnovare se stesse liberandosi dall’eredità dello Stato fascista, ma soprattutto su quei soggetti collettivi (dal movimento contadino in lotta per la terra a quello operaio in conflitto con il regime fordista/taylorista della fabbrica; dall’antiautoritarismo studentesco alle grandi mobilitazioni di liberazione della donna) capaci di ridurre – scrive Filippetta – «la dimensione dell’illegalità legale dello Stato postfascista» attraverso la lenta e difficile applicazione della Costituzione nata dalla Resistenza. È questa, infatti, un’altra grande questione che il volume pone tanto in funzione della storia passata quanto nei termini di quella presente: l’esilio storico-politico della Carta entrata in vigore l’1 gennaio 1948. Una messa al bando immediata che durerà per tutto il primo decennio di vita della Repubblica in ragione della natura e dei caratteri della Costituzione, informati alla rivoluzione democratica della lotta di Liberazione, vissuta come corpo ostile dalle classi dirigenti e proprietarie che nel Paese avevano voluto e sostenuto la dittatura mussolinana.

Le classi sociali esistono. E anche il conflitto

Il lavoro di Pier Giorgio Ardeni su Le classi sociali in Italia oggi, pubblicato recentemente da Laterza, è un libro importante. Mostra in maniera chiara e convincente come il passaggio nella discussione pubblica dal tema delle classi a quello delle stratificazioni sociali sia stato il portato della vittoria ideologica e politica della controffensiva neoliberista degli anni Ottanta nella società, nella politica e nelle stesse scienze sociali. Causa ed effetto di quella vittoria molto di più che il risultato di un cambiamento e complessificazione della struttura delle società liberali a capitalismo democratico dell’Occidente. Il “siamo tutti classe media” di Tony Blair e dell’Ulivismo mondiale era diretta filiazione del thatcheriano “la società non esiste, esistono solo gli individui”: aveva ben ragione nella sostanza la Lady di ferro a ritenere il concetto di classe un elemento divisivo e “comunista”. Se le classi esistono la società non è un corpo indifferenziato accomunato dalla stessa aspirazione ai consumi ed agli stili di vita borghesi, ma una realtà segnata in maniera strutturale da linee di frattura interne irriducibili, potenzialmente organizzabili ed in lotta permanente. La crisi del 2008 e la relativa stagnazione nell’Occidente ha scosso ed incrinato le narrazioni apologetiche e consolatorie che vedevano nella fine della storia e nella naturalizzazione del capitalismo un elemento indiscutibile e largamente accettato e condiviso. Crisi, recessione e la stessa pandemia hanno disvelato che la globalizzazione neoliberista non aveva garantito a tutti i soggetti sociali una crescita condivisa, la riduzione delle diseguaglianze di opportunità e reddito e l’affrancamento definitivo dai bisogni materiali (seppur a scapito della maggioranza delle popolazioni e dei Paesi del mondo).

La crescita delle diseguaglianze sociali, a partire da salari e redditi, a fronte della iperfinanziarizzazione dell’economia e della vita, riportano la discussione – con caratteri di massa – sulla materialità delle condizioni di vita e di lavoro della classe lavoratrice, direttamente salariata, autonoma ma economicamente dipendente, precaria strutturalmente e disoccupata o irretita stabilmente nelle catene dell’economia informale, grigia, al nero o direttamente para schiavistica. La storia non è affatto finita e il ritorno potenziale della politica balugina di nuovo nella crudezza della Terza guerra mondiale a pezzi. In questa nuova fase riproporre la centralità delle classi sociali nella ricerca sociologica e nel dibattito pubblico assume un significato di radicale politicità. Se ne è mostrato ben consapevole il giornale di Confindustria, Il Sole 24Ore, che ha dedicato al saggio di Ardeni una stroncatura che suona come un esorcizzare una paura – un timore – che sembra serpeggiare nelle classi dominanti. Una critica tutta impressionistica quella del vicedirettore: «la lotta di classe [che] rest[erebbe] in bianco e nero», come un film o un giornale degli Anni Sessanta, quando invece «alza[ndo] lo sguardo [ci sarebbero] i colori». Colori che per il lavoro salariato semplicemente, oggettivamente, statisticamente, non ci sono.

Accanimento universale

Circa 250 casi l’anno. I numeri della gestazione per altri (gpa) non sembravano meritare la morbosa attenzione della maggioranza di governo. Eppure è successo. Perché la Chiesa cattolica ha enfatizzato il suo rifiuto della pratica, e l’estrema destra l’ha assecondata per fini politici. Usando l’espressione “gestazione per altri” mi sono già autoidentificato come una persona che ritiene che debba essere lecita e regolamentata. Le parole sono importanti: chi invece ricorre alla rozza e scorretta variante di “utero in affitto” è qualcuno che esige che sia criminalizzata sempre. Un’ulteriore definizione in uso, “maternità surrogata”, ha connotati più neutri ed è quindi preferita da chi desidera presentarsi come super partes. Anch’essa è imprecisa: “maternità” non dovrebbe mai rimandare a una donna che madre non vuol essere. Spesso, l’ovulo fecondato non è nemmeno suo. Nel mondo, gli Stati stanno affrontando la questione in ordine sparso. Grossolanamente, si potrebbe dire che un terzo regolamenta la gpa, un terzo la vieta e un terzo non ha ancora preso posizione. La gpa è ammessa da Paesi molto diversi fra loro: la Russia e l’Ucraina, il Texas trumpiano e il Canada liberal. Tra chi la regolamenta, la maggior parte autorizza la gpa solidale, che non prevede un compenso o al massimo ammette un rimborso spese.
Come si vede, in questo caso è decisamente sbagliato parlare di «utero in affitto». Quasi tutti gli esponenti cattolici invece lo fanno. In fondo non potrebbero comportarsi altrimenti, avendo già demonizzato la fecondazione artificiale: ma in tal modo inquinano il dibattito. Per certi versi lo fa anche chi rinfaccia loro l’episodio biblico di Abramo e Sara o la gravidanza di Maria.

Gravidanza per altri solidale, ecco come

La legge 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita (Pma) aveva già vietato la “surrogazione di maternità”. Secondo l’articolo 12 infatti «chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600mila a un milione di euro». Con l’approvazione della legge 824 a prima firma Varchi, lo scorso 16 ottobre, il suddetto comma viene così riformulato: «se i fatti di cui al periodo precedente, con riferimento alla surrogazione di maternità, sono commessi all’estero, il cittadino italiano è punito secondo la legge italiana».
L’estensione della punibilità anche per i cittadini italiani che vanno in un Paese dove la gravidanza per altri (Gpa) è legale presenta dei problemi procedurali, non rispettando il principio di doppia incriminazione e di territorialità del diritto penale.
Ma a parte questo, già il divieto della legge 40 è discutibile e di difficile interpretazione. Così com’è scritto nella formula originaria è un divieto scritto male perché non spiega quale forma di gestazione per altri è vietata. Sono quindi vietate tutte le forme di gravidanza per altri, sia commerciali sia solidali? E questo divieto è giusto? Non esiste alcuna eccezione per il legislatore italiano?
Io credo che sarebbe più giusta una legge, e non solo per garantire la libertà di scelta ma per controllare che non ci siano abusi e procedure dubbie e rischiose.
Proprio per questo l’associazione Luca Coscioni, con esperti e altre associazioni, ha scritto una proposta di legge sulla gravidanza per altri solidale «al fine di evitare situazioni di incertezza normativa e di tutelare i diritti di tutti i soggetti coinvolti e, in particolar modo, dei minori nati» (il corsivo è mio).

Eva Benelli: Prima l’interesse dei bambini

Evidentemente non bastava al governo Meloni che il divieto della gestazione per altri fosse già sancito dalla legge 40/2004, legge (antiscientifica) sulla fecondazione medicalmente assistita. Così ecco quella di cui si è fatta promotrice Caterina Varchi di Fratelli d’Italia, approvata lo scorso 9 ottobre. Come è noto la nuova norma onnipotentemente bolla la gestazione per altri come reato universale. «Una dizione priva di senso», commenta la giornalista scientifica Eva Benelli, autrice del libro Gravidanza per altre persone (Bollati Boringhieri). «Quell’unico articolo ribadisce il divieto della legge 40 e afferma che il reato è tale anche se commesso all’estero. Dunque riguarda gli italiani, non l’universo mondo. Come si fa a pensare che un provvedimento approvato da un Parlamento, per quanto sovrano, possa essere validato da altri Paesi?». Potremmo dire che è un bluff solo per far passare un certo messaggio? «Beh, mettiamola così, se io fossi una persona contraria alla gestazione per altri e sentissi dire che ora è reato universale e poi scoprissi che non è vero sarei piuttosto seccata. È come trattare i cittadini da minus habens». Così questa norma scontenta tutti: ad alcuni pare una presa in giro, per altri è una crudeltà. «Soprattutto mi colpisce moltissimo questo atteggiamento aggressivo e punitivo nei confronti di persone che hanno problemi di sterilità», sottolinea Benelli. «Sono la maggioranza fra quanti si rivolgono alla gpa. Le coppie omogenitoriali sono un numero molto limitato. Parliamo perlopiù di coppie che cercano di risolvere la propria condizione patologica. Perché tanta cattiveria?». La ministra per la famiglia Eugenia Roccella è arrivata anche a invocare la delazione dei medici per individuare le coppie che ricorrono a questa pratica. «Auspicio che lascia il tempo che trova – chiosa la giornalista -. I medici hanno una chiara deontologia. E già in passato si rifiutarono quando furono invitati a denunciare i clandestini. Sono richiami ricorrenti che hanno una valenza declamatoria; credo che neanche Roccella si potesse aspettare che ci fosse una adesione a questo invito».
Ma detto questo, una parte dell’opinione pubblica è contraria alla gestazione per altri. Si teme che ci sia sfruttamento delle donne gestanti. «Io non voglio negare la complessità della situazione – precisa Benelli -. Bisogna evitare con cura che si possano verificare situazioni di abuso, in cui delle persone che hanno delle fragilità possano essere portare a fare qualcosa che non desiderano fino in fondo. Sono situazioni che riguardano anche altri contesti, come ad esempio i matrimoni forzati. Il punto non è perseguitare e perseguire ma tutelare tutte le persone coinvolte in un percorso di gestazione per altri, come tanti Paesi hanno fatto».

Vogliono colpire la libertà di scelta

Quello tecnico-giuridico è solo l’aspetto formale e, tutto sommato quasi residuale, di quello che è stato veicolato a livello politico e mediatico come «il reato universale di surrogazione di maternità».
E non sono stati risparmiati toni ora trionfalistici ora minatori nei confronti di quelle sparute e sventurate coppie che, per i più vari motivi, non essendo potute accedere né alla fecondazione assistita né all’adozione, hanno avuto l’ardire sacrilego e criminale di provare una soluzione antica… come la Bibbia! E già, perché ritornando per un momento alla memoria delle interminabili e sfiancanti “ore di religione” di noi boomers (altra stoffa! e non me ne vogliano quelli delle generazioni X, Y e Z) ci dovremmo ricordare della storia di Agar.
Agar, la schiava egiziana che Sara, moglie di Abramo, offrì (sic!) al marito per dargli quella discendenza che la sua sterilità gli aveva negato e che quindi rendeva di assai difficile realizzazione la promessa fatta dal Padreterno ad Abramo di farlo diventare «il capostipite di una moltitudine che non si può contare» (Genesi 13,16).
E così, dando per scontato che quello sterile non poteva essere Abramo perché altrimenti la promessa di farlo diventare «il capostipite di una moltitudine che non si può contare» si sarebbe rivelata un tantino beffarda, Sara si fa carico del problema e in men che non si dica lo risolve, “offrendo” la sua schiava al marito e commettendo il primo reato universale della storia (l’aggettivo, tra diluvi e giudizi, era piuttosto in voga all’epoca).
Ora però, al di là della vicenda specifica, vera o inventata che sia, la narrazione biblica ci dice tre cose che ci riportano immediatamente alla realtà di oggi. Primo: anche tremila anni fa esisteva il problema della infertilità. Secondo: anche tremila anni fa il problema era tutto sulle spalle delle donne.
Terzo: anche tremila anni fa il problema veniva risolto solo dalle donne.
Prima di tutto quindi, l’infertilità è un problema e anzi, per tante donne e uomini è un problema drammatico, soprattutto quando anche la scienza risulta impotente. Si pensi, tanto per fare un esempio, alla rara (ma poi neanche così tanto) sindrome di Rokitansky in cui l’infertilità è dovuta alla assenza dell’utero e delle tube per cui la gravidanza è materialmente impossibile e l’unica soluzione è la fecondazione in vitro e la surrogazione di maternità.