Nel romanzo Il tempo delle iene – che insieme a L’ottava vibrazione e Albergo Italia forma una trilogia – Carlo Lucarelli ripercorre la storia del colonialismo italiano in Eritrea. Lo fa in forma di giallo raccontando le avventure del commissario Colaprico e del suo braccio destro, l’eritreo Ogbà. Riuscendo a tratteggiare un vivido quadro delle nostre responsabilità in questa campagna africana, all’inizio ammantata di incivilimento risorgimentale e di vanità della monarchia sabauda. E poi sfociata nel feroce colonialismo fascista. «Sul nostro dimenticato o comunque sempre poco conosciuto passato coloniale gli storici hanno scritto molti libri, saggi approfonditi sia per quanto riguarda l’Italia liberale che poi quella fascista», fa notare lo scrittore bolognese. «Ma ciò che ancora ci manca è un immaginario familiare che possa riempire quei momenti e fargli da sfondo. Il compito della narrativa è proprio questo: mettere in scena dei meccanismi
riempiendoli di emozioni». In effetti è piuttosto curioso che per capire le dinamiche del colonialismo molti di noi abbiano più presente la vicenda del generale Custer che quella Vittorio Bottego. «Io stesso fin da bambino sapevo tutto di Little Big Horn e niente della battaglia di Adua. Anche perché – dice Lucarelli – studiare e appropriarsi di quel passato significa capire molto di quello che succede nel presente, che spesso ha proprio là le sue radici».
Una frase di Sherlock Holmes torna a risuonare in questo ultimo romanzo di Lucarelli pubblicato da Einaudi: «Non c’è niente di più innaturale dell’ovvio». E nel pensare comune ovvia, quanto costruita ad hoc, è l’immagine degli italiani “brava gente”. La leggenda del «colonialismo dal volto umano» è stata una delle più longeve e tenaci. Tanto che storici come Angelo Del Boca hanno passato la vita a cercare di smontarla, scrivendo libri che documentano la violenza italiana. E con lui grandi scrittori come Corrado Stajano.
«Gli studi di Angelo Del Boca sono fondamentali per chiunque voglia avvicinarsi all’argomento come anche quelli di Nicola Labanca, Irma Taddia o Massimo Zaccaria. Corrado Stajano, poi, è sempre un maestro. «Il mio immaginario “coloniale” viene da lì – ammette Lucarelli -, dall’esperienza diretta su quei luoghi e dall’esame critico di memoriali e fotografie». Ma il mito degli italiani brava gente, non investe soltanto il periodo coloniale. «Si estende pesantemente anche alle guerre e all’occupazione italiana. È un mito ambiguo e ingannatore, per cui possiamo trovare a livello individuale moltissimi esempi di grande umanità, ma altrettanti e più – soprattutto a livello collettivo- esempi di quella ferocia e di quella crudeltà. Quello che abbiamo fatto in Etiopia con i gas, per esempio, o con le stragi di Addis Abeba e Debrà Libanos, oppure quello che abbiamo fatto nella Jugoslavia occupata con i nazisti, lo dimostra senza possibilità di equivoco»….@simonamaggiorel ( continua sul numero in edicola)