Tiberio Bentivoglio ha aperto la sua sanitaria dentro un bene confiscato alle mafie. È il primo imprenditore in Italia a farlo. 24 anni di lotta al racket: 47 denunce, una bomba e un tentato omicidio. Ma ha vinto lui

L’appuntamento è in corso Vittorio Emanuele, lungo la strada che costeggia il lungomare di Reggio Calabria. La giornata è piovosa. Al civico 41 due soldati in mimetica, mitragliette al braccio, presidiano un ingresso. Dietro la porta, c’è la “Sanitaria Sant’Elia” di Tiberio Bentivoglio. Il negozio di una vittima della ’ndrangheta. Dentro un bene confiscato alla ’ndrangheta.
«Qui ci sono le scarpe per adulti, qui il reparto per bambini, qui è l’area biberon». Tiberio mi accompagna a visitare i 240 metri quadri della sua nuova sanitaria. Mancano poche ore all’apertura, che si terrà il 15 marzo. Tutto intorno, c’è ancora il brulicare degli operai a lavoro. E poi la moglie Enza e i figli. E ci sono pure molti reggini, che passano per dare una mano o anche solo per portare un caffè. Per sostenere questa piccola rivoluzione, in città, è nato anche un comitato promosso da Libera, che sotto il nome di “Un seme per Enza e Tiberio Bentivoglio” ha raccolto più di 43mila euro per pagare i lavori e riacquistare la merce andata distrutta.

«Abbiamo lavorato tutti», conferma soddisfatto Tiberio: «Ora ci dobbiamo lasciare alle spalle la puzza di bruciato», riferendosi a quel che resta del suo deposito, dato alle fiamme il 29 febbraio, e che ancora sta fumando in un’altra parte della città. Ma adesso siamo qui, in centro città. Nei locali che un tempo ospitavano la sala giochi “Trocadero”, uno dei 260 beni confiscati al “re del videopoker”, Gioacchino Campolo, a maggio del 2012. Ora che la Corte di Cassazione ha confermato la condanna a 16 anni per Campolo (accusato di estorsione aggravata dalle modalità mafiose nei confronti di alcuni dipendenti delle sue aziende), i suoi beni sono passati alla confisca definitiva. Incluso questo. È la prima volta in Italia che un imprenditore ottiene l’utilizzo di un bene confiscato alle mafie. La legge 109/96 – che Tiberio definisce «monca» – prevede che i beni immobili possano essere concessi gratuitamente ad associazioni, istituzioni e cooperative sociali, o dati in affitto alle imprese.

«Allora il lavoro pulito non ha carattere sociale?», si chiede con tono retorico Tiberio. «Oggi stiamo dicendo agli altri imprenditori: entrate nei beni dei mafiosi e dite loro: “Non solo mi rifiuto di pagarti il pizzo, ma entro pure nel tuo bene per lavorare onestamente”». Per dirlo, Bentivoglio, ha accettato di pagare un affitto per questo spazio, concordandolo con il Tribunale di prevenzione prima e con l’Agenzia per i beni confiscati poi (dal momento in cui a ottobre 2015 il bene è passato alla confisca definitiva). E tra pochi mesi il suo affittuario sarà il Comune di Reggio Calabria. «E non pensare che sia più facile!», mi avverte Tiberio. «Perché guarda che la burocrazia aumenta continuamente».


 

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