Dovrei scrivere un editoriale su ciò che succede. Avrei dovuto. Leggere la rassegna stampa, immaginare il tema prominente, studiare per costruirmi un'idea e poi prendere la penna che, tra l'altro, ha così poca poesia appiattita sulla tastiera di un computer. Poi avrei dovuto formare una visione cominciando da una storia minima per arrampicarmi su uno sguardo totale. Ecco. Il mio buongiorno, anche oggi, avrebbe dovuto essere così. Invece è successo che un'amica, presenza di pomeriggi passati a casa mia, lei e la mia compagna nei pomeriggi passati a leggere insieme e poi noi a discutere del più o del meno (che è scienza popolare ma difficilissima e spesso esatta); insomma un'amica ha deciso di togliersi la vita. Suicidio. Che è una parola, il suicidio, che si tende a evitare come tumore, incidente, malattia o colpa. Una di quelle parole che attorciglia lo stomaco, chissà perché, qui da noi dove siamo abituati ala pornografia in tutti i settori. Comunque è successo che una persona che incrociavo per casa, ultimamente sempre più silenziosa e persa, poi d'improvviso abbia smesso di essere. Così, di colpo. Si suicidano sempre quando molli la presa, le persone che conosci; come se giocassero ad allentare la corda tutto intorno per poi stringersela al collo. Ogni suicidio è un buco in un lago, un muro di traverso in un rettilineo di autostrada. Mi domando, stamattina, se ci sia una modo di incastrare una cosa così in un lavoro, il mio, che consiste principalmente nel riordinare quello che mi succede intorno. E perdo, di fronte al suicidio di Manu. Non c'è senso, motivo, scrittura, filo rosso. Niente. E allora mi sono detto: fingo di fingere di credermi interessato a qualcosa che mi sfiora soltanto tra i fatti del mondo o confesso? Confesso, mi sono detto. Confesso che la vita è tutto un indaffararsi di spiegazioni e poi ci sono battaglie personali che sbriciolano quello che resta. Abbiamo analisi internazionali sullo sviluppo delle ere e non riusciamo ad allinearci alla disperazione di qualcuno che frequentiamo. Come siamo fallibili. Come siamo piccoli. Come siamo inumani nel cogliere i dolori. Scriviamo notizie e intanto ci perdiamo le persone, a volte. Buona martedì.

Dovrei scrivere un editoriale su ciò che succede. Avrei dovuto. Leggere la rassegna stampa, immaginare il tema prominente, studiare per costruirmi un’idea e poi prendere la penna che, tra l’altro, ha così poca poesia appiattita sulla tastiera di un computer. Poi avrei dovuto formare una visione cominciando da una storia minima per arrampicarmi su uno sguardo totale. Ecco. Il mio buongiorno, anche oggi, avrebbe dovuto essere così.

Invece è successo che un’amica, presenza di pomeriggi passati a casa mia, lei e la mia compagna nei pomeriggi passati a leggere insieme e poi noi a discutere del più o del meno (che è scienza popolare ma difficilissima e spesso esatta); insomma un’amica ha deciso di togliersi la vita. Suicidio. Che è una parola, il suicidio, che si tende a evitare come tumore, incidente, malattia o colpa. Una di quelle parole che attorciglia lo stomaco, chissà perché, qui da noi dove siamo abituati ala pornografia in tutti i settori.

Comunque è successo che una persona che incrociavo per casa, ultimamente sempre più silenziosa e persa, poi d’improvviso abbia smesso di essere. Così, di colpo. Si suicidano sempre quando molli la presa, le persone che conosci; come se giocassero ad allentare la corda tutto intorno per poi stringersela al collo. Ogni suicidio è un buco in un lago, un muro di traverso in un rettilineo di autostrada.

Mi domando, stamattina, se ci sia una modo di incastrare una cosa così in un lavoro, il mio, che consiste principalmente nel riordinare quello che mi succede intorno. E perdo, di fronte al suicidio di Manu. Non c’è senso, motivo, scrittura, filo rosso. Niente.

E allora mi sono detto: fingo di fingere di credermi interessato a qualcosa che mi sfiora soltanto tra i fatti del mondo o confesso? Confesso, mi sono detto. Confesso che la vita è tutto un indaffararsi di spiegazioni e poi ci sono battaglie personali che sbriciolano quello che resta. Abbiamo analisi internazionali sullo sviluppo delle ere e non riusciamo ad allinearci alla disperazione di qualcuno che frequentiamo.

Come siamo fallibili. Come siamo piccoli. Come siamo inumani nel cogliere i dolori.

Scriviamo notizie e intanto ci perdiamo le persone, a volte.

Buona martedì.

Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.