La storia di Giulio è anche quella di cinque egiziani ingiustamente accusati, e uccisi, per la sua scomparsa. Nella graphic novel di Pietro Scarnera e Marino Neri non manca niente. «Quello che cerchiamo di fare è di andare al di là delle immagini che normalmente circolano sui media». E difatti, raccontano la loro storia senza mai disegnarli. «L'idea era di evocare quanto quei corpi "pesino" e siano "ingombranti" per l'Egitto ma anche per l'Italia».

È passato un anno da quando il giovane ricercatore è scomparso. Trovato morto solo il 3 febbraio su una strada che porta al Cairo, su cosa sia successo in quei giorni – e in quelli precedenti – c’è ancora il buio. Proprio per chiedere la verità sulla morte e sulle probabili torture subite da Giulio, un ragazzo che «faceva troppe domande», a Roma è in corso una manifestazione nazionale indetta da Amnesty International, che assieme ai genitori di Regeni si sta battendo senza sosta con le autorità italiano contro l’omertà del governo egiziano.

A Bologna invece, il sito di informazione a fumetti graphic-news.com ha pubblicato un reportage a fumetti che ne ricostruisce i passaggi. In Tutto il male del mondo, non manca niente. Il tratto delicato, spesso essenziale ma incisivo del modenese Marino Neri, come nella sintesi lapidaria e tuttavia poetica del torinese Pietro Scarnera, riportano la vicenda in tutta la sua brutalità senza tuttavia mai sfiorare lo splatter.

«A un anno dai fatti, ricostruiamo una vicenda tutt’altro che risolta», spiegano gli autori, Marino Neri e Pietro Scarnera. Sull’assassinio del 28enne friulano, avvenuto il giorno dell’anniversario della rivoluzione che pose fine al regime di Mubarak, si sa ancora troppo poco. Dall’ultimo messaggio, inviato alle 19:41 alla sua ragazza, passando per le bugie di Al-Sisi, fino alle torture di cui il corpo di Regeni portava chiara testimonianza.

Prima si è parlato di incidente stradale, poi di delitto passionale tra omosessuali, poi – immancabilmente – di droga. Mancava l’epilessia, di cui sarebbe morto u’altra vittima di torture, stavolta in Italia, Stefano Cucchi. In attesa della ricostruzione ufficiale, sono i corpi dei due ragazzi a parlare per loro, raccontandoci cos’hanno subito.

«In questo caso specifico – dice a Left Scarnera – l’idea era di raccontare una storia di torture senza mostrarle. I disegni di Marino (i cui lavori sono stati tradotti anche all’estero, ndr) hanno una grazia e una sensibilità che secondo noi si prestava molto bene a raccontare questa vicenda».

 

In generale, spiega, «quello che cerchiamo di fare è di andare al di là delle immagini che normalmente circolano sui media. Quindi in questo caso abbiamo raccontato la storia di Giulio Regeni, e dei cinque egiziani ingiustamente accusati e uccisi per la sua scomparsa, senza mai disegnarli, in effetti. L’idea era anche di evocare quanto quei corpi “pesino” e siano “ingombranti” per l’Egitto ma anche per l’Italia».

Perché «la storia di Giulio Regeni – ricordano i due disegnatori  – è anche quella di cinque egiziani ingiustamente accusati, e uccisi, per la sua scomparsa». Se la versione ufficiale è molto lontana dalla verità, ancora meno è nota quella riguardante altre vittime, la cui storia è scomparsa nel nulla.

Sono Ibrahim Farouq, Tariq Sa’ad e suo figlio, Salah Ali e Mustafa Bakr. I componenti della “gang criminale” che avrebbe ucciso Regeni, uccisi a loro volta. «L’idea della storia – racconta ancora il disegnatore torinese, che con il suo primo lavoro, Dairio di un addio (Comma 22, 2010), ha vinto il concorso Komikazen – nasce dall’incontro con la giornalista egiziana Basma Mostafa, che ha indagato sui cinque egiziani realizzando un video in cui intervistava i loro familiari. Sono storie molto simili, e dimostrano che la vicenda di Regeni non è un caso isolato, come del resto mostra anche il rapporto di Amnesty International. Per noi, chiedere verità per Giulio Regeni significa continuare a tenere alta l’attenzione sui diritti umani in generale».

E cosa succederà nelle strade del Cairo oggi, nel giorno di questo cupo solstizio politico, non lo sa nessuno.

Impicciarsi di come funzionano le cose, è più forte di lei. Sarà per questo - o forse per l'insanabile e irrispettosa irriverenza - che da piccola la chiamavano “bertuccia”. Dal Fatto Quotidiano, passando per Narcomafie, Linkiesta, Lettera43 e l'Espresso, approda a Left. Dove si occupa di quelle cose pallosissime che, con suo estremo entusiasmo invece, le sbolognano sempre: inchieste e mafia. E grillini, grillini, grillini. Dalla sua amata Emilia-Romagna, torna mestamente a Roma, dove attualmente vive.