Il primo settembre è scaduto il termine entro cui la Santa Sede doveva presentare all’Onu le prove a conferma del rispetto della Convenzione per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Ma non l’ha fatto. Zanardi (Rete l'abuso): L’accattivante campagna mediatica del Vaticano non si traduce mai in fatti concreti. Sarebbe questa la «tolleranza zero» di cui parla tanto Bergoglio?

«La Commissione è fortemente preoccupata perché la Santa Sede non ha riconosciuto la portata dei crimini commessi, né ha preso le misure necessarie per affrontare i casi di abuso sessuale e per proteggere i bambini, e perché ha adottato politiche e normative che hanno favorito la prosecuzione degli abusi e l’impunità dei responsabili». Molto probabilmente solo i lettori abituali di Left ricorderanno queste parole e chi le scrisse. Erano i primi giorni di febbraio del 2014 e la notizia passò sugli altri media italiani come una meteora. Si tratta di uno dei passaggi più significativi del durissimo atto di accusa delle Nazioni unite contro la Chiesa di Roma per le sue colpevoli ambiguità e mancanze nella lotta contro la pedofilia, oltre che per le calcolate complicità dei gerarchi vaticani con i preti pedofili responsabili di migliaia di crimini compiuti in tutto il mondo. Il Rapporto conclusivo, che si può consultare sul sito dell’Unhcr (la sezione Diritti umani delle Nazioni unite), venne elaborato in virtù della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia. Ratificata nel 1990 dalla Santa Sede, la Convenzione prevede come clausola ineludibile per i firmatari l’obbligo di adottare ogni misura possibile per tutelare i diritti fondamentali dei minori, in quanto persone, e per proteggere la loro crescita da qualsiasi situazione a rischio. Gli investigatori di Ginevra, sulla base di solide prove e testimonianze, dissero chiaro e tondo agli emissari di papa Francesco che nel periodo preso in esame, tra il 1994 e l’inizio del 2014, la Santa Sede non aveva fatto praticamente nulla di concreto per evitare che dei bambini venissero stuprati da educatori, confessori, insegnanti, catechisti, seminaristi etc. in tonaca.

Non solo. Ogni tre-cinque anni è previsto un “tagliando” per fare il punto ed eventualmente concordare nuove strategie di prevenzione e contrasto del crimine. Ma la Santa Sede, dopo un primo report presentato il 2 marzo 1994 (con 18 mesi di ritardo rispetto al dovuto: 1 settembre 1992), non aveva fatto pervenire più nulla a Ginevra. Fino a quando, appunto – sulla base delle denunce di alcune associazioni internazionali che si occupano dei diritti dei “sopravvissuti” (così si definiscono le vittime ancora vive, della pedofilia clericale) – nell’estate del 2013 non è stata la stessa Commissione a sollecitare papa Francesco affinché producesse le prove per scagionare la Chiesa da pesantissime accuse di negligenza e complicità. In pratica, né Giovanni Paolo II, né Benedetto XVI avevano ritenuto di dover rispettare l’impegno (né di preoccuparsi più di tanto per l’incolumità dei minori che frequentavano ambienti gestiti da religiosi). Non un rigo arrivò nella sede Onu della Commissione dopo lo scandalo di….

L’inchiesta di Federico Tulli prosegue su Left in edicola


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Scrivevo già per Avvenimenti ma sono diventato giornalista nel momento in cui è nato Left e da allora non l'ho mai mollato. Ho avuto anche la fortuna di pubblicare articoli e inchieste su altri periodici tra cui "MicroMega", "Critica liberale", "Sette", il settimanale uruguaiano "Brecha" e "Latinoamerica", la rivista di Gianni Minà. Nel web sono stato condirettore di Cronache Laiche e firmo un blog su MicroMega. Ad oggi ho pubblicato tre libri con L'Asino d'oro edizioni: Chiesa e pedofilia. Non lasciate che i pargoli vadano a loro (2010), Chiesa e pedofilia, il caso italiano (2014) e Figli rubati. L'Italia, la Chiesa e i desaparecidos (2015); e uno con Chiarelettere, insieme a Emanuela Provera: Giustizia divina (2018).