Strazio, freddo, fame e dolore. È il lungo inverno dei rifugiati in Grecia. Più di 8500 persone sono prigioniere nell’isola di Lesbo, rinchiuse in un campo di detenzione che era adibito ad accogliere al massimo tremila richiedenti d’asilo. «Gli animali vivono meglio, questa non è una vita per umani» dicono i siriani rimasti bloccati sulla costa greca da quando la rotta balcanica è stata chiusa, nel 2016, dopo un accordo tra Ankara ed Unione europea, per mettere fine all’esodo di oltre un milione di migranti.
Da metà ottobre seimila richiedenti d’asilo sono stati trasferiti sulla terraferma, ma in migliaia ancora vivono in condizioni disumane. L’inverno comincia a mordere e bisogna combatterlo, accelerare i tempi, le strutture sono inadeguate a sopportare il freddo. Molti rifugiati vivono nelle tende e non hanno spazio nemmeno nei container. Sono state trasferite sulla terraferma greca dalle isole 15mila persone nell’ultimo anno, ma non è abbastanza.
Tra le onde freddissime dell’Egeo, sono sbarcati 254 migranti sulle coste greche nelle ultime 24 ore, mentre 55 su un gommone sono stati invece intercettati e trasportati indietro sulle coste turche dalla Guardia costiera di Erdogan. Ora i nuovi rifugiati si uniranno ai migranti all’interno del campo di Moria: negli ultimi 18 mesi la capacità di accoglienza della struttura ha superato di tre volte la sua effettiva capacità di ricezione. I rifugiati vivono in condizioni disumane. Lo stesso accade a Leors, Chios, Samos, Kos, ma è sull’isola di Lesbo che la situazione è peggiore che altrove.
L’Unhcr continua a mettere pressione alle autorità greche per i trasferimenti mancati e per le condizioni in cui versano le strutture d’accoglienza. «Le tensioni nei centri di ricezione dei migranti e sulle isole stanno aumentando da questa estate, quando il numero degli arrivi ha cominciato ad aumentare» ha detto Cecile Pouilly, portavoce dell’agenzia Onu per i rifugiati. In alcuni casi le autorità locali si sono opposte agli sforzi per introdurre miglioramenti nei centri di detenzione.
Le condizioni sono così cattive che anche il ministro greco per la migrazione si è detto preoccupato. Per il sindaco dell’isola di Lesbo, Spyros Galinos, è «una disgrazia nazionale, le condizioni sono più che deplorevoli», all’interno della rete del campo di registrano episodi di alcolismo, prostituzione, scontri tra gruppi etnici rivali. Il sindaco ha definito la struttura una prigione a cielo aperto e incita a protestare e scioperare.
A Mytilini, la più grande città dell’isola, i migranti ora sono un terzo della popolazione: «è una situazione d’emergenza che richiede soluzione d’emergenza» ha detto il sindaco. «Bisogna fare qualcosa a Moria, se le infrastrutture non miglioreranno, le persone moriranno». Il campo di Moria, dicono i volontari delle organizzazioni per i diritti umani che lavorano all’interno, è più abitato di Manila, la città più densamente popolata al mondo.
Bloccati in quello che era un campo militare, ora trasformato con tende e container in un centro per rifugiati, i migranti affrontano la stagione più gelida. La scritta che qualcuno ha lasciato con un graffito all’entrata dice «benvenuti alla prigione di Moria». Con l’attenzione mediatica ormai spenta, i rifugiati si fanno sentire come possono. E anche il sindaco disperato dell’isola: «ho paragonato il campo a Guantanamo, non ci sono mai stato a Guantanamo, ma forse effettivamente lì vivono meglio».