Ricordate i migranti che Salvini voleva trasferire in Albania, in barba alle leggi e al diritto internazionale? Dopo il calvario nel deserto, le torture in Libia, il naufragio e la segregazione nel porto di Catania in attesa dell’asilo hanno trovato un tetto. Nell’hotspot di Messina

Amina non sapeva cosa le avrebbe riservato quel viaggio. In cerca di una possibilità, di una vita diversa, di un futuro, parte nel 2015 dall’Eritrea. Vuole raggiungere il nord Europa. E lasciarsi indietro il suo Paese, fatto di torture per chiunque osi opporsi al regime, povertà, leva obbligatoria anche per le donne, mancanza di prospettive. Amina (per tutelarne l’incolumità il nome è di fantasia, a differenza della triste e realissima vicenda) è una dei 150 migranti che il governo giallonero ha tenuto per dieci giorni in ostaggio a bordo della nave Diciotti della Guardia costiera, ad agosto. Centocinquanta esseri umani in gravi condizioni fisiche e psicologiche, ridotti a pedine nella scacchiera politica del ministro dell’Interno, manovrati per tentare di vincere la partita con l’Ue sulle ricollocazioni (partita rapidamente persa) e apparire vittoriosi di fronte al proprio elettorato. Incassare consensi sulla pelle delle persone.
«Sapete dove andranno? Alcuni degli immigrati, ed è un risultato miracoloso che non si è mai visto in venti anni, vanno in Albania» sbraitava Salvini di fronte ai fan in visibilio a Pinzolo. Nel frattempo il suo spin doctor, onnipresente sui social, Luca Morisi, twittava: «Caso Diciotti risolto da Salvini. Gli immigrati saranno portati in un centro a Messina, e poi cominceranno le operazioni di distribuzione che coinvolgeranno anche…

L’inchiesta di Leonardo Filippi prosegue su Left in edicola dal 5 ottobre 2018


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