I diplomatici definiscono “ambiguità costruttiva” la strategia italiana per non rompere i rapporti con l’Egitto. In ballo ci sono accordi per 5 miliardi. Ecco perché in certi ambienti la giustizia per il giovane ricercatore ucciso al Cairo nel 2016 è vissuta come un fastidio

Un irritante. Nel gergo dei diplomatici un caso come quello di Giulio Regeni è definito proprio così, irritante. Per capirci, anche l’omicidio di alcuni pescatori poverissimi da parte dei famosi due marò fu un irritante caso tra India e Italia. Le relazioni tra due Paesi sono un affare complesso e le vite delle persone in carne e ossa suscitano tutt’al più risentimento, stizza, fastidio; così recitano i dizionari alla voce irritante. Ma non possono rallentare più di tanto gli affari.
Questo succede tra Italia ed Egitto: i dossier minori – ad esempio la cooperazione interuniversitaria, Regeni era lì per questo – sono rallentati, a volte congelati. Il dialogo politico continua e vanno avanti gli scambi commerciali. Ancora per usare il gergo delle feluche, questo processo si chiama “ambiguità costruttiva”.
«Rompendo i rapporti non hai più leve – spiega a Left una fonte esperta di Farnesina – e se quegli affari non li fai tu, è pronto a farli qualcun altro. Al Cairo c’è la fila: gli emirati del Golfo, Russia, Cina, Gran Bretagna». Oppure Macron: «L’Italia è il primo partner commerciale dell’Egitto – ricorda Maaty Elsandoubi, giornalista egiziano impegnato nella lotta per la verità sul caso Regeni e per i diritti umani sulle due sponde del Mediterraneo – ma è insidiato da Macron che sta vendendo armi ad al-Sisi e si conferma un concorrente politico e commerciale in quello scacchiere». Il generale Haftar, l’uomo che controlla la Cirenaica e che sta bloccando la riconciliazione in Libia, è legatissimo al dittatore egiziano (entrambi erano alla conferenza di Palermo convocata dal governo giallonero) che, a sua volta…

L’inchiesta di Checchino Antonini prosegue su Left in edicola dal 25 gennaio 2019


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