Il problema del climate change è globale e va affrontato con urgenza. Perché determina disastri ambientali e diseguaglianze. «Fortunatamente non tutto è ancora perduto e i giovani l’hanno capito», dice lo scienziato Roberto Buizza

A Reykjavik e oltre il circolo polare artico, a metà febbraio, i turisti sono rimasti delusi: lo spettacolo dell’aurora boreale non aveva la magia immaginata senza il candido manto bianco, soppiantato da un paesaggio triste di alberi spogli e fango.
Ma quasi non fanno più scalpore i disastrosi e ricorrenti incendi propagati dalla lunga siccità in California. E anche il gelo polare che ha paralizzato quest’inverno New York e trasformato la Baia dell’Hudson in una lastra di ghiaccio, scenario degno di un film apocalittico, sembra destinato al dimenticatoio primaverile.
Eventi meteorologici anomali ed estremi come piogge torrenziali continuano, anno dopo anno, a devastare Paesi del Mediterraneo come il nostro, mentre ondate di calore intenso hanno fatto oltre 100mila vittime nel Nord Europa, Russia inclusa, negli ultimi quindici anni. Eppure resiste una fetta consistente dell’opinione pubblica occidentale, soprattutto delle élite al governo a cominciare proprio da Russia e Stati Uniti, in cui continua a prevalere il negazionismo sull’allarme lanciato dagli scienziati dell’Ipcc – l’Intergovernmental panel on climate change – che sotto l’egida dell’Onu hanno tentato nella conferenza di Katowice a dicembre di rianimare gli impegni dell’accordo di Parigi per mantenere almeno sotto i due gradi la temperatura media del pianeta entro fine secolo. In Polonia non è stato raggiunto alcun accordo vincolante, solo la solita professione di intenti.
I ragazzini che si sono mobilitati sulla scia della teatrale indignazione messa in atto dalla sedicenne svedese Greta Thunberg ora sfidano l’inerzia dei governi e sono oggi gli unici veri alleati dei climatologi.
Roberto Buizza è un fisico dell’atmosfera, matematico, per una trentina d’anni ha messo a punto modelli per le previsioni meteorologiche in Inghilterra, dove fino a pochi mesi fa dirigeva un team di ricerca dell’European centre for medium-range weather forecast (Ecmwf), ente intergovernativo supportato da 34 Stati per le previsioni globali. Tornato in Italia, dalla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa intende mettere su un centro studi in tandem con l’ateneo di Pavia sulla climatologia. «In Italia – dice – c’è veramente molto da fare. È necessario puntare sulle nuove generazioni».
Professore, a Katowice è stato detto che resta poco più di un decennio per dimezzare le emissioni dei gas serra. Siamo spacciati?
Il problema è globale e va affrontato urgentemente senza ombra di dubbio. Ma secondo me bisogna stare attenti a non essere troppo catastrofisti, per non alimentare il senso dell’irreparabilità e la perdita di speranza che inibisce l’azione. Abbiamo le conoscenze e le risorse per affrontare il problema. Quindi con le scelte giuste, abbiamo gli strumenti per affrontarlo. Allo stesso tempo non possiamo negare che non abbiamo mai registrato cambiamenti del clima così imponenti in tempi così rapidi. Ci sono state altre modificazioni climatiche e ambientali nella storia umana ma con un tempo lungo per adattarsi, ora invece la scala è dell’ordine delle decine di anni.
Cosa pensa che sia successo?

 

L’intervista di Rachele Gonnelli a Roberto Buizza prosegue su Left in edicola


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