«Non certo questa Repubblica pensò Giuseppe Mazzini. Egli voleva una Repubblica laica e questa non è che una Repubblica confessionale; voleva una Repubblica a carattere profondamente sociale, in cui scomparisse il privilegio e su di esso trionfassero le forze del lavoro», scriveva Sandro Pertini su L’Avanti! del 2 giugno 1949. «In questa Repubblica, invece, domina ancora, e più prepotente che mai, il privilegio: i ricchi sono sempre ricchi, più ricchi di prima; i poveri sono sempre poveri, più poveri di prima», denunciava l’ex partigiano e futuro presidente della Repubblica.

Al di là del riferimento a Mazzini (di cui in quell’articolo tracciava un profilo che assomiglia più a un autoritratto che a un ritratto del patriota spiritualista genovese) colpisce quanto la situazione denunciata in quell’intervento del ’49 sia drammaticamente assonante con quella odierna. Benché siano trascorsi settant’anni nulla è cambiato rispetto all’ingerenza del Vaticano nel governo italiano. Allora come ora si registra il tradimento dei valori della Costituzione antifascista e laica che parla di Repubblica democratica fondata sul lavoro e di «pari dignità sociale». «Questa Repubblica è democratica solo nella forma - approfondiva Pertini - perché in essa le libertà politiche, non sorrette da alcuna giustizia sociale, vanno risolvendosi in un beneficio per una minoranza e in una beffa per milioni di lavoratori...Questa Repubblica rimarrà uno strumento di reazione, finché essa sarà dominata dalle forze clerico-conservatrici e lettera morta, quindi, resteranno i principi consacrati dalla nuova Costituzione».

Ancora oggi è drammaticamente disatteso l’articolo 4 della Carta là dove dice che «la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni per renderlo effettivo».

Invece di attuare l’art. 3 della Costituzione, in cui si afferma che è compito della Repubblica «rimuovere gli ostacoli che impediscono l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» i governi di centrosinistra (quello di Renzi in particolare) e di destra hanno fatto a gara per bypassare la contrattazione, per depotenziare i sindacati e per ridurre, togliere, e negare le tutele ai lavoratori. Provvedimenti come il Jobs act hanno dato il colpo di grazia al sistema delle tutele, aumentando la precarizzazione. Con il decreto dignità e con il cosiddetto reddito di cittadinanza (che tale non è in quanto reddito condizionato) il governo giallonero, lungi dall’aver abolito la povertà, si è limitato a fare un po’ di elemosina senza mettere in atto politiche di sviluppo e di creazione di nuovi posti di lavoro. Intanto, con la flat tax avvantaggia i ricchi.

La festa dei lavoratori 2019 si staglia su una congiuntura drammatica: la crisi del 2008, “curata” con la stessa ricetta neoliberista che l’aveva prodotta, ha desertificato i diritti, frammentato il mercato del lavoro, sospinto ai margini della società, in primis, giovani, donne e migranti. Disoccupazione e sfruttamento intensivo oggi vanno a braccetto, massacrando la vita di chi ha perso persino la speranza di trovare un lavoro e di chi - come emerge dalle inchieste nello sfoglio di copertina - lavora a cottimo schiavizzato dalle catene di distribuzione.

In questo quadro è assordante il silenzio che circonda la precarietà di chi è costretto a fare lavori occasionali, lavori alla giornata e a chiamata che impediscono di fare progetti, di organizzarsi la vita. Chi lavora in queste condizioni senza alcuna tutela e in un quadro di fortissima competizione è ricattabile, non si può permettere di rifiutare nessuna offerta, anche se il salario è da miseria. Così il lavoro povero oggi è diventato una normalità. Una scandalosa normalità.

«È giusto che in Italia, mentre i grandi monopoli continuano a moltiplicare i loro profitti e le loro ricchezze, ai lavoratori non rimangano che le briciole? È giusto che il salario dei lavoratori sia al di sotto dei bisogni vitali dei lavoratori?» si chiedeva un grande segretario della Cgil come Giuseppe Di Vittorio nel suo ultimo discorso nel 1957. È giusto che disoccupazione e disumane condizioni di lavoro arrivino oggi anche a soffocare le proprie esigenze e aspirazioni, la possibilità di vivere gli affetti, la possibilità di una realizzazione profonda di sé nel rapporto con gli altri? È tempo di una vera e propria rivoluzione del sistema di produzione, del mondo del lavoro, immaginando una società diversa che non metta al centro il profitto di pochi ma i bisogni e le esigenze delle persone. 

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L'editoriale di Simona Maggiorelli è tratto da Left in edicola fino al 2 maggio 2019

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«Non certo questa Repubblica pensò Giuseppe Mazzini. Egli voleva una Repubblica laica e questa non è che una Repubblica confessionale; voleva una Repubblica a carattere profondamente sociale, in cui scomparisse il privilegio e su di esso trionfassero le forze del lavoro», scriveva Sandro Pertini su L’Avanti! del 2 giugno 1949. «In questa Repubblica, invece, domina ancora, e più prepotente che mai, il privilegio: i ricchi sono sempre ricchi, più ricchi di prima; i poveri sono sempre poveri, più poveri di prima», denunciava l’ex partigiano e futuro presidente della Repubblica.

Al di là del riferimento a Mazzini (di cui in quell’articolo tracciava un profilo che assomiglia più a un autoritratto che a un ritratto del patriota spiritualista genovese) colpisce quanto la situazione denunciata in quell’intervento del ’49 sia drammaticamente assonante con quella odierna. Benché siano trascorsi settant’anni nulla è cambiato rispetto all’ingerenza del Vaticano nel governo italiano. Allora come ora si registra il tradimento dei valori della Costituzione antifascista e laica che parla di Repubblica democratica fondata sul lavoro e di «pari dignità sociale». «Questa Repubblica è democratica solo nella forma – approfondiva Pertini – perché in essa le libertà politiche, non sorrette da alcuna giustizia sociale, vanno risolvendosi in un beneficio per una minoranza e in una beffa per milioni di lavoratori…Questa Repubblica rimarrà uno strumento di reazione, finché essa sarà dominata dalle forze clerico-conservatrici e lettera morta, quindi, resteranno i principi consacrati dalla nuova Costituzione».

Ancora oggi è drammaticamente disatteso l’articolo 4 della Carta là dove dice che «la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni per renderlo effettivo».

Invece di attuare l’art. 3 della Costituzione, in cui si afferma che è compito della Repubblica «rimuovere gli ostacoli che impediscono l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» i governi di centrosinistra (quello di Renzi in particolare) e di destra hanno fatto a gara per bypassare la contrattazione, per depotenziare i sindacati e per ridurre, togliere, e negare le tutele ai lavoratori. Provvedimenti come il Jobs act hanno dato il colpo di grazia al sistema delle tutele, aumentando la precarizzazione. Con il decreto dignità e con il cosiddetto reddito di cittadinanza (che tale non è in quanto reddito condizionato) il governo giallonero, lungi dall’aver abolito la povertà, si è limitato a fare un po’ di elemosina senza mettere in atto politiche di sviluppo e di creazione di nuovi posti di lavoro. Intanto, con la flat tax avvantaggia i ricchi.

La festa dei lavoratori 2019 si staglia su una congiuntura drammatica: la crisi del 2008, “curata” con la stessa ricetta neoliberista che l’aveva prodotta, ha desertificato i diritti, frammentato il mercato del lavoro, sospinto ai margini della società, in primis, giovani, donne e migranti. Disoccupazione e sfruttamento intensivo oggi vanno a braccetto, massacrando la vita di chi ha perso persino la speranza di trovare un lavoro e di chi – come emerge dalle inchieste nello sfoglio di copertina – lavora a cottimo schiavizzato dalle catene di distribuzione.

In questo quadro è assordante il silenzio che circonda la precarietà di chi è costretto a fare lavori occasionali, lavori alla giornata e a chiamata che impediscono di fare progetti, di organizzarsi la vita. Chi lavora in queste condizioni senza alcuna tutela e in un quadro di fortissima competizione è ricattabile, non si può permettere di rifiutare nessuna offerta, anche se il salario è da miseria. Così il lavoro povero oggi è diventato una normalità. Una scandalosa normalità.

«È giusto che in Italia, mentre i grandi monopoli continuano a moltiplicare i loro profitti e le loro ricchezze, ai lavoratori non rimangano che le briciole? È giusto che il salario dei lavoratori sia al di sotto dei bisogni vitali dei lavoratori?» si chiedeva un grande segretario della Cgil come Giuseppe Di Vittorio nel suo ultimo discorso nel 1957. È giusto che disoccupazione e disumane condizioni di lavoro arrivino oggi anche a soffocare le proprie esigenze e aspirazioni, la possibilità di vivere gli affetti, la possibilità di una realizzazione profonda di sé nel rapporto con gli altri? È tempo di una vera e propria rivoluzione del sistema di produzione, del mondo del lavoro, immaginando una società diversa che non metta al centro il profitto di pochi ma i bisogni e le esigenze delle persone. 

L’editoriale di Simona Maggiorelli è tratto da Left in edicola fino al 2 maggio 2019


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