Nel 2018 metà degli omicidi in Italia si sono consumati in famiglia. Più di quelli compiuti da criminalità comune e organizzata. E il maggior numero di vittime sono donne. Ecco gli effetti di una cultura patriarcale e della facilità con cui si ottiene il porto d’armi

Le armi legalmente detenute nelle case degli italiani ammazzano più della mafia. E le vittime sono principalmente le donne. È questo uno dei dati più significativi del rapporto Omicidio in famiglia pubblicato nei giorni scorsi dall’Istituto di ricerche economiche e sociali Eures. Il rapporto rappresenta la prima analisi in Italia dedicata specificamente a questo tema, compiuta sulla base dei dati del dipartimento di Pubblica sicurezza del ministero dell’Interno. Il rapporto, innanzitutto, conferma quanto già evidenziato da altri studi. Il numero di omicidi nel nostro Paese è in costante calo dagli anni Novanta, tanto che – secondo i dati riportati da Eurostat – nel 2017 l’Italia, con un tasso di omicidi pari a 0,61 per 100mila abitanti, risulta essere uno dei Paesi dell’Unione europea con il livello più basso di omicidi.

La progressiva diminuzione degli omicidi non è però un fenomeno uniforme. Mentre, infatti, a partire dagli anni Novanta si è verificata una costante contrazione del numero di omicidi attribuibili sia alla criminalità organizzata di tipo mafioso (da 224 nel 2000 a 37 del 2018, con un calo del 83,5%) e alla criminalità comune (da 157 nel 2000 a 88 nel 2018, con un calo del 43,9%), gli omicidi all’interno della famiglia e delle relazioni di vicinanza mostrano solo una leggera diminuzione (da 260 nel 2000 a 199 nel 2018, con un calo del 23,5%). Nel 2018 la metà di tutti gli omicidi in Italia si è compiuta in famiglia (163 vittime). Ciò significa che oggi la famiglia ammazza di più della mafia e della criminalità comune messe insieme.

Nell’ambito familiare trovano la morte circa i tre quarti delle vittime femminili di omicidio (2.265 vittime tra il 2000 e il 2018, pari al 72,5%). E nel 2018 ben l’83,4% delle 130 donne uccise in Italia è stata uccisa da un familiare o da un partner o ex partner. La trasformazione del fenomeno omicidiario dal contesto criminale a quello familiare farebbe presumere che gli strumenti più utilizzati per compierlo non siano le armi da fuoco, ma quelli più a portata di mano (coltelli, armi improprie, lacci per soffocamento, ecc.). Sono invece proprio le armi da fuoco lo strumento più utilizzato anche negli omicidi in famiglia: ammontano, infatti, a 1.139 le vittime degli omicidi in famiglia uccise con pistole e fucili tra il 2000 e il 2018 (il 32,2% del totale), mentre risultano 1.118 gli omicidi familiari commessi con armi da taglio (il 31,6%) e in minor numero quelli con armi improprie o percosse. Nel 2018, l’arma da fuoco è stata lo strumento più utilizzato negli omicidi in famiglia (65 vittime, pari al 39,9% del totale), prevalendo in misura significativa sull’arma da taglio (40 casi, pari al 24,6%). E le armi da fuoco costituiscono anche il principale strumento utilizzato dagli uomini negli omicidi di coppia per uccidere le proprie compagne/ex compagine.

Ma c’è di più. Sulla base delle informazioni accessibili da fonti aperte, Eures segnala che nel 2018 in almeno 42 casi (pari al 64,6%) negli omicidi familiari compiuti con arma da fuoco, l’assassino risultava in possesso…

L’articolo di Giorgio Beretta prosegue su Left in edicola dal 9 agosto 2019


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