Salvini chiede “pieni poteri". Chi è per la difesa dello Stato di diritto, della Costituzione, della democrazia non può che opporsi all’abisso totalitario che si potrebbe aprire

Salvini apre una crisi di governo su cui gli analisti politici azzardano motivazioni disparate. Sicuramente una delle cause principali è la mancata approvazione dell’autonomia differenziata, presente nel “contratto di governo”, e su cui i Cinquestelle han fatto negli ultimi mesi una costante ostruzione, resisi finalmente conto di cosa poteva comportare per loro, in termini di perdita di consenso verso il loro elettorato del Sud, questa approvazione.
Salvini si è perciò visto costretto ad agire, pressato fra richieste della Lega (del Nord), soprattutto veneta, e della relativa imprenditoria a sostegno, di cui le dichiarazioni di oggi del Presidente Confindustria di Vicenza, Luciano Vescovi, sono più che esplicative. Ovviamente Salvini, impegnato nell’affermazione di una Lega nazionale, e proprio in questi giorni in un tour sulle spiagge del Mezzogiorno, non poteva certo rivelare in pieno questo aspetto della crisi, visto che ha bisogno del voto del Sud per affermarsi e poter ambire a quei “pieni poteri”, come ha dichiarato a Pescara l’altro ieri aprendo la crisi, facendo così capire la vera posta in gioco in Italia, dove ovviamente chi è per la difesa dello Stato di diritto, della Costituzione, della democrazia non può che opporsi all’abisso totalitario che si potrebbe aprire davanti a tutti noi nel prossimo futuro. L’affermazione elettorale di Salvini, dotato di “pieni poteri”, significherebbe anche lo sdoganamento di politiche contro lo sviluppo del Mezzogiorno, a cominciare dalla approvazione della “Secessione dei ricchi”, nella sua versione più virulenta, quella Veneta. 

Bisogna che si metta in campo uno sforzo straordinario per raccontare cosa comporterebbe per il Sud nei prossimi anni questa approvazione (dati alla mano su quanto già è stato scippato e quanto lo sarà), spiegando le conseguenze nel dettaglio a tutti gli elettori, soprattutto a quelli del Sud.

ll Regionalismo differenziato è infatti dimostrato, man mano che ne sono state svelate le carte, è un progetto iniquo, egoistico e neoliberista, che dividerà l’Italia e penalizzerà principalmente il Sud, ma che, aprendo ovunque alle privatizzazioni, a partire da temi fondamentali quali scuola e salute, andrà a colpire anche il Nord, nelle fasce meno tutelate della popolazione, come lavoratori, studenti e pensionati.

A quel punto sarebbe legittimo domandarsi se potremo ancora considerarci un’unica nazione. La nostra è una costruzione nazionale e sociale delicata, molto complicata, fatta di culture e storie condivise. E’ il frutto di un vincolo di cittadinanza, motivato da memorie e sentimenti comuni, un patto di lealtà e solidarietà nazionale, del sentirsi uguali pur vivendo in zone diversamente sviluppate. Ebbene questo vincolo potrebbe rompersi dinanzi alla concessione dell’autonomia regionale.

Il tutto, dopo dieci anni, senza aver mai fissato, per volontà politica, i livelli essenziali di prestazione (Lep) e i fabbisogni standard perché non vi fossero cittadini di serie A e cittadini di serie B. Addirittura la Lega, che ora si spaccia per partito nazionale, porta avanti una inedita forma di “nazionalismo secessionista”, come lo definisce Isaia Sales, unico caso al mondo, che si estrinseca mediante un razzismo che oltre che etnico è anche territoriale.
Cos’è se non “razzismo territoriale” ritenere che alcuni italiani, se abitanti di alcune particolari regioni, valgono di meno di altri italiani? La cosa agghiacciante è che, in questo delirante scenario secessionista, la Lega trova sponde in parte del Pd, come nel caso dell’Emilia-Romagna, dove il presidente Bonaccini si è posto all’inseguimento della Lega. Come detto recentemente da Luciano Canfora sul Manifesto, “Anche questo disgusta. Ma come può il Pd pensare di recuperare nel centro-sud con una proposta simile a quella di Zaia “. Il tutto assume una veste ambigua se non dissociata, visto che già si può prevedere con ragionevole certezza, in vista delle elezioni regionali in Emilia-Romagna, la chiamata all’unione delle forze progressiste per un fronte comune, che esprima un “voto utile”, in nome dell’antifascismo e del contrasto a quella stessa Lega di cui in realtà si clonano modi e richieste…

Il cittadino che non risiede in aree ricche si appresterebbe così a ricevere meno servizi e avere meno opportunità, così che i gap dei servizi, nella scuola, sanità, asili, risorse di sostegno all’apparato produttivo e alle infrastrutture, diventerà “legittimo e codificato per legge”. Non saranno più considerati un esito  involontario di una particolare storia nazionale, e perciò da superare, ma un privilegio etnico-territoriale, immodificabile, dovuto a una sorta di superiorità di stampo, se non razziale, almeno misticista-protestante.

Il pericolo è proprio che, per non scontentare l’elettorato e l’imprenditoria del Nord, Pd e M5S, che al Nord han sostenuto con forza le ragioni delle Regioni “secessioniste”, trovino un accordo, anche nell’eventuale formazione di un governo di garanzia, convergendo sulla proposta di Regionalismo emiliano, presentandolo come “temperato”. In realtà nessuna forma di Secessione dei Ricchi è plausibile e bisogna opporsi a questa con forza, anche partendo dalle dichiarazioni che alcuni Presidenti di regione del Partito democratico, come De Luca, Emiliano e Rossi hanno rilasciato nelle ultime settimane, aprendo anche il tema della contraddizione Sud-Nord all’interno del Pd nazionale, mettendo in luce il carattere pericoloso per l’unità nazionale ed eversivo che è insito in questa proposta. Da qui ripartire, per non assecondare il tentativo di “golpe” leghista, ricompattare il fronte democratico in nome di una nuova “Resistenza” e fermare “la resistibile ascesa di Salvini”.

La “secessione dei ricchi” impone a tutti noi l’impegno a non abbandonare la lotta per portare al centro dell’agenda politica i temi della questione meridionale e della equità sociale (e territoriale) da un punto di vista gramsciano, anche all’interno degli stessi partiti nazionali progressisti.
Il futuro del Meridione non è mai stato a rischio come adesso.

Natale Cuccurese è presidente e segretario nazionale del partito del Sud-meridionalisti progressisti