Talvolta accade, spesso in vero, che la storia presenti il conto: nulla avviene per caso, nulla è senza conseguenze, e i nodi prima o poi tornano sul piatto. In questi frangenti bisogna mostrare coraggio, non indietreggiare, rilanciare la propria idea, non rimanere sconfitti, prima ancora da sé stessi.
La crisi agostana del governo gialloverde è uno di quei nodi e ha prodotto, ovviamente, un’infinità di dichiarazioni, di visioni, di strategie, nel Pd e a sinistra del Pd, da Renzi a Zingaretti (e Calenda), da Speranza, ad Acerbo, a Fratoianni.
Ricapitoliamo: questo Governo nasce, anche, per il rifiuto del Pd a dialogare con il M5S, che d’altronde non ne aveva alcuna voglia (Lega o Pd uguali, bastava un contratto). Per esattezza fu Renzi, in un’intervista televisiva la sera prima della Direzione del Pd, a dettare la linea.
Ora Renzi chiede, smentendo il sé stesso persino di pochi giorni fa, di fare un Governo (provvisorio, di scopo, istituzionale ecc.), perché il Paese non cada in mano alla destra. Preoccupazione nobile, la stessa che avrebbe dovuto mostrare un anno fa, verrebbe da dire.
O forse non era prevedibile che un governo Lega-M5S avrebbe prodotto danni? La strategia del pop corn, non puntava proprio a questo? Vediamo che sanno fare e poi arriviamo noi (ovvero l’io renziano) e salviamo il Paese?
Purtroppo a farne le spese è stato appunto il Paese, sul piano economico e civile (debito pubblico, manovre in deficit, quota 100, migranti, decreto sicurezza bis). O non importa? Una forza che si candidi al governo, deve sempre pensare agli interessi del Paese.
È palese allora che questo sguardo, allora come oggi, volga agli interessi propri di partito se non personali.
In questo Parlamento Matteo Renzi ha dalla sua la maggioranza dei deputati e senatori Pd, non negli organi del partito dove viceversa la maggioranza è con Zingaretti. Se si andasse alle elezioni di certo Zingaretti farebbe liste prevedendo meno spazio ai renziani. Quindi a Renzi, non al Paese, conviene tenere questo Parlamento in vita, soprattutto qualora decidesse la paventata scissione: un bel gruzzoletto da far contare, puro calcolo privato.
Stessa e speculare preoccupazione ha Zingaretti: andare a elezioni ora per ridimensionare il gruppo renziano. Insomma, come al solito, tutto, fuorché l’interesse del Paese.
A latere di questo scontro fratricida, si barcamena la sinistra variegata: sarà meglio votare, per lasciare l’onere a Salvini di fare una manovra lacrime e sangue, o meglio sobbarcarsi il fardello e sistemare i conti dello Stato per poi andare alle elezioni? E quando votare? Subito dopo la finanziaria, o al termine naturale tra tre anni, cercando nel frattempo di limitare la crescita della Lega e quindi il rischio che, vincendo o stravincendo le elezioni, Salvini scelga persino il prossimo presidente della Repubblica?
Ed è qui che si intravede una nuova, ulteriore opportunità per la Sinistra, l’ennesima, probabilmente ancora una volta incompresa: farsi carico della messa in sicurezza dei conti e impedire l’avanzata salviniana, secondo una via terza.
Perché in tutti i ragionamenti partono dando per scontato che la prossima finanziaria dovrà necessariamente essere lacrime e sangue, dovendo disinnescare l’aumento dell’Iva (23 miliari), e che chiunque l’affronterà non potrà che pagarne l’onere: fosse la Sinistra, questa perderebbe inevitabilmente a vantaggio dell’illusione salviniana.
Ma a questi ragionamenti mancano due elementi non secondari.
Il primo è che l’aumento dell’Iva andrà disinnescato non solo con la finanziaria di quest’anno, ma anche il prossimo anno (29 miliardi). Un problemino non da poco, che necessita dunque uno sguardo un po’ più lungo del nostro naso. Allora bisogna affrontare il nodo non dando nulla per ineluttabile, come se, in sostanza, non esistessero altre strade che la riproposizione della politica del pop corn, o la rassegnazione.
È invece proprio questo il secondo elemento non considerato: non è affatto obbligatorio fare manovre lacrime e sangue, sostanzialmente liberiste, se la Sinistra decide di fare la Sinistra.
Ad esempio: che fine ha fatto la Patrimoniale, l’idea di tassare i grandi e grandissimi capitali, un’idea forte da riproporre non come panacea di tutti i mali, ma come risposta reale, tangibile, immediata, davvero l’unica che favorisce i redditi bassi e bassissimi?
Allora l’ipotesi di far nascere un governo che duri fino al termine della legislatura, non un governo per sempre, ma che dia il segno che un’altra strada è possibile, con il Pd, con il M5s, con tutti quelli che ci stanno, dove si indica finalmente una diversa strada percorribile: un percorso non liberista, diverso, alternativo, di Sinistra, e sfidando, sul terreno del “cambiamento” tutti gli interlocutori. Un programma, minimo ma ovviamente caratterizzante, che rappresenti allo stesso tempo un grimaldello per smascherare trucchi, false narrazioni e ambiguità. Che costringa a posizioni chiare e nette, di fronte al Paese, sia il Pd (zingarettiano, renziano o calendiano) sia quella parte del M5s che ha mal digerito i bocconi salviniani e che sarebbe ora si svegliasse dal sonno o dalla rassegnazione supina.
Insomma, che si renda evidente il tipo di società e di Paese che si vuole. E allora immaginiamo un programma fatto di poche ma chiare, idee (per la natura temporale di tale governo), cui la sinistra si possa riconoscere facilmente, anche rispetto la ridotta porzione sopravvivente nel Pd, anche quella latente eppure esistente nel M5S, ma soprattutto quella viva nel corpo della società:
– abolizione del decreto sicurezza bis (questo il minimo iniziale);
– introduzione di una patrimoniale vera, per disinnescare l’aumento dell’IVA, ma che serva anche a rimodulare l’attuale tassazione, migliorandone la progressività a vantaggio dei più svantaggiati;
– abolizione del Rosatellum e reintroduzione di un sistema elettorale proporzionale, il solo davvero rappresentativo;
– disponibilità al confronto sul numero dei parlamentari, ma non con attraverso un mero taglio demagogico e populista pentaleghista, e diverso da quello bocciato al Referendum, attraverso un attento esame dei collegi e avendo per stella polare il rispetto della rappresentatività. (Si può discutere di tutto, ma senza sottostare a ricatti del tipo si vota il taglio e poi si vota. L’alternativa è ridiscutere di tutto, compresa una eventuale riduzione, purché rientri in uno studio complessivo degli effetti sulla rappresentatività. Così come proposta la si riduce, anche attraverso l’inevitabile revisione dei collegi. Ovviamente sarebbe meglio il taglio dei privilegi, anche più dei semplici stipendi).
A questo programma minimo immediato, affiancare, come sinistra, una nuova politica ecologica per il pianeta e quale occasione di sviluppo e di lavoro, il cambiamento dei trattati europei, l’allargamento dei diritti, la ridistribuzione della ricchezza, il miglioramento della qualità della vita.
Insomma, una Sinistra che faccia la Sinistra, riprenda a far politica, non si limiti a parole d’ordine, giuste, ma insufficienti.
L’opportunità che appare è ripartire finalmente dall’esigenza non più rimandabile, di unità della Sinistra, nel Paese e nelle diverse militanze più e meglio che nelle asfittiche e sconfitte classi dirigenti.
Lionello Fittante è cofondatore associazione politico-culturale #perimolti e componente Comitato Nazionale èViva