Il noto batterio patogeno è da sei anni il principale imputato della strage di ulivi al Sud ma sono ancora molti i punti da chiarire. A cominciare dal fatto che non sempre è la causa del disseccamento degli alberi

La geografia del Salento rischia di essere stravolta dalle misure di lotta al batterio Xylella fastidiosa, Xf: abbattimento delle piante infette e, nella zona cuscinetto, delle piante ospiti nel raggio di 100 metri; uso di ingenti quantità di fitofarmaci su larga scala e divieto di reimpianto delle piante ospiti – associate alla deroga concessa per il reimpianto di sole due cultivar di olivo ritenute “resistenti” che ben si prestano agli impianti superintensivi, ovvero il Leccino (non autoctono) e la Favolosa (brevettata). Il combinato disposto delle misure di lotta e delle “soluzioni” produrrebbe effetti devastanti e irreversibili sul paesaggio, impatti significativi sull’ecosistema, sul clima e l’economia locale, nonché danni alla salute. Ma l’aspetto incredibile è che tali scenari possano realizzarsi su una sostanziale divergenza fra i fatti e la rappresentazione dei fatti, aspetto che apre a numerose domande.

“Il batterio killer fa strage di ulivi” è fra gli slogan più ricorrenti delle associazioni di categoria e di una parte di politici, assunto come mantra quotidiano da alcuni media. Eppure, il fenomeno che si osserva a occhio nudo è il disseccamento (diffuso a macchia di leopardo nelle province di Lecce e Brindisi) non la Xylella (per il cui rilevamento è indispensabile il test molecolare). Del resto, non tutti gli ulivi con sintomi del disseccamento sono positivi al batterio, così come in alcuni casi, dati due oliveti contigui, con stesse varietà, uno presenta piante disseccate e l’altro no, oppure è possibile osservare oasi di ulivi verdi in mezzo a campi disseccati. Dunque, perché gli alberi si disseccano?

La letteratura scientifica indica chiaramente il legame fra povertà dei suoli trattati con prodotti chimici e la maggiore vulnerabilità delle piante ai patogeni e alle malattie, compreso gli erbicidi (Yamada e altri, 2009) anche con riferimento specifico alla Xf che infetta gli alberi di limone (Johal e Huber, 2009). Del resto, già nel 1974, in agro di Gallipoli furono osservati alberi di olivo disseccati a causa degli erbicidi. In quel caso, la dose utilizzata era 4,5 kg per ettaro (Luisi e De Cicco, 1975). Quantitativi analoghi sono stati riscontrati anche nelle province di Lecce e Brindisi con punte rispettive, nel 2007, di 5,36 kg per ettaro e 4,04 kg per ettaro. I dati Istat indicano per queste due province, fra il 2003 e il 2010, una distribuzione di erbicidi per ettaro ai primi posti a livello regionale, con un distacco significativo anche dalle province di Bari e Foggia con superficie agraria di gran lunga superiore e caratterizzate, rispettivamente, da pratiche intensive e sistemi monoculturali che, per definizione, richiedono una quantità più ingente di fitofarmaci. Perché questa anomalia?

La divergenza è anche fra numeri e dati. Nel 2015, mentre il commissario per l’emergenza Silletti dichiarava un milione di ulivi infetti (trasmettendo tale cifra, a quanto si apprende dalla stampa, alla Prefettura), il ministero pubblicava i dati dei monitoraggi: su 26.755 campionamenti solo 612 casi positivi alla presenza del batterio. Nel 2018, mentre alcune associazioni di categoria dichiaravano 10 milioni di piante infette, a Melendugno, in piena zona infetta (dove i monitoraggi risultano sospesi), la società Tap chiedeva alla Regione Puglia l’autorizzazione a spostare 450 piante. L’autorizzazione fu negata a causa di tre piante perché positive al batterio, ovvero lo 0,7%. Del resto, nello stesso periodo, la Regione Puglia, rendendo noti i monitoraggi delle fasce di contenimento (in zona infetta) e cuscinetto (in zona indenne), dichiarava «Nessun boom di piante infette», con percentuali che si attestano intorno all’1,8%. Quindi, perché creare l’equivalenza “disseccamento uguale Xylella” e continuare a riproporla contrariamente alla stessa evidenza?

Assunto, dunque, che il disseccamento non è sempre attribuibile alla presenza del batterio e che questo, del resto, fosse già noto nella delibera n.2023 del 2013 che lo attribuiva a un insieme di concause patogene (funghi, rodilegno giallo, Xf) e agronomiche (mancanza di potatura, eliminazione delle erbe infestanti), perché la stessa delibera si concentra sulla lotta al batterio Xf attraverso le misure su citate, successivamente fatte proprie dai decreti ministeriali e dalle decisioni dell’Unione europea? Perché il ruolo degli altri patogeni, come dei fattori agronomici e ambientali, è trascurato?

Del resto, nessuna ricerca indica gli abbattimenti e i trattamenti come soluzioni…

L’articolo di Margherita Ciervo prosegue sul numero di Left in edicola dal 30 agosto


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