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[su_divider text=" " style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]La politica dell’odio, della discriminazione, del fondamentalismo religioso non abita più al Viminale. Con nostro grande sollievo. Ma ancora nella sua versione tribale è andata ancora in scena a Pontida, in un tripudio di frasi ingiuriose contro gli immigrati, i terroni, gli ebrei e contro chi fa informazione.
Il pensiero di destra è elementare, si basa sul principio vita mea mors tua, vorrebbe imporre un’idea di società chiusa, egoista, cementata dalla costruzione di un nemico, basata sull’ideologia del clan padrone a casa propria.
Quella che Salvini e i suoi volevano imporre a tutti noi è una visione della società basata sul sangue, sul possesso, sulle sedicenti ed escludenti radici cristiane dell’Europa. La volevano imporre per legge con provvedimenti come il ddl Pillon che resuscitava una oppressiva figura di paterfamilias inquisitore di donne e bambini.
Di fronte a questo scenario è certamente una buona notizia che la ministra delle Pari opportunità e per la famiglia, Elena Bonetti, abbia dichiarato di non avere alcuna intenzione di prendere in considerazione e discutere il ddl Pillon («inadeguato e dannoso»). Purtroppo, però, non basta allontanare i leghisti per debellare la piaga di politiche confessionali e lesive della laicità che è principio supremo dello Stato (vedi la sentenza della Consulta del 1989 ricordata dal segretario Uaar, Grendene). Il cardinale Bassetti, capo della Cei, tuona: «Va negato che esista un diritto a darsi la morte: vivere è un dovere, anche per chi è malato e sofferente». La Chiesa, che sa di poter contare su ampie frange di politici italiani genuflessi, ha fatto e fa molta pressione perché l’Italia non abbia una legge sul fine vita degna di uno Stato moderno e civile. L’arretratezza dell’Italia su questo punto, rispetto al quadro europeo è efficacemente tratteggiata in questo sfoglio dall’inchiesta di Antonini.
Il governo Conte II promette azioni di riformismo sociale, parlando di salario minimo, interventi nelle periferie, investimenti nella sanità, nella scuola, per uno sviluppo ecosostenibile. Noi di Left vorremmo sollecitarlo e incalzarlo perché affronti anche questioni fondamentali che riguardano i diritti delle persone e la lotta alla violenza sulle donne.
L’Italia è un Paese sicuro, con il numero di omicidi e di aggressioni costantemente in calo, ma i dati del Viminale dicono anche che le donne sono le principali vittime: dei 145 morti ammazzati nel contesto familiare tra il 1 agosto 2018 e il 31 luglio 2019, il 63,4% sono donne, uccise non da stranieri, come blaterano le destre, ma da compagni, familiari, amici. Le leggi non bastano a fermare questa strage, tornano a denunciare Non una di meno, Di.re e altre associazioni chiedendo al governo un’interlocuzione. (La manifestazione del 27 settembre contro il ddl Pillon è stata sospesa, ma non annullata, avvertono). Né servono provvedimenti emergenziali.
«I femminicidi, purtroppo, non sono un’emergenza temporanea», come scrive Alessia Gasparini raccogliendo voci di attiviste ed esperte e come documenta qui in modo ampio e scientifico Maria Giuseppina Muratore. Per questo, oltre alla piena applicazione del protocollo di Istanbul, serve fare prevenzione, per questo occorre un cambiamento radicale di paradigma culturale che non è ancora avvenuto completamente in Italia (su cui grava la presenza del Vaticano, ma anche una granitica struttura patriarcale che dalla romanità è arrivata fino ad oggi). Come donne abbiamo conquistato diritti civili ma è ancora ampiamente negato il nostro diritto a realizzare un’identità culturale e sociale. Sono state proprio scelte di rifiuto, di separazione, di autonomia da parte delle donne a far scattare la violenza assassina di uomini come l’«amico» di Elisa Pomarelli, che Il Giornale scandalosamente ha definito «gigante buono», che «l’amava tanto», mentre Repubblica ha parlato di amore respinto, uccidendola assieme una seconda volta. Dove c’è violenza non c’è amore, che è rapporto profondo, interesse per l’altro, per la sua realizzazione. Dove c’è violenza ci sono rapporti patologici che nulla hanno a che fare con il desiderio. Molto c’è ancora da fare perché le donne stesse aprano gli occhi sulla violenza non solo fisica ma psichica e “invisibile” che si può nascondere dietro comportamenti apparentemente solleciti, di impetuoso corteggiamento, di gelosia, maschera di un asfissiante controllo.
La violenza non è un dato connaturato alla natura umana come la Bibbia ci vorrebbe far credere, asserendo che saremmo tutti figli di Caino. Lo abbiamo scritto tante volte e continueremo a farlo, la stampa, i media hanno uno grande responsabilità. Se la tv pubblica fa disinformazione parlando di «amore criminale» (un vero ossimoro!), se i giornali continuano a parlare di «raptus», di «eccesso di passioni» ogni volta che si trovano a dover raccontare un femminicidio, abdicano al proprio dovere costituzionale di fare corretta informazione. Con i libri di Left Contro la violenza sulle donne e Libere di essere e di pensare, con il lavoro assiduo su questi temi che abbiamo svolto dal 2006 e con questa storia di copertina che si avvale degli autorevoli contributi della psichiatra Barbara Pelletti e delle avvocate Teresa Manente e Stefania Iasonna vogliamo continuare a dare un contributo attivo per un radicale cambiamento culturale. Non è un caso che siano state proprio loro a collaborare perché Sara Di Pietrantonio avesse giustizia e perché non solo la violenza fisica ma anche la violenza psicologica dello stalking fosse riconosciuta nella sentenza, come è accaduto nelle settimane scorse, facendo fare un passo avanti ai diritti di tutte e di tutti.