Vakhtang Enikidze è morto il 18 gennaio nel Centro di permanenza per i rimpatri di Gradisca di Isonzo, dove di fatto era detenuto senza aver commesso nessun reato. A 36 anni, tre anni fa era venuto in Italia dalla Georgia per cercare lavoro. Faceva l’imbianchino ma non aveva il permesso di soggiorno. Fermato dalla polizia a Roma è stato portato nel Cpr di Bari e poi a Gradisca di Isonzo, dove ha perso la vita. Le testimonianze raccolte dal deputato di +Europa Riccardo Magi (lo si può riascoltare su Radio radicale) parlano di una lite con un ragazzo nordafricano, ma soprattutto di un intervento della polizia per sedare la rissa e immobilizzarlo. L’autopsia indica un edema polmonare come causa di morte. Ma cosa l’ha provocata? Cosa è accaduto quando Vakhtang è stato portato in carcere per resistenza a pubblico ufficiale? Perché quando è stato riportato nel centro non si teneva in piedi? Perché gli furono somministrati antidolorifici e ansiolitici? Perché nonostante avesse chiesto assistenza nella notte, il soccorso è arrivato solo dopo molte ore? Perché almeno uno dei testimoni è già stato rimpatriato prima di essere ascoltato in procura? Ci sarà una inchiesta della magistratura e la possibilità che gli altri testimoni siano sentiti fuori dal contesto del centro in modo da non subire alcuna pressione? Le domande sono tante. Verità e giustizia non possono aspettare. «Non deve esserci spazio per nessun sospetto di omertà o di impunità rispetto alla morte di un giovane uomo mentre era sotto la responsabilità dello Stato», ha commentato il Garante Mauro Palma, ribadendo al Fatto quotidiano «l’assoluta volontà di fare piena luce». È questo il punto: deve essere garantita l’incolumità di una persona che si trova nelle mani dello Stato. Deve essergli garantita l’assistenza medica. Un sindacato di polizia si è risentito perché alcuni giornali hanno evocato un nuovo caso Cucchi. Certo non si può accusare nessuno senza prove, ma le domande su questo caso sono davvero tante e come giornalisti è nostro dovere sollevarle. Peraltro questa drammatica vicenda è avvenuta in un centro segnato già in passato da un altro caso di morte, come ci ricorda il libro Mai più edito da Left e curato da Stefano Galieni e Yasmine Accardo che ora - insieme a esperti come Sergio Bontempelli - tornano a denunciare le condizioni inumane e degradanti in cui si trovano costrette persone innocenti nei centri di detenzione amministrativa in Italia. Dall’inizio dell’anno sono già due i casi di persone migranti decedute in queste strutture. Prima di Vakhtang Enikidze è stato trovato morto il trentaquattrenne Aymen, nel Cpr di Caltanissetta. Intanto, per effetto del secondo decreto sicurezza voluto da Salvini che ha abolito la protezione umanitaria e sospinge sempre più i migranti in zone di marginalità e “irregolarità” crescono i centri per il rimpatrio. Uno è stato appena inaugurato a Macomer, in Sardegna. È aumentato anche il periodo di permanenza in questi centri che privano le persone della libertà, non di rado impedendo loro anche di comunicare con l’esterno. Un trattenimento che va contro l’articolo 10 della nostra Costituzione, come ci ricorda il costituzionalista Russo Spena in questo sfoglio in cui non ci limitiamo ad analizzare la situazione italiana ma apriamo un confronto con ciò che avviene nel resto d’Europa. Ora che in Emilia Romagna l’avanzata sovranista e xenofoba ha subito una battuta d’arresto e, anche per la debacle del M5s, si palesa una possibilità di spostamento a sinistra dell’asse di governo, non ci sono più scuse: non può essere ulteriormente rimandata l’abrogazione dei due decreti sicurezza. Ma non solo. Occorre rivedere più complessivamente la legislazione che riguarda l’immigrazione. Non dimentichiamo che la legge Bossi Fini entrata in vigore nel 2002 ha subordinato l’ingresso e la permanenza in Italia al contratto di lavoro, ha introdotto l’espulsione immediata con accompagnamento alla frontiera e ha dimezzato la durata dei permessi di soggiorno, creando un clima da caccia alle streghe. Non dimentichiamo che ad istituire i centri di permanenza temporanea per immigrati sprovvisti di permessi di soggiorno fu la legge Turco Napolitano del 1998. Sono questioni che non riguardano solo i migranti ma la democrazia e lo stato di diritto in Italia e che ci riguardano tutti. Anche grazie alle sardine è stato inviato un messaggio chiaro a chi pretende pieni poteri e predica odio ed esclusione. Ora chiediamo scelte di governo conseguenti. L’abolizione della prescrizione e il taglio dei parlamentari prospettano scenari giustizialisti, di indebolimento della rappresentanza e delle garanzie democratiche. Anche su questi temi, come per il ripristino di una legge proporzionale, continueremo a dare battaglia. L’appuntamento del referendum confermativo è stato fissato per il 29 marzo, non c’è tempo da perdere. [su_divider style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]

L'editoriale di Simona Maggiorelli è tratto da Left in edicola dal 31 gennaio

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Vakhtang Enikidze è morto il 18 gennaio nel Centro di permanenza per i rimpatri di Gradisca di Isonzo, dove di fatto era detenuto senza aver commesso nessun reato. A 36 anni, tre anni fa era venuto in Italia dalla Georgia per cercare lavoro. Faceva l’imbianchino ma non aveva il permesso di soggiorno. Fermato dalla polizia a Roma è stato portato nel Cpr di Bari e poi a Gradisca di Isonzo, dove ha perso la vita. Le testimonianze raccolte dal deputato di +Europa Riccardo Magi (lo si può riascoltare su Radio radicale) parlano di una lite con un ragazzo nordafricano, ma soprattutto di un intervento della polizia per sedare la rissa e immobilizzarlo. L’autopsia indica un edema polmonare come causa di morte. Ma cosa l’ha provocata? Cosa è accaduto quando Vakhtang è stato portato in carcere per resistenza a pubblico ufficiale? Perché quando è stato riportato nel centro non si teneva in piedi?

Perché gli furono somministrati antidolorifici e ansiolitici? Perché nonostante avesse chiesto assistenza nella notte, il soccorso è arrivato solo dopo molte ore? Perché almeno uno dei testimoni è già stato rimpatriato prima di essere ascoltato in procura? Ci sarà una inchiesta della magistratura e la possibilità che gli altri testimoni siano sentiti fuori dal contesto del centro in modo da non subire alcuna pressione? Le domande sono tante. Verità e giustizia non possono aspettare. «Non deve esserci spazio per nessun sospetto di omertà o di impunità rispetto alla morte di un giovane uomo mentre era sotto la responsabilità dello Stato», ha commentato il Garante Mauro Palma, ribadendo al Fatto quotidiano «l’assoluta volontà di fare piena luce».

È questo il punto: deve essere garantita l’incolumità di una persona che si trova nelle mani dello Stato. Deve essergli garantita l’assistenza medica. Un sindacato di polizia si è risentito perché alcuni giornali hanno evocato un nuovo caso Cucchi. Certo non si può accusare nessuno senza prove, ma le domande su questo caso sono davvero tante e come giornalisti è nostro dovere sollevarle. Peraltro questa drammatica vicenda è avvenuta in un centro segnato già in passato da un altro caso di morte, come ci ricorda il libro Mai più edito da Left e curato da Stefano Galieni e Yasmine Accardo che ora – insieme a esperti come Sergio Bontempelli – tornano a denunciare le condizioni inumane e degradanti in cui si trovano costrette persone innocenti nei centri di detenzione amministrativa in Italia.

Dall’inizio dell’anno sono già due i casi di persone migranti decedute in queste strutture. Prima di Vakhtang Enikidze è stato trovato morto il trentaquattrenne Aymen, nel Cpr di Caltanissetta.
Intanto, per effetto del secondo decreto sicurezza voluto da Salvini che ha abolito la protezione umanitaria e sospinge sempre più i migranti in zone di marginalità e “irregolarità” crescono i centri per il rimpatrio. Uno è stato appena inaugurato a Macomer, in Sardegna. È aumentato anche il periodo di permanenza in questi centri che privano le persone della libertà, non di rado impedendo loro anche di comunicare con l’esterno. Un trattenimento che va contro l’articolo 10 della nostra Costituzione, come ci ricorda il costituzionalista Russo Spena in questo sfoglio in cui non ci limitiamo ad analizzare la situazione italiana ma apriamo un confronto con ciò che avviene nel resto d’Europa.

Ora che in Emilia Romagna l’avanzata sovranista e xenofoba ha subito una battuta d’arresto e, anche per la debacle del M5s, si palesa una possibilità di spostamento a sinistra dell’asse di governo, non ci sono più scuse: non può essere ulteriormente rimandata l’abrogazione dei due decreti sicurezza. Ma non solo. Occorre rivedere più complessivamente la legislazione che riguarda l’immigrazione. Non dimentichiamo che la legge Bossi Fini entrata in vigore nel 2002 ha subordinato l’ingresso e la permanenza in Italia al contratto di lavoro, ha introdotto l’espulsione immediata con accompagnamento alla frontiera e ha dimezzato la durata dei permessi di soggiorno, creando un clima da caccia alle streghe. Non dimentichiamo che ad istituire i centri di permanenza temporanea per immigrati sprovvisti di permessi di soggiorno fu la legge Turco Napolitano del 1998.

Sono questioni che non riguardano solo i migranti ma la democrazia e lo stato di diritto in Italia e che ci riguardano tutti. Anche grazie alle sardine è stato inviato un messaggio chiaro a chi pretende pieni poteri e predica odio ed esclusione. Ora chiediamo scelte di governo conseguenti. L’abolizione della prescrizione e il taglio dei parlamentari prospettano scenari giustizialisti, di indebolimento della rappresentanza e delle garanzie democratiche. Anche su questi temi, come per il ripristino di una legge proporzionale, continueremo a dare battaglia. L’appuntamento del referendum confermativo è stato fissato per il 29 marzo, non c’è tempo da perdere.

L’editoriale di Simona Maggiorelli è tratto da Left in edicola dal 31 gennaio

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