Come lo era Regeni, Patrick Zaky è un ricercatore schierato a difesa dei più deboli e dunque ritenuto pericoloso dal Cairo. Entrambi vittime di un regime contro cui il governo italiano balbetta. Affinché la tragedia non si ripeta occorre la massima pressione dell’opinione pubblica

È buio pesto quando Patrick George Zaky, giovane egiziano studente in Italia, viene arrestato all’aeroporto del Cairo, nella notte tra il 6 e il 7 febbraio. Lo stesso buio che avvolgeva la capitale il 25 luglio 2016, quando Giulio Regeni scomparve nel nulla. Le analogie tra i due casi sono molte, come vedremo, eppure il ministero degli Esteri non sembra ancora aver concordato su una linea d’azione dura da seguire nei confronti dell’Egitto, nonostante i numerosi casi di violazione dei diritti fondamentali che vengono denunciati da anni dalle principali organizzazioni internazionali presenti sul territorio.

Zaky, originario di Mansoura, attivista per i diritti umani, è iscritto ad un master di Studi di genere oltreché essere ricercatore presso l’Università di Bologna. Ha 27 anni. Regeni ne aveva appena compiuti 28 quando è scomparso. Secondo il ministero dell’Interno egiziano, Zaky è stato arrestato su mandato della Procura generale al suo arrivo in aeroporto e posto in custodia cautelare per 15 giorni. Per il 27enne doveva essere una breve vacanza in famiglia.

Dopo la sua “scomparsa” è stato reso noto un ordine di cattura nei suoi confronti, emesso il 23 settembre 2019, di cui l’attivista era all’oscuro, mai notificato. Secondo l’Egyptian center for Economic and social rights, le accuse formalizzate dalla Procura sono cinque e si va da “diffusione di false informazioni per minare la stabilità nazionale” e “incitamento a manifestazione senza permesso” a…

L’articolo prosegue su Left in edicola dal 21 febbraio

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