Era evidente, poco dopo Codogno, che le cose nella bergamasca stavano mettendosi molto male. Perché non è stata subito decretata la zona rossa perdendo l’opportunità di spegnere il focolaio epidemico come a Codogno? Errori palesi che ora si pagano con migliaia di malati e centinaia di morti; una parte considerevole dei quali tecnicamente definibili come evitabili perché agendo diversamente non ci sarebbero stati. Al virus è stata anche regalata dalle autorità sportive una situazione ottimale di diffusione: la partita Atalanta-Valencia; solo per soldi. Ma soprattutto troppe le attività industriali rimaste attive con inevitabili grandi flussi di operai e impiegati. La bergamasca è una delle zone più ricche e industrializzate d’Italia ed è noto come una certa cultura e l’influenza dell’industria sulle istituzioni pubbliche territoriali sia fortissima e condizionante. Elementari le conclusioni. Sacrificabili sono i lavoratori e la stessa salute pubblica per chi non vede il reale ed è privo di sentimenti.
Vediamo qualche dettaglio. Il modello di sanità lombarda ha un baricentro tutto spostato sugli ospedali ed il privato a discapito di un fragile territorio. Drammatica la situazione negli ospedali di Bergamo e dintorni travolti da un enorme e costante flusso di pazienti gravissimi. Numerose, crescenti e convergenti da diversi giorni sui media locali e sui social le allarmanti notizie e pressanti richieste di aiuto da parte di medici di base e popolazione. Carenza di protezioni, farmaci e ossigeno ma soprattutto notizie di tantissime persone decedute a domicilio con problemi respiratori senza però essere riuscite a fare un tampone e ricoverarsi (e quindi ufficialmente non conteggiate come positive; invisibili). Il mondo sommerso ma reale di un iceberg. È così emersa una forte discrepanza tra i dati ufficiali di mortalità per il coronavirus e l’altissimo numero di decessi riferiti da social e media così come dal sindaco di Bergamo e di altri paesi che sanno della loro terra. L’unico modo per dirimere il dubbio è ricorrere ai dati di mortalità territoriale delle anagrafi cittadine; dati difficilmente disponibili in tempi rapidi.
Il 26 marzo è però uscito un articolo sul Corriere della sera i cui autori che, disponendo di questi dati, hanno chiarito alcuni aspetti della situazione del comune di Nembro estendendola, con risultati simili, anche ai comuni tra cui Bergamo. Pur necessitando qualche chiarimento sulle modalità di calcolo e pur non essendo una pubblicazione scientifica si riscontra un evidentissimo picco di mortalità territoriale (oltre il doppio degli anni precedenti) perfettamente sincrono a quello ufficiale ospedaliero e in buona parte molto verosimilmente attribuibile a polmoniti Covid non diagnosticate perché (vecchia storia ormai incancrenita) non è stato possibile fare il tampone.
La cosa costringe ad approfondire ed a rivalutare in peggio il reale impatto dell’epidemia e conferma il concetto, evidentemente non ovvio per tutti, che gli ospedali da soli, senza la protezione del territorio, non reggono l’urto pandemico. Tutti pensano ad aumentare i letti di TI ma contemporaneamente si dovrebbe fare in modo che meno persone ne abbiano bisogno e lo si può fare solo intercettandoli (facendo tamponi) e curandoli prima che il danno polmonare si estenda e costringa ad intubare; quando è più facile; sul territorio. Cade rovinosamente e pubblicamente il mito del modello lombardo della sanità. È il momento di cambiare strategia e pensare diversamente al territorio. Una informazione vitale, si spera colta, per il resto del paese; in Emilia-Romagna, in un recente focolaio a Medicina, stanno già iniziando.
Era nota la serissima situazione dell’ospedale Giovanni XXIII di Bergamo ma la lettera di alcuni suoi medici, pubblicata dalla prestigiosa rivista scientifica New England Journal of medicine, è stato un altissimo grido di allarme e una drammatica denuncia di una situazione molto più grave di quanto supposto. «Il nostro ospedale è altamente contaminato e siamo molto oltre il punto di non ritorno» … «I pazienti più anziani non vengono rianimati»; una affermazione che lascia basiti detta nel 2020, in Lombardia anche se nel pieno di una pandemia. Una situazione da tempi di guerra che costringe alla terribile scelta di ricoverare in TI solo i pazienti con più probabilità di sopravvivenza. Come oggi in Spagna. Drammatico per i sanitari non poter garantire sempre standard adeguati di qualità e la devastante constatazione che l’ospedale stesso è diventato un formidabile strumento di diffusione del virus. Pesanti come montagne e vere le parole finali della lettera: «La catastrofe che sta travolgendo la ricca Lombardia potrebbe verificarsi ovunque». Un invito e un monito, drammatico, accorato e perentorio, alle altre regioni a tener conto della loro esperienza. Per evitare altre Bergamo.