La pandemia aggrava le diseguaglianze e crea nuove ingiustizie sociali, come vediamo adesso tra i lavoratori, i precari e le categorie più fragili. Ma ci offre anche l'occasione per ribaltare questo assunto e iniziare un processo di modifica del modello sociale ed economico

La gravissima crisi sanitaria legata alla diffusione del Covid-19 (o Sars-CoV-2) che ci tiene, giustamente, tutti a casa è l’occasione per iniziare alcune riflessioni.
In questo momento siamo tutti chiamati alla massima solidarietà e al massimo impegno collettivo per il bene comune. Impegno che si può concretizzare “semplicemente” nel ridurre al minimo il possibile contributo individuale alla diffusione dell’epidemia. Semplicemente restando a casa e adottando tutti gli accorgimenti necessari a eliminare le possibilità di contagio. Per questo, e per altri motivi, non ultimo la possibilità di ammalarsi per chiunque a prescindere dal suo ceto sociale, si è detto che il Covid-19 è un “virus democratico”. Ma alcune domande sorgono spontanee: Quali sono state le cause scatenanti? E le conseguenze quali saranno? Chi pagherà le conseguenze sociali ed economiche? E, superata questa crisi, potremo stare tranquilli o ne avremo una prossima da affrontare? Possiamo considerare la malattia veramente neutrale e “democratica”?

La risposta a queste domande richiede una breve analisi dei seguenti punti: cause del contagio iniziale, conseguenze sull’economia e capacità di aumentare la resilienza del nostro modello di vita.
Senza la pretesa di essere esaustivi proviamo a vedere alcuni aspetti chiave dei diversi punti.
Secondo moltissimi esperti la distruzione della biodiversità, la promiscuità, l’avanzare dell’urbanizzazione e la globalizzazione potenziano a livelli fin qui inediti un meccanismo ben noto, ovvero quello del salto di specie (“spillover”) da specie selvatiche a uomo di nuovi virus. Come ci ricorda Greenpeace è anche probabile che l’inquinamento dell’aria possa agire tanto come vettore dell’infezione (in particolare il particolato fine) quanto come fattore peggiorativo (per l’indebolimento delle difese immunitarie) dell’impatto sanitario della pandemia in corso. Uno studio sulla correlazione tra indicatore d’inquinamento dell’aria e mortalità da Sars-CoV-1 in Cina (2002-2003) mostrava come il rischio di mortalità era amplificato – circa doppio – nelle aree a più alto inquinamento rispetto a quelle con qualità dell’aria migliore.

Certamente queste tesi andranno consolidate da ulteriori studi e indagini ma è certo che disturbi al sistema respiratorio e cardiocircolatorio sono associati all’esposizione cronica ad elevati livelli di inquinamento dell’aria. Dunque, pur in attesa di “prove” che confermino la correlazione dell’impatto della pandemia con la (pessima) qualità dell’aria, cosa comunque rilevata nel caso cinese sopra citato, è però possibile affermare con certezza che la popolazione in pianura padana è più di altre cronicamente esposta a elevati livelli d’inquinamento dell’aria e dunque alle conseguenze che ne derivano. E che, quindi, questo può essere uno dei co-fattori che plausibilmente aggravano la severità dell’impatto di una pandemia da nuovi virus che attaccano in profondità l’apparato respiratorio come quella odierna.

Quindi in prima battuta possiamo pensare che le cause dell’insorgere di nuovi virus che periodicamente (ricordiamo Ebola, Sars-CoV-1 e Zika, ma pure influenza A-H1N1 cosiddetta suina e Mers-CoV) “infettano” il mondo e soprattutto la gravità delle conseguenze sanitarie e sociali sulla popolazione sono di origine antropica. E sappiamo bene che è il sistema economico capitalistico che ha definito il modello sociale che sta portando alla distruzione delle biodiversità. Da questo punto di vista la lotta contro i cambiamenti climatici del movimento dei FridaysForFuture di Greta Thunberg è essenziale anche per prevenire le future, molto probabili, crisi sanitarie legate all’insorgere di sempre più numerosi nuovi virus. Senza dimenticare che la crisi ambientale che ci aspetta avrà conseguenze anche peggiori di quella sanitaria, solo che la percezione del pericolo è meno immediata e meno personale: quando un problema è di tutti tendiamo a non considerarlo nostro ma di qualcun altro. Finché le conseguenze non andranno a coinvolgerci personalmente, nei nostri affetti o beni.

Le conseguenze di questa crisi (ma anche di quelle future) sono di fronte agli occhi di tutti: in poche parole siamo di fronte a uno stravolgimento completo delle nostre abitudini di vita, delle consuetudini relazionali e del modello economico cui siamo abituati. Senza entrare nel dettaglio degli aspetti psicologici e dell’indiscutibile riduzione degli stessi diritti costituzionali risulta evidente che anche in questa crisi la diseguaglianza è forte: basta pensare alle conseguenze per i lavoratori precari che o perdono il lavoro, come i camerieri di alberghi/ristoranti, o sono costretti a turni di lavoro massacranti senza sicurezza come i rider, rispetto ai più tutelati lavoratori dipendenti. Forti sono i rischi che corrono alcuni lavoratori e non solo nella sanità ma anche tutti i lavoratori che sono costretti a interagire con molte persone come i cassieri. E le vittime sono per la maggior parte i soggetti più fragili. Senza arrivare al caso limite del calciatore Higuain che affitta un aereo privato per fuggire dall’Italia, è evidente che il “tutti a casa” è ben diverso per chi vive in un appartamento di 50mq in un grande condominio e chi vive in una villa con un grande parco privato.

Ancora una volta è chiaro che le diseguaglianze vanno ridotte (o meglio eliminate) e che il concetto di bene comune va esteso. Ad esempio l’auspicabilissimo vaccino per il Covid-19 sarà un bene comune, cioè pubblico, o sarà un brevetto di qualche causa farmaceutica fonte di enormi guadagni per pochi privati? E in Italia si invertirà la privatizzazione del sistema sanitario pubblico a cui sono stati tagliati 37 miliardi di euro dal 2010 al 2019? E si è finalmente capito che l’autonomia differenziata (o meglio la “secessione dei ricchi”) oltre a generare confusione istituzionale con provvedimenti diversi tra stato e regioni crea solo ulteriori diseguaglianze e cittadini con più diritti di altri? In Usa ci si renderà finalmente conto che la salute è un bene primario e fondamentale della persona che non può essere gestito con assicurazioni private che escludono la parte più povera della popolazione? E non parliamo delle condizioni sanitarie delle popolazioni africane e dei Paesi più poveri del mondo. In poche parole: la politica saprà invertire la tendenza e cominciare a trasferire risorse dai pochi che detengono la maggior parte delle ricchezze del mondo alla maggioranza della popolazione?

Ci chiedevamo chi pagherà le conseguenze sociali ed economiche della crisi sanitaria. Pare evidente che, allo stato attuale, saranno sempre gli stessi di sempre: la parte più povera. Ed è chiaro che anche questa volta la crisi verrà superata e ci sarà la “ripresa economica” come è sempre capitato nelle crisi precedenti. Ed è fortissimo il rischio che anche questa volta si verificherà un’ulteriore concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi e un aumento delle diseguaglianze.
Fino al prossimo virus e alla prossima crisi. Inevitabile perché l’attuale modello sociale ed economico ne è quantomeno corresponsabile.

Quindi il Covid-19 non è democratico e tantomeno neutrale. Bensì mette in evidenza le ingiustizie e le diseguaglianze e rischia di aggravarle. Come ha detto Naomi Klein rappresenta una crisi su larga scala che probabilmente permetterà di far passare politiche che sistematicamente aumentano le disuguaglianze, arricchiscono le élite e tagliano fuori chiunque altro. Ma ci offre anche un’occasione: ribaltare questo assunto e iniziare un processo di modifica del modello sociale ed economico che risolva i problemi ambientali, elimini le diseguaglianze e i privilegi e favorisca invece il bene pubblico, la salute collettiva, il benessere sociale e non il profitto.

Su questo i vari partiti del centrosinistra, Pd, LeU etc. etc., sono chiamati a una forte autocritica rispetto alle politiche perseguite in passato e a un cambio radicale delle loro proposte, sia a livello italiano che europeo, lottando per un Green New Deal che porti ad una vera giustizia ambientale congiunta con la giustizia sociale e non solo ad una “riverniciatura di verde” (greenwashing) del capitalismo. Altrimenti ci troveremo ad affrontare tra poco altre crisi sanitarie e climatiche e altre diseguaglianze.

Guido Marinelli, comitato nazionale èViva, cofondatore associazione PerIMolti