Per uscire dal lockdown bisogna accettare di perdere un po’ di libertà individuale. «Il contact tracing può rompere la catena di trasmissione del virus» osserva il fisico teorico Enzo Marinari e aggiunge: «La nostra democrazia è solida, penso che possa permettersi di fare questa cosa»

«Dobbiamo imparare a rintracciare le persone che sono state potenzialmente contagiate da ogni nuovo paziente positivo al coronavirus. Il contact tracing è la via per passare dalla prima fase, quella di lockdown più o meno totale, alla fase due della progressiva normalizzazione dei problemi legati al Covid-19, senza sovraccaricare ulteriormente il sistema sanitario nazionale». Siamo con il professor Enzo Marinari, ordinario di Fisica teorica alla Sapienza di Roma, per fare il punto sull’efficacia delle strategie fin qui adottate in Italia per rallentare l’avanzata della pandemia, e per ragionare su cosa è necessario fare in un prossimo futuro sulla base dei dati resi noti dalla Protezione civile.
Da qualche giorno infatti la curva dei contagi mostra un rallentamento su scala nazionale ed è probabile che ci si stia avvicinando al famoso picco oltre il quale si può iniziare a pensare a nuove misure di “difesa” dal rischio contagio. Non siamo fuori dall’emergenza ma si comincia a pensare come uscirne.

Giusto un mese fa lei, insieme al fisico Giorgio Parisi, il biologo Enrico Bucci e altri, osservando la curva dei contagi avevate lanciato un allarme forte e chiaro: «Al ritmo attuale il rischio è che non tutti i pazienti possano essere curati in modo adeguato». Dopo son venuti i lockdown e le zone rosse ma a un certo punto il sistema sanitario lombardo è davvero arrivato a un passo della catastrofe.
All’inizio osservammo che c’era un tempo di raddoppio dei decessi piuttosto breve: due giorni e mezzo. Senza far nulla, in dieci giorni si sarebbe determinata una conta dei morti insostenibile anche solo da pensare. Non che quanto accaduto a Lodi, Brescia, nel Bergamasco sia meno drammatico, anzi, ma senza le misure di mitigazione, a quei ritmi, oggi staremmo parlando di 25mila morti al giorno. Siamo intervenuti perché abbiamo avuto paura. Vedevamo quei dati e pensavamo che fosse una follia che ci fosse ancora tutta quella gente a spasso per i Navigli a prendere l’aperitivo, ad affollare bar etc.. Dal punto di vista scientifico la nostra è stata una considerazione elementare, nulla di sofisticato, però appena abbiamo capito quale fosse la situazione abbiamo voluto dare un segnale forte e ci siamo sentiti in dovere di renderla pubblica.

 

 

 

 

 

 

 

Come si possono leggere i segnali di rallentamento dei contagi?
La mia impressione è che il flusso dei dati inizi a essere “influenzato” dal distanziamento sociale che stiamo subendo. Ora ci troviamo fuori da una crescita esponenziale ma tutto dipende da come ci comportiamo. Se al Sud accadesse qualcosa di simile alla Lombardia sarebbe un grande problema. È tutto molto delicato, non è chiaro fino a quando la tenuta sociale sarà al sicuro. La gente deve mangiare. Dopo un mese non tutti possono permettersi di restare in casa e non si….

L’intervista prosegue su Left in edicola dal 3 aprile 

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Scrivevo già per Avvenimenti ma sono diventato giornalista nel momento in cui è nato Left e da allora non l'ho mai mollato. Ho avuto anche la fortuna di pubblicare articoli e inchieste su altri periodici tra cui "MicroMega", "Critica liberale", "Sette", il settimanale uruguaiano "Brecha" e "Latinoamerica", la rivista di Gianni Minà. Nel web sono stato condirettore di Cronache Laiche e firmo un blog su MicroMega. Ad oggi ho pubblicato tre libri con L'Asino d'oro edizioni: Chiesa e pedofilia. Non lasciate che i pargoli vadano a loro (2010), Chiesa e pedofilia, il caso italiano (2014) e Figli rubati. L'Italia, la Chiesa e i desaparecidos (2015); e uno con Chiarelettere, insieme a Emanuela Provera: Giustizia divina (2018).