«Ora però tocca ai compagni» titola il Giornale coerentemente con le dolorose righe di Libero, che lamenta la disparità di trattamento riservata ai centri sociali. Dolori provocati dal provvedimento di sgombero per la sede romana di CasaPound, cioè dei «fascisti del terzo millennio» come loro stessi si qualificano. Dei dettagli sono piene le cronache e qui ci limitiamo al minimo per ragionare d’altro. «A conclusione di una indagine condotta dalla Digos della Questura di Roma – batteva una agenzia della Adnkronos della mattina di giovedì 4 giugno – la Procura della Repubblica capitolina ha chiesto e ottenuto dal gip un sequestro preventivo, con riferimento al reato di occupazione abusiva, dell’immobile in via Napoleone III, sede di CasaPound». I suoi dirigenti sono inoltre indagati per istigazione all’odio razziale e occupazione abusiva di immobile. A latere, ma non troppo, la Corte dei Conti chiede un risarcimento di 4.6 milioni di euro per omessa disponibilità del bene immobile e la mancata riscossione dei canoni da parte del Demanio. La promessa dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini di far sgomberare «tutti gli stabili occupati di Roma» ha infine trovato applicazione – ovviamente – non sotto il suo regno, ché qualche tartaruga aveva nel frattempo ricordato al papetiano che in quei «tutti» ci sarebbe stato anche lo stabile «storico» di via Napoleone III, ma sotto quello di Virginia Raggi, che un anno fa, per portarsi avanti col lavoro, fece rimuovere la scritta CasaPound dallo stabile nero. Un provvedimento, quello del Gip, che ha scatenato un putiferio dai caratteri però surreali alla luce di quella Costituzione secondo cui «è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista». Pare chiaro, no? No.
Le gazzette di destra mettono infatti sullo stesso piano organizzazioni neofasciste e centri sociali. Eppure, la Costituzione vieta la riformazione del partito fascista, non demonizza opposti speculari. Esempio: quando il calciatore Lucarelli esultava col pungo chiuso non rischiava di commettere un reato diversamente da Di Canio col saluto romano (in base non alla Costituzione, questa volta, ma alla Legge Scelba, che considera reato anche il solo parlare del fascismo e/o dei suoi esponenti in termini positivi ). Ora, delle due l’una: o cambiamo la Costituzione o dichiariamo – coerentemente – fuori legge (nel senso di banditi, proprio) quei partiti/movimenti/organizzazioni/formazioni che si richiamano al fascismo. Per coerenza – nel caso in cui si modificasse la Costituzione togliendo quella sua «fastidiosa» cifra antifascista – andrebbero azzerate le leggi Scelba e Fiano.
Negli anni sessanta avevano una certa fortuna «telefilm» della serie «Ai confini della realtà». Serie che riavrebbe successo se riproposta ispirandosi a quanto succede a volte in questo – strano – paese in cui si promulgano le Costituzioni fra le più belle del mondo e leggi contro il fascismo, l’odio razziale, la discriminazione, e poi ci si infila in dibattiti surreali relativamente alla loro applicazione. Stando quindi alla Costituzione e alle leggi in vigore, organizzazioni – orgogliosamente – fasciste quali CasaPound, non hanno possibilità d’esistenza, al pari di tutte le altre nei cui petti battono cuori repubblichini non repubblicani: dal Fronte Nazionale a quella Forza Nuova cui diversi dispiaceri ha recentemente dato la trasmissione di Rai 3 Report con una inchiesta sui finanziamenti e i collegamenti politici internazionali. In coda, ma ugualmente meritorie di un ban sociale oltre che una dannazione politica, altre formazioni, come il Movimento Fascismo e Libertà (che ossimoro!), e quei Fasci italiani del Lavoro capaci di esprimere nel 2017 una consigliera comunale a Sermide e Felonica, paese della bassa mantovana: tale Negrini Fiamma (quando si dice il nome…), poi destituita dal Tar di Brescia per appartenenza a un movimento di palese ispirazione fascista. Le summenzionate grida di dolore pro CasaPound non meravigliano se arrivano da ambienti con loro compiacenti (anche perché CasaPound significa un serbatoio di voti non trascurabile), meravigliano invece assai quando alte, sonanti (e fastidiose) arrivano da quelle gole che hanno – da tempo – ingoiato e poi espulso ogni residuo ideologico, ché il termine stesso ormai (ideologico) li manda in crisi respiratoria.
Dalla caduta del Muro in avanti s’è andata infatti espandendo una pandemia revisionista dal respiro corto, il cui contagio non ha risparmiato nemmeno certe intelligenze della sinistra italiana. E se non c’è da meravigliarsi se a sostenere le ragioni delle tartarughe nere è un filosofino pret-a-porter da tv talk col ditino similislamista sempre alzato, visto che, non casualmente, scrive per Il Primato Nazionale, il quotidiano sovranista di CasaPound, petulando senza vergogna la bestemmia del marxismo sovranista, si resta perlomeno perplessi di fronte alle levate di scudi da parte di chi un tempo raccomandava un «antifascismo militante» unitamente a una perenne «vigilanza». C’è da chiedersi insomma cosa significhino ormai queste parole, ché, in buona sostanza, sono state dismesse, mentre quella «appartenenza» che faceva (e per me continua a fare) da spartiacque fra un pensiero e un altro, una cultura e un’altra, una politica e un’altra, è stata infiltrata da pensieri che confliggono col «pensiero partigiano» di Gramsci. (E sarebbe legittimo se ci fosse l’onestà di dichiarasi da esso ormai lontani). Ideologia è diventata anche per costoro blasfemìa. E demonizzati sono i sostenitori della persistenza della «ideologia», che però non è una brutta parola (per conseguenti brutte azioni) ma il termine col quale prima il filosofo Destutt de Tracy indicava l’antimetafisica della coscienza, e poi Marx l’insieme delle convinzioni d’ordine confessionale, politiche, morali espresse nella Storia dalle diverse classi sociali. Orbene, «l’ideologia» cui ci sentiamo di appartenere contrasta in modo speculare con quella che pervade il pensiero delle tartarughe destinatarie di quel provvedimento di sgombero che tanto clamore ha suscitato anche fra molti dei suddetti «ex».