Venti anni fa, l’estate del 2000 ha segnato l’inizio di una nuova vita per l’Appia, con le aperture del complesso del Mausoleo di Cecilia Metella e il medievale Palazzo Caetani, la Villa dei Quintili, i restauri della strada e di alcuni monumenti funerari che la fiancheggiano, la ricucitura della via Appia, grazie all’interramento delle corsie del Grande raccordo anulare. Questi interventi sono stati realizzati con i finanziamenti straordinari per il Grande Giubileo 2000, come risorsa aggiuntiva anche per il patrimonio storico artistico diffuso della città. Nei tempi brevi imposti dall’evento, con un team di professionisti della Soprintendenza ed esterni, si sono portati a compimento progetti a carattere stabile, per una effettiva fruizione pubblica. In molte situazioni Stato e Comune hanno lavorato in collaborazione: nell’area archeologica centrale e sull’Appia, come dichiarato da Francesco Rutelli, allora sindaco e Commissario straordinario per il Grande Giubileo: «…Veniva avviata la fase cruciale dei nuovi scavi ai Fori Imperiali, premessa indispensabile per la realizzazione dell’idea di Antonio Cederna: il grande parco archeologico romano lungo l’asse Campidoglio-Fori-passeggiata archeologica-Terme di Caracalla fino all’Appia antica». Nonostante questo progetto, di primaria importanza per l’intera città, sia ancora in attesa di una definizione, all’epoca, il Comune completava gli interventi di restauro ambientale e dei monumenti nella valle della Caffarella e la Soprintendenza archeologica di Roma realizzava scavi, restauri e adeguamenti per la via Appia e i complessi monumentali, operazioni necessarie all’attuazione del grande piano Fori-Appia, ma rimaste isolate.
La tutela infinita
La tutela ha comportato un impegno enorme nel tentativo di contenere il fenomeno dell’abusivismo e vigilare sui tanti monumenti in proprietà privata. L’interrogativo assillante era: come mai l’ambito dell’Appia, quel cuneo verde ben evidenziato nel Piano regolatore del 1965 come parco pubblico, inedificabile, tutelato dai vincoli archeologici e paesaggistici, aveva lasciato crescere forme di illegalità così sfacciate, era attraversato da un traffico intenso, senza regole anche sulla stessa regina viarum, e il “Parco” corrispondeva a un ente regionale, di carattere naturalistico? Tra estenuanti procedure per fare fronte a condoni e ricorsi amministrativi, troppo spesso favorevoli agli interessi privati, l’unico incitamento arrivava da Antonio Cederna. «La via Appia era un monumento unico da salvare religiosamente intatto… perché da secoli gli uomini di talento di tutto il mondo l’avevano amata, descritta, dipinta, cantata, trasformandola in realtà fantastica, in momento dello spirito, creando un’opera d’arte di un’opera d’arte, intoccabile come l’Acropoli di Atene…». Così scriveva Cederna, ne “I gangster dell’Appia”, articolo pubblicato su Il Mondo, l’8 settembre 1953.
L’impegno per la tutela dell’Appia non è terminato, ma da quell’estate del 2000, la forza dell’affermazione della storia ha ripreso il sopravvento e ha fatto crescere una consapevolezza, soprattutto presso la collettività, il cui ruolo è di primaria importanza e richiamato l’attenzione dei media, anche a livello internazionale.
Dalla fine del 1998 alcune criticità nell’esercizio della tutela sono state in parte superate con il vincolo paesaggistico per le zone di interesse archeologico, a salvaguardia del comprensorio dell’Appia nella sua integrità, inclusa la Tenuta di Tor Marancia, destinata a lottizzazione, con il fine di preservare la situazione storico-topografica come bene culturale d’insieme. Dal 2010 è vigente il Piano territoriale paesistico specifico, Valle della Caffarella, Appia Antica e Acquedotti, redatto dalla Regione Lazio, di concerto con il ministero e le altre amministrazioni che spalanca una visione adeguata a questo ambito, basata sull’importanza che l’Appia ha assunto nella cultura europea, testimoniata dalla mole di documenti scritti e iconografici, fornendo indicazioni per la tutela e la pianificazione.
La strada
Se il progetto per un grande Parco dal Campidoglio ai Castelli Romani, avviato nel 1887, è fallito tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, poi col programma del regime fascista, trasformando l’area archeologica centrale in grandi viali, con i monumenti rimasti isolati, in precedenza, tra gli anni 1850 e 1853 l’architetto Luigi Canina, Commissario alle Antichità di Roma del governo pontificio, aveva realizzato una grandiosa opera per il recupero della via Appia e dei monumenti fino all’antica Boville (Marino), acquisendo alla proprietà pubblica anche le fasce laterali. Si crea un grande “museo all’aperto” per la salvaguardia e la fruizione della Via Appia, divenuta un luogo di attrazione, ben mantenuto che richiamava migliaia di visitatori, anche stranieri. Già alla fine del secolo, purtroppo, l’integrità della via Appia, passata allo Stato italiano, in consegna al ministero e alle soprintendenze, subisce i primi guasti e nella prima metà del Novecento, incredibilmente, si rilasciano licenze per la costruzione di ville progettate secondo uno stile Appia. Lo Stato distratto, dimenticando l’essenza di monumento della via Appia, consente che ne vengano demoliti tratti per gli accessi alle nuove costruzioni, riducendola al rango di una qualsiasi strada che manteneva un proprio fascino, ma non nell’interesse pubblico.
Sono gli anni in cui Antonio Cederna, dal 1953, inizia a denunciare con la serie di articoli “I gangster dell’Appia”, sulla rivista Il Mondo, gli scempi e il prevalere di interessi privati nell’indifferenza delle amministrazioni pubbliche per smantellare la regina viarum, recuperata un secolo prima come straordinario museo all’aperto. Per agevolare il traffico automobilistico e i collegamenti con Cinecittà e l’aeroporto di Ciampino, il basolato antico viene coperto da più strati di asfalto e nessuna regola interviene in soccorso della strada-monumento.
Il riscatto
Con i lavori completati venti anni fa e con i successivi costanti interventi di restauro e manutenzione da parte dell’allora Soprintendenza archeologica di Roma, la via Appia ha conquistato una fase di riscatto e i tratti di basolato riscoperti hanno automaticamente contenuto il traffico veicolare, almeno nel tratto monumentale, ribaltando in parte la tendenza dei decenni precedenti. I lavori di interramento delle corsie del Gra hanno consentito di eliminare quella ferita che tagliava la Via Appia, oggi ricucita e dimenticata.
I risultati conseguiti a partire dalle prime aperture del 2000, festeggiate in una indimenticabile serata con l’allora ministro Giovanna Melandri, il soprintendente Adriano La Regina, tanti colleghi e ospiti, possono essere considerati un modello e un metodo: i progetti e le realizzazioni con cui si è iniziato hanno dato vita a ulteriori processi di crescita graduale della conoscenza, della salvaguardia, della valorizzazione, nel senso di valore aggiunto, offrendo anche opportunità di ricerca per università e istituti di ricerca archeologica italiani e stranieri e di eventi culturali, dando vita a un autentico “Laboratorio di mondi possibili”.
Il sapiente restauro di alcuni dei monumenti lungo la via offre l’opportunità imperdibile di conoscere la storia della strada antica e moderna, dal museo all’aperto dell’Ottocento alle circostanze per la salvaguardia di questo monumento unico al mondo, anche con l’ausilio di tecnologie, segnaletica, mostre fotografiche e filmati.
Il complesso del Mausoleo di Cecilia Metella con il Palazzo nel Castrum Caetani, dopo scavi, restauri strutturali impegnativi e nuovi allestimenti della raccolta museale, è stato aperto completamente al pubblico, con servizi e supporti illustrativi. La scoperta inattesa della testata terminale della colata lavica prodotta oltre 260 mila anni fa dal vulcano laziale, ha permesso di completare gli studi geologici e presentarne una sintesi nel livello inferiore scavato, dove si impone il fronte della lava.
Con gli scavi nella Villa dei Quintili, svolti nell’arco dei venti anni dal 1998 al 2018, è stata riscoperta gran parte della lussuosa residenza; contestualmente il sito è stato gradualmente adeguato e attrezzato per la visita del pubblico e aperto come un laboratorio continuo a ricerche da parte di Università, Istituti italiani e stranieri, studiosi, studenti, cantieri scuola, luogo di applicazione di nuove tecnologie per la conservazione delle strutture e dei rivestimenti a mosaico e in marmo, di allestimenti nei percorsi, verso una accessibilità completa. Ricerche sul campo e negli archivi hanno guidato la scelta su dove e quanto scavare, tenendo sempre conto che ci si sarebbe dovuti spingere solo con la certezza di poter mantenere a vista quello che si scopriva e assicurando costantemente la fruizione pubblica del sito. Le scoperte hanno fatto luce su tutti gli aspetti del complesso, i programmi decorativi, il cantiere antico, le trasformazioni continue per adeguamenti e abbellimenti nei passaggi di proprietà dai fratelli Quintili agli imperatori, fino ai periodi più tardi con i fenomeni di riutilizzo e agli usi agricoli dell’epoca moderna. La conoscenza delle collezioni del Museo nazionale romano ha favorito l’arricchimento dell’Antiquarium presso il sito archeologico dove, oltre ai materiali degli scavi recenti, sono stati allestiti quelli di scoperte fortuite dei primi decenni del Novecento, quando l’area era ancora in proprietà privata, confluiti nel museo e non esposti, dei quali si sono trovati ulteriori dati di conoscenza dagli scavi recenti. Il museo e il sito archeologico, acquistato dallo Stato solo nel 1985, hanno potuto stabilire connessioni importanti tra i materiali e i luoghi di ritrovamento, operazione di ricerca e valorizzazione che sarebbe impossibile con l’attuale assetto di separazione tra il Museo nazionale romano e il territorio, appartenenti ora a Istituti diversi, dopo la riforma del ministero, con impedimenti allo sviluppo di processi conoscitivi integrati.
Nuove acquisizioni
Con la consapevolezza che il patrimonio pubblico dovesse essere incrementato, per arricchire la conoscenza dell’Appia e le sue trasformazioni nei secoli e per creare luoghi di sosta e visita lungo la via, sono state acquisite alcune proprietà private. Nel 2002 la Soprintendenza ha acquistato una villa poco distante dal Mausoleo di Cecilia Metella, oggi il sito Capo di Bove che gli scavi e le ricerche storico-archivistiche hanno ricollegato alla vasta tenuta del Triopio di Erode Attico del II sec. d.C, estesa al terzo miglio della strada, tra la Caffarella e l’Appia, ampliando la conoscenza della topografia della zona.
La villa è stata adattata per accogliere eventi culturali, conferenze, concerti, lezioni, per offrire al pubblico l’opportunità di scoprirne la storia e avere servizi e ristoro; qui è ospitato l’archivio di Antonio Cederna donato dalla famiglia allo Stato, consultabile personalmente e dal sito web.
Disponendo di spazi chiusi e completamente accessibili si è potuto dare avvio a quel “Laboratorio di mondi possibili”, grazie anche a un progetto di comunicazione strategica, per stabilire con il pubblico una relazione emotiva nel trasmettere l’immenso valore dell’Appia, dove cultura e natura si incontrano, in grado di suggerire nuovi modelli di vita per la città. In questo senso si è ideato anche un festival, Dal tramonto all’Appia, che, superando le iniziative organizzate da tempo di eventi musicali, fosse in grado di offrire un programma culturale articolato e creato specificamente, con l’idea all’estate romana inventata da Renato Nicolini quarant’anni prima.
La proprietà di Santa Maria Nova, confinante con la Villa dei Quintili sull’Appia antica, al quinto miglio, in stato di abbandono, verso la quale da tempo vi era attenzione, è stata acquistata dalla Soprintendenza nel 2006 e oggi è un tutt’uno con la Villa dei Quintili di cui in antico faceva parte. Anche qui scavi, ricerche storiche e i complessi restauri e adeguamenti del casale, hanno portato a risultati sorprendenti. Si è lavorato con la finalità del recupero del bene di pari passo con lo studio del sito, emblematico delle trasformazioni del territorio della città dall’epoca antica a oggi.
La creazione del nuovo istituto autonomo del Parco archeologico dell’Appia antica avrebbe dovuto offrire nuove opportunità rispetto alla gestione precedente con la quale sono stati conseguiti i risultati ricordati qui solo in parte. Per poter andare avanti superando l’indigenza e i disagi che questo cambiamento di status ha determinato occorrono risorse da assegnare a questo bene che si offre alla città, come dono esclusivo e gratuito, investimenti in grado di far crescere la conoscenza e il godimento dell’immenso patrimonio. È necessario non accontentarsi dei risultati raggiunti mirando a un progetto di ampia portata in un sistema che sani le lacerazioni e agevoli la piena fruizione. Voglia il ministero onorare concretamente questa magnificenza!
Rita Paris, archeologa, è stata responsabile dell’Appia per la Soprintendenza dal 1996 al 2017. Da marzo 2017 a dicembre 2018 è stata direttore del Parco archeologico dell’Appia Antica
CAFFARELLA, BREVE STORIA DI UN PARCO RICONQUISTATO
di Mirella Di Giovine
Appena fuori dalle Mura aureliane, in continuità funzionale e visiva con l’area centrale dei Fori, si apre la valle della Caffarella, l’ingresso privilegiato al Parco dell’Appia antica.
La valle si estende per circa 330 ettari, a ridosso della città storica, da Porta S. Sebastiano, lungo la via Latina, la via Appia antica, fino alla via dell’Almone, è attraversata dal sacro fiume Almone e da piccoli corsi d’acqua, ricchissima di sorgenti, terra fertilissima. Antico luogo di miti e leggende, il suo nome deriva dalla storica tenuta agricola cinquecentesca di proprietà dei Caffarelli. La valle della Caffarella racconta ancor oggi una storia di insediamenti e di evoluzione del paesaggio, che si sviluppa a partire dal II sec a.C. e raggiunge il suo fulgore in epoca imperiale, quindi ricca di testimonianze archeologiche, ma anche medievali, cinquecentesche, ottocentesche, fino ai nostri giorni. Un luogo che ha costituito nei secoli fonte di ispirazione di artisti e poeti.
La valle, come tutto il parco dell’Appia antica, è stata riconquistata al suo paesaggio, con tenaci battaglie. Vale la pena di ricordare alcuni passaggi per comprendere la particolarità di questa riconquista pubblica. Le aree sono state strappate alla speculazione edilizia, che mirava a farne una gigantesca lottizzazione, grazie alle storiche battaglie culturali ed urbanistiche di Antonio Cederna per l’Appia. In seguito si sono sviluppate anche tenaci battaglie locali come quelle dello storico Comitato della Caffarella che ancor oggi vigila e si batte per ulteriori conquiste. L’esproprio, nonostante il Piano regolatore e la Legge per Roma Capitale del 1990, era stato tentato dal Comune per ben due volte, senza successo. La valle, “rovina romantica”, era divenuta una discarica di inerti delle costruzioni circostanti, edificate negli anni 50-80, un’area di agricoltura disordinata e pascolo indiscriminato. D’altra parte la storia ci racconta che questa valle ha attraversato momenti alterni, di ribalta e di oscuramento, ma sempre ha rappresentato un paesaggio identitario del luogo, sentito dalla collettività e fortemente caratterizzato nell’immaginario collettivo.
Con il Piano, l’esproprio e gli interventi sviluppati nel Giubileo 2000 dal Comune di Roma, in collaborazione stretta con le Soprintendenze, si sono fatti scavi e scoperte importanti, come la necropoli del Colombario, i cunicoli sotterranei per la distribuzione dell’acqua termale, la piscina del Ninfeo di Egeria, si è ricostruito attentamente il paesaggio storico, restituito alla fruizione e alla conoscenza di tutta la città, e si è così definita la prioritaria importanza dei sistemi archeologici e del paesaggio di contesto. L’apertura di questi spazi al pubblico, grazie all’impegno dell’amministrazione Rutelli, è stata molto gradita dai cittadini e ha modificato la percezione del Parco dell’Appia antica per tutta la città e la qualità della vita dei quartieri contermini.
Un bel paesaggio ritrovato, ma che ancora non esprime tutta la sua identità storico archeologica, perché ancora non completo come meriterebbe. Da anni si attende di attuare le connessioni previste con i sistemi archeologici e paesaggistici del Parco dell’Appia e i collegamenti con la stessa via Appia. Manca la conclusione dell’esproprio di alcuni monumenti e aree residue come il sepolcro di Geta, e la fruizione di monumenti come il tempio di Sant’Urbano, espropriato ma non fruibile perché affidato al Vaticano. Permane la frammentazione della gestione, oggi distinta fra vari enti, Comune, Parco archeologico Mibact, Parco regionale, che impedisce di valorizzare le peculiarità archeologiche e di paesaggio delle parti monumentali e soprattutto impedisce una percezione unitaria del complesso dell’Appia e dei suoi sistemi archeologici e paesaggistici. Inoltre la non gestione dell’agricoltura, che andrebbe invece attentamente indirizzata per tutelare il paesaggio rurale storico, rischia di comprometterne la corretta percezione. Altro obiettivo incompiuto è, infatti, il recupero, già avviato e ora abbandonato, dello storico casale della Vaccareccia, simbolo e centro della tenuta storica e possibile centro agricolo e di servizi, perché nessun ente sembra interessato, né il Comune proprietario, né la Regione.
Dopo venti anni dalla sua riconquista, la difficoltà di completare i piani ed i progetti già esistenti, nonostante le opportunità finanziarie, e nonostante la consapevolezza e la pressione della collettività, caratterizza la storia del recupero delle peculiarità storico archeologiche e paesaggistiche di questa valle, storia e destino che l’accomuna da sempre a tutto il Parco dell’Appia antica.
Mirella Di Giovine, architetto, è stata dirigente del Comune di Roma e tra gli altri incarichi ha curato l’esproprio e il restauro della Caffarella
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