«Arrivati a questo punto le chiusure sono l’unica scelta: avremmo dovuto agire prima, ma per i cittadini non sarebbe stato facile accettarlo. Hanno bisogno di vedere i letti degli ospedali pieni. Sarà un inverno lungo e molto duro. Siamo in una situazione drammatica che ci riguarda tutti, senza eccezione. Nell’ultima settimana il numero di nuove infezioni è salito alle stelle. Le strutture sanitarie sono spesso al limite, il numero di pazienti in terapia intensiva è raddoppiato in una settimana. Ciò dimostra che siamo in una situazione drammatica, all’inizio della stagione fredda». Pochi leader al mondo (forse nessuno) sono stati più chiari e netti di Angela Merkel nell’annunciare la necessità di predisporre un lockdown nel proprio Paese per tentare di rallentare la crescita esponenziale dei contagi da Sars-cov-2.
La cancelliera tedesca ha così annunciato quale sarebbe stata la direzione della Germania parlando durante una videoconferenza con gli altri capi di Stato e di governo dei Paesi Ue per ragionare sulla possibilità di un approccio comune di fronte alla crisi sanitaria. Come ha raccontato l’inviato de La Stampa a Bruxelles Matteo Bresolin, «le telecamere Ue hanno registrato lo stupore di diversi leader, increduli di fronti alla sua franchezza». Non stentiamo a crederlo. Era il 30 ottobre e la Germania per la prima volta da quando l’epidemia è arrivata in Europa aveva superato la soglia dei 18mila contagi in un giorno. Poco dopo Merkel e i ministri presidenti dei Laender hanno annunciato un semi-lockdown che è scattato lunedì 2 novembre. Obiettivo: riportare la soglia dei contagi sotto i 50 casi ogni 100mila abitanti dagli attuali 215 (Fonte: European centre for disease prevention and control, al 2 novembre).
In Italia questo rapporto è più del doppio: 488,9 ogni 100mila abitanti, e i morti dall’inizio della pandemia sono 39.059 contro i 10.530 della Germania.
Il 23 ottobre, una settimana prima dell’allarme lanciato dalla Merkel, il fisico Giorgio Parisi, presidente dell’Accademia dei lincei, nonché uno dei massimi esperti di fisica statistica a livello internazionale, sulla base dei suoi calcoli ne aveva lanciato uno altrettanto drammatico dalle pagine di Repubblica: «A marzo stavamo per essere investiti da un Tir che viaggiava a 130 chilometri orari. Oggi ci sta arrivando addosso a 60 chilometri orari: abbiamo il tempo per scansarci, ma se non lo faremo ci ammazzerà lo stesso, anche se va più piano». E ancora: «Ragionevolmente, i quasi 20mila nuovi casi di oggi corrisponderanno a circa 250 morti di venerdì prossimo (30 ottobre, ndr). Se dunque le misure prese nei giorni scorsi non dovessero rallentare questa tendenza, basta un po’ di aritmetica per calcolare che a metà novembre ci ritroveremo con 500 morti al giorno». Il 29 ottobre i decessi sono stati 217, il 30: 199 e il 31: 297. Mentre andiamo in stampa sta per essere varato un nuovo Dpcm che dovrebbe dividere l’Italia in tre zone di rischio – rossa, arancione o gialla – da sottoporre a restrizioni in base all’andamento della pandemia da coronavirus. Al professor Parisi chiediamo se stiamo andando nella direzione giusta.
«Siamo andando nella direzione giusta – osserva il fisico – ma ci stiamo muovendo molto ma molto lentamente. I 297…
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