Su un punto siamo tutti d’accordo: il diritto alla conoscenza è fondamentale perché rappresenta una esigenza irrinunciabile. E in questa fase di crisi sanitaria va garantito con ogni mezzo, trovando il modo perché tutti gli studenti lo possano esercitare in sicurezza. Il ministro Lucia Azzolina dice che le scuole devono restare aperte, ma il governo di cui è esponente ha decretato prima la Dad al 75 per cento e poi la Didattica integrata digitale (Did) al 100 per cento per tutte le scuole superiori fino al 3 dicembre. E sappiamo ormai benissimo quali e quante disparità di accesso ci siano per questo tipo di didattica in Italia. Basta ricordare che già prima della pandemia l’Istat rilevava che il 25 per cento delle famiglie in Italia è fuori da ogni connessione digitale, con forti divari fra nord e sud, città e periferie. Ben prima di febbraio il Forum disuguaglianze cercava di accendere i riflettori dell’attenzione pubblica su una cifra enorme di bambini (un milione e 200mila) che in Italia vivono in povertà assoluta; condizione che quasi sempre si accompagna a povertà di offerta formativa e a dispersione scolastica.
Con la pandemia lo iato delle disparità si è ulteriormente allargato: ora più che mai la scuola è il luogo dove combattere le disuguaglianze sociali e le vecchie e nuove povertà educative, perché tutti i ragazzi hanno diritto all’istruzione. E checché ne dica il presidente della Campania De Luca soffrono se non ci possono andare, se non si possono realizzare nel conoscere cose nuove e nel rapporto con gli altri. Gli adolescenti in modo particolare (con la chiusura delle medie e delle superiori nelle zone rosse) sono quelli che patiscono di più questa privazione di contenuti, di stimoli e di confronto. Non tutti hanno intorno reti affettive, sociali e formative che possano almeno in parte supplire. Mentre attraversano una fase evolutiva delicata rischiamo di far loro un danno enorme. Per fortuna i ragazzi hanno capacità di reagire e di trovare soluzioni creative mentre i casi di ritiro sociale rappresentano una minoranza, come racconta la psichiatra Nella Lo Cascio su questo numero. Ma questo - avverte - non cancella il problema della privazione che gli stiamo infliggendo. Non possiamo chiudere gli occhi.
La Costituzione dice che la Repubblica ha il dovere di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona. Dice che la scuola è aperta a tutti e che deve garantire a tutti - nessuno escluso - il diritto alla formazione, all’accesso al sapere. E in questo momento questi diritti fondamentali rischiano di essere disattesi. E la Carta rischia di essere lettera morta. Dunque che fare? Il mondo della scuola non si arrende. Studenti, docenti e terzo settore, come raccontano le inchieste e le testimonianze che abbiamo raccolto non si limitano a criticare i ritardi del governo nel mettere in sicurezza la scuole (anche risolvendo la questione annosa dei trasporti) e avanzano proposte concrete. Mentre il movimento Priorità alla scuola si mobilita su tutto il territorio nazionale e, contro le ordinanze regionali di chiusura delle scuole fa ricorso al Tar, altri gruppi, associazioni, realtà territoriali, studiano e fanno ricerca per mettere a punto soluzioni alternative e avanzano progetti di lungo periodo, cogliendo in questa necessità di distanziamento sociale per contenere il contagio da Covid-19 l’occasione per ripensare gli spazi, i tempi e i modi della didattica e la forma stessa della classe ereditata dal ’900 e che fino a pochi mesi fa, in molte parti del Paese, era ancora esemplata, nelle file continue di banchi, sul modello della fabbrica fordista.
L’invito a pensare la scuola non come un’isola ma a farne il cuore pulsante del tessuto sociale e urbano viene in particolare dalla Fondazione Feltrinelli di Milano che come ci racconta il direttore Massimiliano Tarantino ha messo in rete una serie di esperienze territoriali d’avanguardia approdando a un progetto in 13 punti di “Scuola sconfinata”: un modello di scuola aperta alla collettività, che mappa e esplora spazi urbani inediti per la didattica, che favorisce la coesione sociale; un modello di scuola che mette al centro i bisogni e le esigenze dei ragazzi. Perché come scrive la professoressa Elisabetta Amalfitano: «I ragazzi non vogliono restare a casa!», Va rifiutato «un pensiero che, oltre che falso, è comodo per certa politica perché la solleva dal dover mettere in atto un sistema alternativo senza perdere consensi ma che è violentissimo nei confronti del mondo scuola e in particolare dei giovani, della conoscenza, della nostra identità umana che invece è fatta di relazioni sociali, di saperi, di pensiero critico e libero».
[su_divider style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]
L'editoriale è tratto da Left del 13-19 novembre 2020
Leggilo subito online o con la nostra App
[su_button url="https://left.it/prodotto/left-46-2020-13-novembre/" target="blank" background="#ec0e0e" size="7"]SCARICA LA COPIA DIGITALE[/su_button]
Su un punto siamo tutti d’accordo: il diritto alla conoscenza è fondamentale perché rappresenta una esigenza irrinunciabile. E in questa fase di crisi sanitaria va garantito con ogni mezzo, trovando il modo perché tutti gli studenti lo possano esercitare in sicurezza. Il ministro Lucia Azzolina dice che le scuole devono restare aperte, ma il governo di cui è esponente ha decretato prima la Dad al 75 per cento e poi la Didattica integrata digitale (Did) al 100 per cento per tutte le scuole superiori fino al 3 dicembre. E sappiamo ormai benissimo quali e quante disparità di accesso ci siano per questo tipo di didattica in Italia. Basta ricordare che già prima della pandemia l’Istat rilevava che il 25 per cento delle famiglie in Italia è fuori da ogni connessione digitale, con forti divari fra nord e sud, città e periferie. Ben prima di febbraio il Forum disuguaglianze cercava di accendere i riflettori dell’attenzione pubblica su una cifra enorme di bambini (un milione e 200mila) che in Italia vivono in povertà assoluta; condizione che quasi sempre si accompagna a povertà di offerta formativa e a dispersione scolastica.
Con la pandemia lo iato delle disparità si è ulteriormente allargato: ora più che mai la scuola è il luogo dove combattere le disuguaglianze sociali e le vecchie e nuove povertà educative, perché tutti i ragazzi hanno diritto all’istruzione. E checché ne dica il presidente della Campania De Luca soffrono se non ci possono andare, se non si possono realizzare nel conoscere cose nuove e nel rapporto con gli altri. Gli adolescenti in modo particolare (con la chiusura delle medie e delle superiori nelle zone rosse) sono quelli che patiscono di più questa privazione di contenuti, di stimoli e di confronto. Non tutti hanno intorno reti affettive, sociali e formative che possano almeno in parte supplire. Mentre attraversano una fase evolutiva delicata rischiamo di far loro un danno enorme. Per fortuna i ragazzi hanno capacità di reagire e di trovare soluzioni creative mentre i casi di ritiro sociale rappresentano una minoranza, come racconta la psichiatra Nella Lo Cascio su questo numero. Ma questo – avverte – non cancella il problema della privazione che gli stiamo infliggendo. Non possiamo chiudere gli occhi.
La Costituzione dice che la Repubblica ha il dovere di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona. Dice che la scuola è aperta a tutti e che deve garantire a tutti – nessuno escluso – il diritto alla formazione, all’accesso al sapere. E in questo momento questi diritti fondamentali rischiano di essere disattesi. E la Carta rischia di essere lettera morta. Dunque che fare? Il mondo della scuola non si arrende. Studenti, docenti e terzo settore, come raccontano le inchieste e le testimonianze che abbiamo raccolto non si limitano a criticare i ritardi del governo nel mettere in sicurezza la scuole (anche risolvendo la questione annosa dei trasporti) e avanzano proposte concrete. Mentre il movimento Priorità alla scuola si mobilita su tutto il territorio nazionale e, contro le ordinanze regionali di chiusura delle scuole fa ricorso al Tar, altri gruppi, associazioni, realtà territoriali, studiano e fanno ricerca per mettere a punto soluzioni alternative e avanzano progetti di lungo periodo, cogliendo in questa necessità di distanziamento sociale per contenere il contagio da Covid-19 l’occasione per ripensare gli spazi, i tempi e i modi della didattica e la forma stessa della classe ereditata dal ’900 e che fino a pochi mesi fa, in molte parti del Paese, era ancora esemplata, nelle file continue di banchi, sul modello della fabbrica fordista.
L’invito a pensare la scuola non come un’isola ma a farne il cuore pulsante del tessuto sociale e urbano viene in particolare dalla Fondazione Feltrinelli di Milano che come ci racconta il direttore Massimiliano Tarantino ha messo in rete una serie di esperienze territoriali d’avanguardia approdando a un progetto in 13 punti di “Scuola sconfinata”: un modello di scuola aperta alla collettività, che mappa e esplora spazi urbani inediti per la didattica, che favorisce la coesione sociale; un modello di scuola che mette al centro i bisogni e le esigenze dei ragazzi. Perché come scrive la professoressa Elisabetta Amalfitano: «I ragazzi non vogliono restare a casa!», Va rifiutato «un pensiero che, oltre che falso, è comodo per certa politica perché la solleva dal dover mettere in atto un sistema alternativo senza perdere consensi ma che è violentissimo nei confronti del mondo scuola e in particolare dei giovani, della conoscenza, della nostra identità umana che invece è fatta di relazioni sociali, di saperi, di pensiero critico e libero».