Fin dall’inizio della pandemia in cima all’agenda della leadership cinese c'è stata la produzione di un antidoto sicuro ed efficace contro il Covid-19. Il cui sviluppo - ora a un passo dal risultato finale - è andato di pari passo con i meccanismi di prevenzione e controllo per contenere i contagi

Nell’ottobre del 2016, con una dichiarazione pubblica assai audace il presidente Xi Jinping annunciava la “Healthy China” (HC 2030), una programmazione sanitaria che, oltre ad affermare che la salute è un presupposto per ogni futuro sviluppo economico e sociale, stabiliva una strategia nazionale fissando obiettivi precisi e coinvolgendo tutti gli attori responsabili, cittadini compresi. Il documento evidenziava subito la necessità di sostenere la sanità pubblica non perdendo di vista le aree del Paese rimaste indietro nello sviluppo economico, ma anche di investire nella ricerca, nella sperimentazione e nell’innovazione. Per questo non bisogna stupirsi che la pandemia di Sars-cov-2 dalla quale il mondo è ancora travolto, appaia ormai quasi superata in Cina. Infatti, da una prospettiva politica, la capacità nell’affrontare l’emergenza ha avuto dimensioni sia nazionali che internazionali con una eco enorme.

Tuttavia la a linea ufficiale seguita dal Partito è sempre stata quella secondo cui «la piena vittoria» sarebbe dipesa dalla creazione di un vaccino. Questo messaggio chiaro è da subito apparso combinato alla retorica comunemente adottata dal Pcc: l’inquadramento cognitivo basato sul tempo, le cui scansioni vengono utilizzate per sviluppare una narrativa favorevole mentre si smussano angoli e dettagli poco favorevoli. Così, lo scorso settembre, durante una cerimonia commemorativa per le vittime del Covid, Xi Jinping definiva anche le tappe temporali attraverso le quali la Cina aveva vinto: «Un mese o giù di lì per contenere inizialmente (il virus) … circa due mesi per mantenere i nuovi casi domestici giornalieri entro una sola cifra» e «circa tre mesi per ottenere risultati decisivi nella battaglia per Wuhan e tutto l’Hubei».

Nonostante la nuova fiammata di contagio della scorse settimane, nella città portuale di Qingdao, peraltro immediatamente circoscritta, la linea ufficiale di Pechino è che il Paese ha già ottenuto un «successo strategico» nell’abbattere il virus. C’è del vero in questo: le misure di controllo proattive e rigorose hanno ricevuto elogi significativi anche dall’Organizzazione mondiale della sanità. Così, uscita dalla fase di emergenza la Cina è entrata in una fase di normalizzazione della prevenzione e del controllo di cui il vaccino deve rappresentare il naturale esito. È notizia degli ultimi giorni che…

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L’autrice: Daniela Caruso è docente di Studi sulla Cina presso l’Università internazionale della Pace-Onu di Roma

L’articolo prosegue su Left del 13-19 novembre 2020

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