Dieci anni dopo la rivoluzione dei gelsomini, a fronte della graduale costruzione di istituzioni democratiche, la Tunisia resta un Paese a due velocità in tema di distribuzione della ricchezza. E da metà gennaio sono tornate le proteste, più limitate nei numeri ma non meno potenti

Il fraintendimento che negli ultimi dieci anni ha monopolizzato la narrazione delle primavere arabe ha trovato il suo miglior palcoscenico lì dove tutto è iniziato. In Tunisia. Il Paese che per primo si è sollevato, già nel dicembre 2010, contro i 23 anni di regime di Ben Ali ha scelto la data più significativa per rompere le righe: il 14 gennaio scorso, decimo anniversario della fuga del presidente da Tunisi dopo un mese di proteste di massa, i giovani sono tornati in piazza, di notte, sfidando un coprifuoco che più che anti-covid aveva palesemente mire anti-proteste.
E il fraintendimento coltivato dagli analisti occidentali si è frantumato. In Tunisia, dipinta come sola rivolta riuscita, capace di incamminarsi a grandi falcate verso la democratizzazione, è cambiato poco dal 17 dicembre 2010 quando il venditore ambulante Mohammed Bouazizi si diede fuoco a Sidi Bouzid, definitiva forma di protesta contro le angherie della polizia.

Se molto è cambiato sul piano dei diritti civili e politici – multipartitismo, elezioni, maggiore libertà di stampa, leggi contro le violenze domestiche e sessuali e modifiche alla patriarcale legislazione che limitava gli spazi politici e sociali delle donne – sul piano socio-economico i tunisini sono fermi al palo: le ragioni più profonde che a cavallo tra il 2010 e il 2011 portarono milioni di persone in strada (e ispirarono egiziani, siriani, yemeniti, bahrainiti) sono ancora lì, a strangolare ogni speranza di un futuro migliore, più eguale.

Da metà gennaio le proteste sono tornate, più limitate nei numeri ma non meno potenti. A manifestare sono giovani e adolescenti, minorenni, studenti e disoccupati. Molti erano bambini durante la rivoluzione dei gelsomini ma, come per altre società della regione, hanno assorbito un clima nuovo, una coscienza di sé e del cambiamento possibile che è per molti versi la migliore e più solida conquista delle rivoluzioni arabe.
Mentre scriviamo si è da poco conclusa un’altra grande manifestazione a Tunisi, che ha raccolto le istanze sollevate per prime dalle periferie della classe operaia e dei lavoratori a giornata, marginalizzate come dieci anni fa. Molti quartieri sono costruzioni informali, assorbite dalla grande città ma senza che a quell’annessione seguisse l’arrivo di servizi decenti e lavoro. Sabato 30 gennaio centinaia di persone hanno marciato sull’iconica Avenue Bourguiba verso la sede del ministero degli Interni. «Polizia ovunque, giustizia in nessun luogo», gridano e scrivono nei cartelli sollevati sopra le teste e le mascherine. Torna lo…


L’articolo prosegue su Left del 5-11 febbraio 2021

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