Più ombre che luci tra le priorità contenute nella riforma Cartabia. A cominciare dalle misure che inciderebbero sull’obbligatorietà dell’azione penale. Sono in gioco Stato di diritto ed eguaglianza tra i cittadini

Il progetto di riforma Cartabia/Draghi presenta certamente note positive, di cultura più garantista rispetto alla coazione a ripetere giustizialista dell’ex ministro Alfonso Bonafede. Sia chiaro, parlo solo di una timida razionalizzazione, che ha subito e subirà ulteriori mediazioni. In un tema, quello della giustizia penale, che non sopporta mediazioni, perché è collegato ad un punto di vista sulla società e riguarda il controllo di legalità, la violazione dei codici di convivenza regolamentati dalla giurisdizione penale. Materia incandescente. Non a caso, su Left, abbiamo parlato, negli ultimi anni, di “diritto del nemico”, espressione di Livio Pepino che critica un diritto penale teso a sanzionare soprattutto migranti, No Tav, attivisti sociali, povera gente. Abbiamo parlato di carcere “classista”, che ingabbia disagi e bisogni sociali come fossero problemi di ordine pubblico. È ritornata la tortura sistematica e diffusa. Continuiamo a ritenere che il carcere debba essere sanzione di “ultima istanza”.

Una vera riforma della giustizia dovrebbe essere fondata su due concezioni, depenalizzazione e decarcerizzazione, nel rispetto dell’articolo 27 della Costituzione: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». È, quindi, molto banale e riduttivo (e segno di cattiva politica e pessima stampa) che, invece, tutto il dibattito sul progetto di riforma Cartabia sia limitato al tema della “prescrizione”, certamente importante e complesso perché attiene alla storica dialettica tra “processo giusto” e “processo breve”. Ma il dibattito è politicista e simbolico, teso a marcare le distanze tra i partiti e dentro i partiti. Non vi è sofferenza né approfondimento, su un tema che pure attiene alla vita delle persone. Sono molto preoccupato, inoltre, dall’oscuramento di questioni, presenti nel progetto di riforma, che attengono all’assetto degli stessi poteri costituzionali. Questioni su cui il giudizio di larga parte dei giuristi democratici è molto negativo. Penso alle priorità da indicare per l’azione penale, che sono previste in un atto di indirizzo parlamentare, in una legge. Muterebbe il rapporto tra politica e giurisdizione. È una proposta incostituzionale. L’articolo 112 della Costituzione recita: «Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale». Non vi possono essere indicazioni altrui a…


L’articolo prosegue su Left del 30 luglio – 5 agosto 2021

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