Non si vive di solo Pnrr ma anche e soprattutto di politiche ordinarie che trovino nel dialogo e confronto con il lavoro la chiave per una nuova conciliazione tra diritti, salari e sviluppo. Anche questo chiede chi ha manifestato a Roma il 16 ottobre

In un’epoca di revisionismo e di pensieri deboli le parole della politica si svuotano del loro senso più intrinsecamente storico, prospettico e sociale.
Sabato a Roma c’erano centinaia di migliaia di persone, molte sono rimaste bloccate nelle stazioni della metropolitana non riuscendo ad arrivare, migliaia hanno invaso le strade limitrofe alla Piazza, con quella forza e determinazione che necessitava la brutalità e la violazione della Casa dei lavoratori quale emblema di libertà e riscatto. A tanti che affollavano le stazioni della metropolitana, sperando di poter arrivare per sostenere le ragioni dell’antifascismo, curiosamente sono stati chiesti i documenti, la provenienza e a rispondere a domande del tipo: come mai siete venuti a Roma? Eppure le bandiere rosse erano una matrice abbastanza evidente, ma si sa le matrici sono difficili da determinare di questi tempi, per chi sa che agitare il vessillo del nazionalismo, del securitarismo, della xenofobia e dell’intolleranza verso le moltitudini di identità di genere, culturali, geografiche, sociali. Come se nel mondo globalizzato vi fosse un idealtipo di persona, società e forma istituzionale che possa prevalere sulle altre, salvo poi dover gestire l’incompatibilità tra questi orientamenti e la democrazia costituzionale.
Una piazza sindacale perché all’appello di Cgil, Cisl e Uil hanno risposto lavoratrici e lavoratori, studentesse e studenti, pensionate e pensionati. Una piazza del lavoro e per i diritti.
Una piazza democratica perché di molti: antifascista è chiunque si riconosca nella Costituzione le cui radici si ritrovano nella Democrazia fondata sul lavoro.
Proprio alla Costituzione ci richiamiamo nella rivendicazione di agire con determinazione istituzionale nel volere dare attuazione alla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione Italiana che vieta la riorganizzazione del partito fascista: «È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista».
Abbiamo appoggiato con forza l’iniziativa del Comune di Sant’Anna di Stazzema, siamo iscritti all’anagrafe antifascista e sosteniamo la legge di iniziativa popolare che intende disciplinare pene e sanzioni verso coloro che attuano propaganda fascista e nazista con ogni mezzo. Vale giusto la pena ricordare che la legge Scelba del ’52 all’art.1 stabilisce così: «Si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando una associazione o un movimento persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politico o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di…

*L’autrice: Serena Sorrentino è segretaria generale Funzione pubblica Cgil (Fp-Cgil)


L’articolo prosegue su Left del 22-28 ottobre 2021

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