Dopo aver pubblicato la prima puntata della nostra inchiesta sulle accuse di violenza sessuale, psicologica e spirituale da parte di alcune suore nei confronti di padre Rupnik abbiamo ricevuto diverse testimonianze alla mail dedicata [email protected]. Tra le tante spicca questa lettera di una delle appartenenti alla Comunità Loyola inviata nel 2021 a papa Francesco per denunciare la grave situazione di sofferenza all’interno della Comunità. In tutto sono state 3 le lettere di questo genere inviate da altrettante consorelle al pontefice nell’estate del 2021. «Abbiamo saputo che le ha ricevute ma a nessuna di noi è stata mai data risposta», ci dice la religiosa
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Beatissimo Padre Papa Francesco,
Mi chiamo (omissis, ndr), appartengo alla Comunità Loyola, una comunità religiosa femminile di diritto diocesano nata in Slovenia. Attualmente la comunità è commissariata, affidata su richiesta della Congregazione per la Vita Religiosa al Vescovo Daniele Libanori. Il motivo del commissariamento è dovuto alla situazione di grave sofferenza in cui si trovano varie sorelle, rilevata dal Vescovo di Lubiana (Slovenia) sotto la cui giurisdizione essa si incontra. Il principale problema che è stato rilevato dalla visita canonica realizzata nel 2019 riguarda l’abuso di potere e lo stato di dipendenza e sottomissione rispetto alla fondatrice, nonché superiora generale Ivanka Hosta, in cui gran parte delle sorelle si incontrava.
Il commissariamento, iniziato in dicembre scorso (2020, ndr), ha cercato di introdurre modifiche necessarie alla vita della comunità, e soprattutto un processo di revisione profonda del carisma e delle costituzioni. Processo tuttavia, al quale si oppone un considerevole numero di sorelle che, fino al presente, considerano infondate le denunce, persecutoria nei confronti della fondatrice l’azione intrapresa dall’Arcivescovo di Lubiana prima, e dalla Congregazione e dal Vescovo Libanori attualmente.
In questa spaccatura e in questo rifiuto di ascoltare sia la sofferenza di molte sorelle, sia la voce della Chiesa attraverso i Pastori che invitano ad una profonda rifondazione, personalmente ho ritenuto necessario prendere le distanze, e ho chiesto l’esclaustrazione (omissis, ndr).
La ragione di questo mio appello a lei Santo Padre, non è tanto relativa alla mia situazione o alle conseguenze che io possa risentire dall’aver vissuto trent’anni (omissis, ndr) in un contesto di costante tensione, di confronto fra le sorelle, di progressiva spersonalizzazione fino a non riconoscere alcun senso nella vita nella comunità, in nessun modo “religiosa” se non nella formalità estrema degli atti e dei ritmi, ma senza un vero fondamento comunitario, né un libero e amoroso sguardo sulla realtà della chiesa locale in cui eravamo inserite, né sulla vita le una delle altre.
La comunità nei suoi inizi è stata anche segnata da abusi di coscienza ma anche affettivi e presumibilmente sessuali da parte di pe. Marko Rupnik. Egli come amico della fondatrice e di varie sorelle degli inizi, aveva una vicinanza e una presenza costante nella vita personale di tutte le sorelle e della comunità nel suo insieme. Quando attraverso la sofferenza estrema di alcune sorelle, nel 1993 si è giunti a una separazione definitiva da pe. Rupnik, non sono mai state totalmente chiarite le sue responsabilità; anzi sono state praticamente coperte e non denunciate sia dalle dirette interessate, ma anche da sr Ivanka, che ne era a conoscenza.
Tuttavia, non è solo per denunciare tutto ciò che scrivo, ma per un senso di responsabilità nei confronti di altre giovani che possano essere irretite, per fragilità o per sincero desiderio di una scelta di vita radicale. Negli ultimi anni, infatti, le scarse vocazioni nella Comunità Loyola sono venute soprattutto dal Brasile e dall’Africa. Sono ragazze fragili per cultura e per storie personali molto complesse e dolorose, che più facilmente possono essere irretite in relazioni di dipendenza e di sottomissione assoluta, secondo un modo poco sano (sia dal punto di vista religioso che antropologico) di concepire il valore e la prassi del voto di obbedienza e il proprio carisma comunitario, inteso come “disponibilità ai Pastori”.
È evidente sempre più che la “dipendenza e l’abuso psicologico” è molto difficile da dimostrare e che per questo si configura come una forma di abuso ancora più grave. Un dolore silenzioso, che rende la vittima ancor più fragile ed esposta perché non creduta, non riconosciuta; o perché essa stessa si considera responsabile della sua condizione. L’appello che quindi le rivolgo, a partire dall’esperienza e situazione dolorosa in cui si incontra la Comunità Loyola, è che si adoperino tutti i mezzi perché sia data voce, dignità, e restituita la libertà di coscienza a queste e a tutte le altre, molte vittime di questi nuovi movimenti religiosi e nuove comunità. Allo stesso tempo siano creati efficaci meccanismi che proteggano quei giovani che nella loro fragilità e generosità si interrogano sul senso della propria vita; perché possano scegliere e comprendere davvero la volontà del Signore, in piena libertà.
Lungo questi anni vari membri della Comunità Loyola hanno offuscato il senso profetico della vita religiosa, rendendo la comunità un luogo di non comunione, di non verità, di non vita, di non creatività e di sterilità.
Affido alla sua custodia paterna la nostra vita; e supplico lo Spirito che la sostenga con la sua forza e sapienza.
3 agosto 2021
Lettera firmata
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