Se è vero che a padre Marko Rupnik, per due volte negli ultimi tre anni, è bastato dichiararsi pentito di fronte ai suoi superiori per evitare guai seri, e che diverse accuse contro di lui riguardano fatti risalenti ai primi anni Novanta, quante sono le donne vittime di questa sconcertante vicenda? Perché fino a oggi la Santa Sede non ha fatto trapelare nemmeno una sillaba? Sarebbe questa la trasparenza di cui abbiamo tanto sentito parlare durante il pontificato di papa Francesco?

Fino al 2 dicembre 2022, quando Left ha pubblicato il primo articolo dell’inchiesta sulle accuse di violenza psicologica e “sessuale” nei confronti di padre Marko Rupnik – accuse mosse da 9 suore appartenenti alla Comunità Loyola di Lubiana che anche per questo motivo è sotto commissariamento (secretato) dei gesuiti come rivelato dalla nostra inchiesta -, la Compagnia di Gesù (CdG) era probabilmente convinta di poter continuare a gestire senza particolari problemi lo scomodo caso del potente religioso, artista e teologo noto in tutto il mondo ecclesiastico e “vicino” a papa Francesco. Un caso – stando alle accuse che Left e altri media hanno ricostruito in questi giorni – di abusi psicologici e violenze sessuali su almeno 10 donne che andava avanti da quasi 30 anni. La relativa tranquillità dei gesuiti emerge da una nota interna che reca la data del 2 dicembre scorso (successiva al nostro articolo) nella quale il vertice della CdG afferma che non c’è (più) nessun reato dato che il crimine di cui Rupnik era accusato era caduto in prescrizione. 

La nota ad uso interno della CdG, redatta con l’obiettivo di dettare la linea da seguire in caso di sollecitazione dei media, diviene pubblica tre giorni dopo, il 5 dicembre, attraverso un articolo dell’agenzia religiosa Aciprensa. Interpellato dai giornalisti di Aciprensa, un gesuita afferma che «il Vicariato di Roma non è finora intervenuto perché le accuse contro Rupnik riguardano fatti accaduti solo in Slovenia». Il che è vero e falso allo stesso tempo. È vero che la vicenda risalente ai primi anni Novanta accadde fuori dall’Italia ma in questo modo si è lasciato intendere che nel nostro Paese Rupnik non fosse mai stato accusato di nulla, il che, come vedremo è falso. E i gesuiti, dal vertice in giù, ne erano a conoscenza. Il 5 dicembre accade anche un altro fatto significativo. Il blog Messa in latino rivela che a gennaio 2022 Rupnik aveva ricevuto una condanna per un reato particolarmente grave dal punto di vista canonico: “Assoluzione del complice in confessione”. Notizia di cui nel testo della CdG non c’era traccia. A chi non è dentro le cose di Chiesa questa formula –  “Assoluzione del complice in confessione”- probabilmente dice poco o nulla. Approfondendo si scopre che per i credenti e i religiosi invece è qualcosa che fa tremare le vene ai polsi. Già perché si tratta di un reato che comporta se accertato la scomunica latae sententiae del confessore. Detto in estrema sintesi, una scomunica automatica solo per aver commesso il fatto. E a quanto pare questo è ciò che sarebbe capitato a Rupnik circa un anno fa.

Ma cosa avrebbe combinato? Dopo aver avuto un rapporto sessuale con una donna l’avrebbe assolta dal “peccato”, in confessione. E dopo la condanna cosa è successo? Comminata in gran segreto dal tribunale del Dicastero della dottrina della fede, sempre in gran segreto questa scomunica sarebbe stata annullata. Da chi? E perché? Secondo Messa in latino a togliere la scomunica a Rupnik sarebbe stato papa Francesco in persona il 3 gennaio scorso dopo averlo convocato in udienza perché Rupnik si era pentito. Ma finora questa notizia non è stata confermata. Quella che è stata confermata è la notizia di una precedente scomunica risalente al 2019, anche questa in seguito “condonata” con pena “ridotta” a temporanee restrizioni per il religioso per limitare il suo “modo di fare”: niente confessione e nessun accompagnamento spirituale delle donne. Questa notizia è stata data dall’Associated press il 14 dicembre riportando le ammissioni del superiore generale dei gesuiti, il reverendo Sosa (nella foto insieme a papa Francesco mentre escono dalla chiesa del Gesù a Roma). «Il caso risale al 2015 – scrive AP – quando Rupnik era a Roma, e comprendeva anche un’accusa di falso misticismo che non è stata perseguita, secondo una persona a conoscenza del caso non autorizzata a parlarne. Rupnik ha subito ammesso il crimine legato alla confessione e si è formalmente pentito, e il Dicastero per la dottrina della fede ha immediatamente revocato la sua scomunica dalla Chiesa, ha detto Sosa in risposta a una domanda dell’AP». Un’ammissione che conferma – con dettagli determinanti rivelati da AP – quanto scritto da Left in questo articolo del 13 dicembre riportando la testimonianza di una donna che ha lavorato nel Centro Aletti a Roma, di cui il religioso gesuita era direttore

«Lo scorso anno mi sono manifestata ai gesuiti. Ho scritto una testimonianza di 10 pagine e l’ho mandata a Roma. Poi c’è stato un incontro su zoom durante il quale un gesuita mi disse di aver ricevuto qualche anno prima una testimonianza molto simile alla mia. Io non so chi è questa persona ma da quello che ho capito è italiana».
Dalla sua denuncia è stato avviato un procedimento? Cosa le ha risposto il gesuita?
«Mi è stato detto che la prima testimonianza ha dato il via a una visita canonica dentro il Centro Aletti. “Abbiamo fatto un po’ di pulizia e Rupnik è stato tolto dal posto di direttore”, sono state queste le sue parole». E poi? «Il mio interlocutore mi ha detto che avevano deciso di sottoporlo ad alcune misure per limitare il suo “modo di fare”: gli hanno tolto la confessione delle donne e l’accompagnamento spirituale delle donne». E qui un altro passaggio chiave e fin qui inedito del caso-Rupnik. «Quando mi sono manifestata ai gesuiti di Roma queste misure erano già in vigore e mi è stato suggerito di prendermi del tempo per pensare se denunciarlo anche io. «Per il momento, Rupnik ha già delle restrizioni temporanee. Quindi non c’è emergenza, ci rifletta su e quando scadranno le restrizioni attuali, ne parliamo di nuovo”». Non è chiaro quando queste misure temporanee contro Rupnik sarebbero scadute ma secondo i calcoli di chi scrive sono state comminate nel 2019. Cioè dopo la scomunica per la prima volta ammessa pubblicamente dal rev. Sosa…

La domanda a questo punto è: Se è vero che a padre Marko Rupnik, per almeno due volte, è bastato dichiararsi pentito di fronte ai suoi superiori per evitare guai seri, quante sono le donne vittime di questa sconcertante vicenda? Perché fino a oggi la Santa Sede non ha fatto trapelare nemmeno una sillaba? Sarebbe questa la trasparenza di cui abbiamo tanto sentito parlare durante il pontificato di papa Francesco?

Scrive Nicole Winfield su AP il 15 dicembre: «Mentre i gesuiti vietavano a Rupnik di ascoltare le donne in confessione e di fare esercizi spirituali, le restrizioni al suo ministero non gli impedivano di celebrare la messa o predicare in pubblico (o su youtube, ndr). Inoltre Rupnik ha continuato a scrivere libri di teologia e a realizzare in tutto il mondo i mosaici religiosi senza che il pubblico, le donne consacrate della sua comunità o persino i suoi stessi confratelli gesuiti conoscessero la verità». E ancora. «Le rivelazioni secondo cui il Vaticano ha lasciato due volte fuori dai guai un famoso religioso per aver abusato della sua autorità su donne adulte ha messo in luce due principali debolezze nelle politiche sugli abusi della Santa Sede: la cattiva condotta sessuale e spirituale contro le donne adulte è raramente, se non mai, punita, e la segretezza regna ancora sovrana, soprattutto quando sono coinvolti sacerdoti potenti».

Pensando anche alle violenze denunciate dalle suore della Comunità Loyola, risalenti a quasi 30 anni fa, prese in considerazione dal Vaticano e dalla CdG solo nel 2020 e rispedite alle mittenti con il “bollino” della prescrizione, come non essere d’accordo con quanto ha scritto su AP la giornalista Nicole Winfield?

Tutte le puntate dell’inchiesta di Spotlight Italia – Il database di Left

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Scrivevo già per Avvenimenti ma sono diventato giornalista nel momento in cui è nato Left e da allora non l'ho mai mollato. Ho avuto anche la fortuna di pubblicare articoli e inchieste su altri periodici tra cui "MicroMega", "Critica liberale", "Sette", il settimanale uruguaiano "Brecha" e "Latinoamerica", la rivista di Gianni Minà. Nel web sono stato condirettore di Cronache Laiche e firmo un blog su MicroMega. Ad oggi ho pubblicato tre libri con L'Asino d'oro edizioni: Chiesa e pedofilia. Non lasciate che i pargoli vadano a loro (2010), Chiesa e pedofilia, il caso italiano (2014) e Figli rubati. L'Italia, la Chiesa e i desaparecidos (2015); e uno con Chiarelettere, insieme a Emanuela Provera: Giustizia divina (2018).