I cittadini romani dal 2015 chiedono che la Regione Lazio trovi i soldi per far ripartire l'ospedale Forlanini ricevendo sempre risposte negative. Ora che si fa avanti il Vaticano per trasferirvi l'ospedale pediatrico extraterritoriale ed esentasse pare che i soldi siano stati trovati. E chi paga?

Negli anni venti del secolo scorso, a Roma, iniziò la costruzione di un ospedale monumentale, il Forlanini, che avrebbe dovuto curare tubercolosi e malattie polmonari. 

Il Forlanini era una struttura enorme, fu ultimato nel 1934 e aveva una estensione di 280.000 metri quadrati.

Senza ombra di dubbio era il più grande ospedale al mondo, un’opera pubblica straordinaria, destinata a curare in via esclusiva le malattie polmonari, ma che comprendeva una farmacia, 14 padiglioni, un teatro e un museo di anatomia.

Il Forlanini registrava, tra le altre cose, anche il primato di un reparto di eccellenza guidato dal prof. Massimo Martelli. E volendo dare un parametro numerico ad una eccezionale capacità medica, si può ricordare che solamente nel 2010, a fronte dei 1500 interventi complessivi al torace in tutte le strutture ospedaliere nella città di Roma, Martelli ne aveva effettuati 840. 

È sempre stato un ospedale di gran pregio fino a quando su questa struttura è calata la scure selvaggia delle decisioni della Regione Lazio e del suo commissario alla Sanità Nicola Zingaretti, il quale nel 2015 ne ha decretato l’immotivata e ingiustificata chiusura.

Occorre precisare che prima di Zingaretti fu il Presidente Piero Marrazzo, nel 2006, a prendere la decisione di chiudere entro il 2010 sia il Forlanini che il San Giacomo, preventivando quindi quattro anni per le fasi della dismissione.

Il San Giacomo fu chiuso da Marrazzo, definitivamente, nel 2008 in un corto circuito di illogicità cieca. Basti dire che pochi mesi prima della chiusura erano stati spesi circa 4 milioni per ristrutturare un reparto e per acquistare macchinari ultramoderni.

Dopo Marrazzo, dal 2010 al 2013, la presidenza della Regione fu ricoperta da Renata Polverini, segretaria generale dell’Ugl, la quale a luglio 2010 nominò proprio Martelli quale Commissario straordinario per il Forlanini.

Martelli in poco tempo predispose un progetto di ristrutturazione che aveva un quid particolare, perché era stato concepito da chi conosceva quella struttura anche dal punto di vista delle potenzialità cliniche e amministrative, e aveva una visione concreta della sua riqualificazione. Questi erano i punti salienti del piano di Martelli: Realizzazione di 320 posti di RSA nei padiglioni H ed I (nella Regione Lazio ne mancavano migliaia); Trasferimento di 6 poliambulatori della Asl RM D nei padiglioni O e P con un risparmio di 3 milioni di euro di affitto; Creazione della Stazione di Monteverde dei Carabinieri (realizzata dalla Regione in 12 anni…)

A dicembre dello stesso anno Martelli si dimise dall’incarico di Commissario, sia per aver scoperto (e denunciato) alcune presunte attività illecite, sia perché Polverini aveva tradito la parola data, ovvero che mai avrebbe chiuso il Forlanini.

Dopo le sue dimissioni il nuovo Commissario cominciò a trasferire i reparti del Forlanini presso l’Ospedale San Camillo, tranne quello di Martelli che non venne trasferito. Avevano timore che una sua reazione avrebbe potuto creare clamore, per cui conveniva aspettare il suo pensionamento?

Dopo Polverini alla presidenza della Regione Lazio arrivò Zingaretti. E fu lui a decretare la chiusura del Forlanini nel 2015. Da allora la struttura ha iniziato a versare in stato di abbandono.

In questi casi dopo un po’ di tempo la privatizzazione diventa la cura auspicata da tutti.

Pur di non far “morire” una struttura pubblica, si accetta di metterla nelle mani dei privati i quali non solo acquistano a buon mercato ma passano addirittura per benefattori, come coloro che salvano il pubblico dal disastro determinato dalla “incapacità” degli amministratori pubblici di gestire qualsiasi cosa.

Questo schema si ripete ovunque, sempre con lo stesso canovaccio e il Forlanini non è sfuggito alla regola. A pensar male si potrebbe dire che certe cose siano pianificate, ma non lo faremo.

Fatto sta che nel 2014 venne acquisita una valutazione catastale dell’intero complesso che fu stimato in 278 milioni di euro; un anno dopo la dismissione il valore dell’intero complesso era sceso a 70 milioni di euro. 

Comprare a 278 milioni nel 2014 non sarebbe stato possibile, ma nel 2016 a 70 milioni diventava appetibile. E in quello stesso anno con la delibera n.766 del 2016 Zingaretti, mentre dichiarava di voler valorizzare il Forlanini, nello stesso tempo ne decretava il passaggio al patrimonio disponibile della Regione autorizzandone di fatto la vendita.

La delibera fu impugnata dal Comitato Beni Comuni davanti al Tar Lazio che il 18 aprile 2023, nel silenzio dei media, ha accolto il ricorso contro la decisione con cui la Regione Lazio prevedeva la vendita dell’ospedale Forlanini. In buona sostanza è passato il principio in base al quale essendo il Forlanini un bene della Regione Lazio è al contempo indisponibile alla vendita e alla rendita. Già il 31 marzo 2017 il Tar Lazio si era espresso mettendo un argine alle intenzioni della Giunta, confermando con la prima ordinanza interlocutoria che andava salvaguardata e mantenuta la vocazione pubblica e sociosanitaria del complesso.

Il TAR in quella occasione non concesse alle associazioni di cittadini ricorrenti la sospensiva per l’annullamento della delibera 766/16, ma si concentrò sulla finalità asseritamente dichiarata da Zingaretti che ebbe l’effetto di neutralizzare la volontà di vendere, consentendo al Tar di far leva sulla dichiarata volontà di valorizzare.

I Giudici amministrativi sostennero che se avessero concesso la sospensiva, avrebbero determinato una “situazione di stallo e l’inaccettabile protrarsi dello stato di abbandono e inutilizzabilità assoluta del compendio”, ma ciò che sconvolse i piani regionali, fu un inciso della ordinanza: “fermo il vincolo di destinazione pubblicistico del complesso immobiliare”, coerente con la normativa di valorizzazione dei beni immobili pubblici.

In piena pandemia da covid 19, da più parti si è poi chiesto alla Regione Lazio di riattivare il Forlanini, e una petizione sulla riattivazione della struttura ospedaliera ha raccolto in pochissimo tempo oltre 120mila firme; chi conosceva le potenzialità di quella struttura, senza tema di smentita, ha sostenuto con cognizione di causa che sarebbe stato possibile, con una spesa limitata, riattivando solamente pochi padiglioni in via d’urgenza, garantire almeno 50 posti di terapia intensiva.

Zingaretti invece ha preferito non riattivare il Forlanini che, se ristrutturato, sarebbe comunque rimasto nel patrimonio della Regione, e peraltro avrebbe ottemperato alle indicazioni di valorizzazione ricevute dai Giudici amministrativi.

Alle sollecitazioni per la riapertura del Forlanini, la Regione Lazio rispose con una nota del 16 marzo 2020 negando che il Forlanini potesse essere riattivato perché – si legge nel comunicato – l’ospedale «era deserto già negli anni ’90 e da allora è senza alcuna forma di manutenzione». In realtà, come detto, il Forlanini era stato chiuso proprio da Zingaretti nel 2015 e fino a quella data i reparti erano attivi.

Addirittura alcuni padiglioni del Forlanini erano rimasti attivi anche dopo il 2015 e lo sono ancora oggi (la Farmacia, il Museo anatomico, il Parco con le essenze rare, il Teatro), cui si aggiungono la Caserma dei Carabinieri, e di recente anche la nuova sede della Dia.

Come se tutto questo non bastasse si sta ora avvinghiando sul complesso ospedaliero un tentacolo della piovra vaticana.

La dirigenza del Bambino Gesù, un ospedale con extraterritorialità della Santa sede che pertanto elude la tassazione italiana pur essendo finanziato con soldi pubblici italiani, ha dichiarato di volersi trasferire presso il Forlanini perché ha bisogno di spazi più ampi.

Su Left ci siamo già occupati delle contraddizioni che al Bambino Gesù sono la normalità. Pur non facendo parte dei trenta Enti centrali dello Stato del Vaticano che possono ritenersi esentati dalle tasse nei confronti dello Stato italiano, questo ospedale dal 1973 si è autoproclamato in extraterritorialità e in base agli articoli 16 e 17 dei Patti Lateranensi tutte le attività che si svolgono all’interno della struttura sanitaria, comprese le attività lavorative, non scontano nessuna tassazione.

Il Bambino Gesù non paga l’Iva sulle merci acquistate, non paga Imu sull’immobile, il personale medico e paramedico non è soggetto Irpef. In compenso il Bambino Gesù riceve dallo Stato italiano una montagna di finanziamenti, superiore a quelli degli altri ospedali laziali, e riceve anche finanziamenti diretti dall’Erario statale.

Il Bambino Gesù ha avuto la direzione di Mariella Enoc dal 2015 e l’incarico era stato riconfermato fino al gennaio 2024.

Improvvisamente il 4 febbraio 2023 Enoc ha presentato le dimissioni ed è stata sostituita, con una nomina lampo, da Tiziano Onesti il quale ha già dichiarato che il suo compito sarà quello di trasferire l’ospedale pediatrico Bambino Gesù presso il Forlanini perché “loro” hanno bisogno di spazio e la struttura del Gianicolo è diventata insufficiente.

Quando in un’intervista al Corriere dell’8 aprile scorso gli è stato chiesto se avessero già un contratto che gli consentiva di affermare con tanta sicumera la “conquista” del Forlanini, Onesti ha dato per certo lo spostamento perché “sono tutti d’accordo che sia questa la sede” poiché c’è già stata “una interlocuzione importante”.

Dunque in questa ottica si può ipotizzare che le elezioni di febbraio per la presidenza della Regione Lazio non abbiano “solo” premiato il candidato Francesco Rocca ma anche punito il candidato D’Amato? I risultati elettorali possono anche dare una chiave di lettura sulle improvvise dimissioni di Enoc che con D’Amato aveva mantenuto una interlocuzione preferenziale.

Se il ragionamento è corretto, di fronte al cambio di assessore alla sanità il Vaticano doveva assicurarsi “interlocuzioni importanti” con i nuovi inquilini e ha “dimissionato” Enoc.

Dando un’occhiata al tempismo dell’intervista rilasciata da Onesti al Corriere si può notare che le sue dichiarazioni sulle intenzioni di accaparrarsi il Forlanini siano giunte alla vigilia del pronunciamento del Tar Lazio sul ricorso promosso dal Comitato Beni Comuni per restituire il Forlanini al servizio pubblico, dopo il tentativo di metterlo in vendita da parte di Zingaretti.

Se c’è stato un tentativo di “interferire” e fare pressione mediatica sui giudici, questo al momento non è andato a buon fine. Secondo il Tar, come detto, il Forlanini deve rimanere nel patrimonio indisponibile della Regione e dunque non può essere adibito né alla vendita ma nemmeno alla rendita.

La capacità predatoria del Vaticano non conosce limiti ma questa sentenza crea un intralcio che potrebbe far slittare il tutto per un tempo indeterminato.

Tiziano Onesti nel corso della sua “interlocuzione importante” ha anche quantificato in 450 milioni di euro il finanziamento che occorre per ristrutturare il Forlanini in favore del Bambino Gesù. Chi pagherà?

I cittadini romani dal 2015 chiedono che la Regione trovi i soldi per far ripartire il Forlanini per restituirlo alla città e le risposte sono sempre state negative. Ora invece par di capire che di fronte a una richiesta arrivata dalle stanze vaticane i 450 milioni necessari alla riattivazione del nosocomio siano diventati certezza. 

Resta il dubbio su cosa “inventeranno” in Vaticano e in Regione per conciliare l’autoproclamata extraterritorialità del Bambino Gesù con la sentenza del Tar Lazio.

La sanità laziale, e non solo, paga un altissimo prezzo della privatizzazione selvaggia, e la sanità pubblica, universale e gratuita ha ceduto alla sanità privata, che non è per tutti ed è a pagamento.

Alla pubblica e alla privata si aggiunge una terza categoria ibrida, quella che mantiene la qualifica di privata, che entra in convenzione pubblica, che è garantita dalla extraterritorialità nella quale i flussi di denaro sono a direzione unica, in sola entrata, in esenzione fiscale e nella impossibilità che possano rispondere alla Corte dei Conti. (Per farsi un’idea di quanto incassa il Bambino Gesù grazie alla convenzione pubblica, ecco cosa ha detto Onesti al Corriere: “Il finanziamento viene soprattutto dallo Stato attraverso il riconoscimento delle prestazioni erogate, per circa 300 milioni all’anno..”).

Come potranno estendere tutto questo abominio anche al Forlanini è ancora da vedere, ma non ci coglieranno di sorpresa, vigileremo e sapremo contestare.

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*L’autrice: L’avvocata Carla Corsetti è segretaria nazionale di Democrazia Atea