«La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale che prescinde dalla semplice assenza di una determinata malattia», secondo la definizione dell’Oms. Per raggiungere questo obiettivo che riguarda l’essere umano nel suo complesso, psichico e fisico, occorre una profonda riforma dello Stato sociale che rimetta al centro la persona, come recita l’articolo 32 della Costituzione italiana: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti». Un diritto fondamentale che oggi rischia più che mai di essere disatteso e negato, fra privatizzazione crescente della Sanità e servizi diseguali fra Nord e Sud del Paese, una disparità che diventerebbe devastante se dovesse passare il progetto di autonomia differenziata promosso dal ministro Calderoli. Anche per questo la mobilitazione lanciata per il 24 giugno dalla FpCgil sulla salute assume un valore sociale importante. Per approfondire i temi della piattaforma abbiamo rivolto alcune domande alla segretaria generale Fp Cgil Serena Sorrentino.
Oggi più che mai è necessario contrastare o superare la cultura individualista di questi ultimi 30 anni. Serena Sorrentino cosa può fare oggi il sindacato per sensibilizzare le persone?
Fortunatamente la mobilitazione è più ampia, vede associazioni, movimenti, sindacati e soprattutto la Cgil con tutte le sue categorie. È un fatto politico positivo, la difesa del diritto alla salute non è più questione delle lavoratrici e dei lavoratori della sanità ma è questione generale che riguarda uno tra i più importanti diritti fondamentali della persona. Il punto è proprio questo: far prendere consapevolezza ai cittadini che non devono rassegnarsi alla privatizzazione della cura, ad una salute per censo, a servizi che mettono le persone “in attese” spesso troppo lunghe, ad una sanità già differenziata su base regionale ancor prima dell’autonomia differenziata.
Si può invertire questa tendenza?
Sì, dobbiamo impegnarci per invertire questa tendenza. Se abbiamo la legge 833/78 è perché lavoratori e cittadini rivendicarono a gran voce un Servizio sanitario nazionale che superasse le vecchie mutue. Ora possiamo correggere due errori: la differenziazione dei diritti su base regionale e l’aziendalizzazione che è stata il viatico della logica di mercato applicata alla salute che in quanto bene comune non dovrebbe essere mercificata. Le assemblee nei luoghi di lavoro e nei territori che stiamo facendo servono a questo: presentare l’idea di riforma e le proposte sulla sostenibilità per rendere il diritto alla salute adeguato ed esigibile.
Tanti anni di tagli alla sanità hanno generato pessime condizioni di lavoro. In più l’aver dovuto affrontare l’emergenza covid. Tutto ciò ha stremato e demotivato il personale. Quali gli interventi mettere in campo da subito?
Risposta semplice: rinnovare i contratti recuperando l’inflazione a due cifre, assumere personale, superare il numero chiuso alle facoltà che formano i professionisti sanitari abbattendo anche le tasse universitarie, migliore l’organizzazione del lavoro che ridia una qualità di vita dignitosa anche a chi eroga servizi essenziali.
Dopo la dura esperienza della pandemia è diventata evidente a tutti l’importanza della medicina territoriale. L’idea è stata anche quella di implementare le case della salute e gli ospedali di comunità. Ma il governo Meloni sta facendo marcia indietro. Con quali rischi?
Il governo Meloni parla agli interessi dei privati e di alcune corporazioni a cui offre il mercato dei servizi sociosanitari. Dal Pnrr che darà molte risorse ai privati e poche risposte ai cittadini alle corporazioni fuori e dentro l’ambito sanitario che hanno molto più peso nelle scelte del governo dei bisogni dei cittadini e nella valutazione degli esiti di salute. Se si riprogramma il Pnrr dismettendo l’opzione “salute di comunità’” sostituendola con un sistema che è modulato come “prestazionificio” cambia il paradigma: dal benessere della comunità al business pubblico-privato sul bisogno di salute, non a caso parliamo di diritto e non di bisogno, abbiamo attenzione al benessere non solo alla cura della malattia.
Il fenomeno delle aggressioni al personale incide negativamente sulla relazione di cura, i cittadini sono insoddisfatti e gli operatori sono spaventati. Come ricostruire il rapporto di fiducia necessario all’alleanza terapeutica?
Con personale dedicato all’accoglienza che possa essere realmente quell’anello che accompagna paziente e familiari nell’accesso alla cura, con un investimento importante nelle cure di prossimità, nella medicina di iniziativa, nella gestione della emergenza urgenza adeguata che prenda in carico l’evento acuto prima dell’arrivo in pronto soccorso. Bisogna rimettere al centro la persona, solo così il paziente sarà consapevole dei diritti di chi lavora nella sanità perché sa ed è consapevole che la qualità della cura dipende dalla qualità del lavoro. Un professionista ben retribuito, che svolge un giusto orario, in un’organizzazione integrata territorio-ospedale e socio-sanitaria ha come unico obiettivo di prendersi cura e di curare i propri pazienti.
Il ministro Schillaci continua a fare annunci di rifinanziamento del Ssn di cui però non si vede traccia nelle politiche del governo, ma i problemi del Ssn sono solo di finanziamento o è necessaria una riforma dei servizi?
Entrambi. Un sistema complesso per essere riformato ha bisogno di risorse. Il governo ha programmato nel Def la spesa più bassa nella storia del finanziamento del Fondo sanitario nazionale se guardiamo alla percentuale di spesa in base al Pil e per il 2024 anche se guardiamo alla variazione in valore assoluto (23/24: -4 mld) nel momento in cui bisogna affrontare l’epocale riforma dell’integrazione sociosanitaria nel territorio, prevista dal piano Pnrr cioè il Dm 77 nonostante limiti e correzioni possibili proprio sul fronte del personale. Questa scelta mette in luce la volontà di cambiare profondamente un modello di salute di comunità e contemporaneamente di disinvestire sul sistema pubblico incrementando il mercato dei servizi privati che già oggi pesa per oltre 41 miliardi sulle tasche dei cittadini italiani. L’ipotesi che il ministro Schillaci ha avanzato al tavolo dello scorso 20 giugno è quella di risolvere il problema della carenza di personale e delle liste d’attesa aumentando l’extra orario volontario dei lavoratori della sanità. Il tema che pone la Cgil è quello invece di retribuire correttamente e in maniera adeguata e proporzionata il lavoro dei tanti professionisti e delle tante competenze che lavorano nel sistema socio sanitario. La risposta non può essere: se vuoi guadagnare di più la soluzione è l’aumento dell’orario di lavoro ma occorre investire su assunzioni (qui la proposta della Fp Cgil per un Piano straordinario per l’occupazione: Piano Straordinario per l’Occupazione ndr) contrastando il dumping contrattuale che vede differenze di retribuzioni di Oss, infermieri, medici, tecnici, educatori, psicologi, assistenti sociali e di tutte le altre figure che compongono il complesso articolato sistema sociosanitario, anche del 30%. La verità è che la sanità è una grande business per gli interessi che tutela il governo e una grande fonte di disuguaglianza sociale per i cittadini. Per questo il 24 giugno siamo in piazza: è in gioco il modello sociale che vogliamo nel nostro Paese, fondato sulla disuguaglianza e sul censo come vuole il Governo, o sulla Costituzione come chiederemo in tanti in piazza del Popolo a Roma.