La sera di martedì 27 giugno (due giorni dopo il tentato putsch del gruppo Wagner) a Kramatorsk, una località dell’Ucraina orientale a circa 25 chilometri dal fronte, il caffè Ria era frequentato, come tutte le sere, da volontari, paramedici e da quei ragazzi che avevano scelto di rimanere in città. Alle 19,35, quando venne colpito da un missile balistico Iskander, gli avventori erano numerosi; tra loro c’era la scrittrice, volontaria e attivista civile Viktoria Amelina insieme a un suo amico, il noto scrittore colombiano Héctor Abad Faciolince (più volte intervistato da Left, traduttore di Calvino e di molti altri autori italiani ndr), che aveva deciso di andare in Ucraina per promuovere sue traduzioni e documentare i crimini di guerra dell’esercito invasore; suo padre, Héctor Abad Gomez, medico, professore dell’università di Medellin, presidente del comitato per i diritti umani, fu ammazzato il 25 agosto 1987 a due passi da casa. Héctor junior però è molto più fortunato del padre: una scheggia ferisce Viktoria, che perde quasi subito conoscenza (morirà tre giorni dopo in ospedale), seduta proprio di fronte a lui, che invece rimane illeso. Insieme alla scrittrice, tra le vittime ci sono 7 dipendenti della pizzeria (tra cui due minorenni) e altri 5 avventori (tra cui due gemelle di 14 anni). Oltre alle 13 vittime dell’attacco, rivendicato subito con orgoglio dai media russi, bisogna aggiungere 61 feriti, 18 edifici e 65 case private distrutte.
Viktoria aveva 37 anni. Era nata a Leopoli nel 1986 in una famiglia russofona (all’anagrafe il suo cognome è Šalamaj) e a quattordici anni era emigrata in Canada; qualche anno dopo era tornata nella sua città natale per laurearsi in informatica presso la locale università. Cominciò così a lavorare come programmatrice, quando nel 2014 alcune sue poesie le valsero il premio “Koronacija slova”, così l’anno dopo decise di lasciare il lavoro per dedicarsi interamente alla scrittura. Ha pubblicato esclusivamente in ucraino, anche se alcune sue opere sono state tradotte anche in russo. Nel 2014 uscì il suo primo romanzo La sindrome di novembre ovvero l’Homo Compatiens (con l’introduzione dello scrittore Jurij Izdryk), finalista al premio Valerij Ševčuk. Nel 2016 pubblicò il libro per bambini Qualcuno o un cuore d’acqua e nel 2017 il romanzo Una casa per Dom (che nel 2021 si aggiudicò il premio Joseph Konrad Korzeniowski), nel quale narra la vita della famiglia dell’aviatore che si era stabilita nella casa di Leopoli dove aveva trascorso la sua infanzia lo scrittore polacco Stanisław Lem, al centro del suo libro di memorie Il castello alto da cui la scrittrice ucraina riprende alcuni spunti sviluppandoli in modo originale.
Il 24 febbraio del 2022 quando la scrittrice si trovava in Egitto e stava per prendere un aereo per tornare a Leopoli come tutti venne a sapere dell’inizio dell’invasione. Il volo era stato cancellato, ma riuscì a raggiungere a Cracovia, dove lasciò il figlio di dieci anni, per tornare finalmente nella sua città natale. Da quel momento Viktoria ha lavorato per l’organizzazione Truth Hounds, che documenta i crimini di guerra dell’esercito invasore. A lei si deve la scoperta del diario, seppellito nel cortile di casa sua, di Volodymyr Vakulenko, il poeta ucraino sequestrato il 23 marzo del 2022 dai militari russi nei pressi di Izjum (regione di Kharkiv, allora sotto l’occupazione russa) e successivamente trucidato; il suo corpo è stato riesumato e identificato solo dopo la liberazione della regione e si è potuto così acclarare che era stato ucciso con due pallottole sparate in testa.
La sua ultima creazione letteraria è legata all’esperienza di volontaria nelle retrovie e nelle città colpite dai bombardamenti e può essere considerato una sorta di “diario lirico” dei fatti di cui è stata testimone a Leopoli, Kyjiv, Hostomel, Buča e Irpin (“non scrivo poesia / Scrivo prosa / Ma la realtà della guerra / si mangia la punteggiatura” scrive a proposito Amelina in Non poesia). Eccone un esempio tratto da Poeti d’Ucraina (a cura di Yaryna Grusha e Alessandro Achilli, Mondadori, 2022):
UNA STORIA PER IL RITORNO
Mira esce di casa e prende dalla scatola una perla
Tim esce dal borgo e raccoglie un sasso per strada
Jarka esce dal giardino e prende un nocciolo d’albicocca
Vira esce di casa e non prende niente
tanto torno presto, dice
e non prende niente
Mira dalla perla ha coltivato una scatola
e ci fa crescer dentro una nuova casa
Tim da quel sasso ha fondato una città
Una città quasi sua
ma non si vede il mare
Jarka ha piantato il nocciolo dell’albicocca
il nuovo giardino è il suo giardino ormai
E Vira,
lei che non ha preso niente,
racconta questa storia
Quando lasci la casa,
dice,
La casa si fa più piccola
per conservarsi
La casa diventa
un sasso grigio
una perla
un nocciolo dell’albicocca dell’anno scorso
un vetro che ti taglia la mano per strada
un pezzo di Lego
una conchiglia della Crimea
un seme di girasole
un bottone della divisa di tuo padre
Così la casa ci sta in una tasca
e dorme
Tirala fuori
in un posto sicuro
Quando sei pronto
La casa crescerà piano piano
E tu mai,
ricordatelo, mai
sarai senza la tua casa
E tu cosa hai preso?
Solo questa storia
sul ritornare
Eccola che vede la luce del sole
E cresce
8 maggio 2022
il primo luglio l’ospedale di Dniprò ha dato la notizia della sua scomparsa. Pochi mesi prima aveva scritto: «C’è il rischio concreto che i russi riescano ad annientare un’altra generazione di cultura ucraina, questa volta con missili e bombe» (con riferimento alla generazione degli intellettuali ucraini fucilati nel 1933 nel corso delle purghe staliniane) – una frase che suona tristemente profetica. Negli ultimi mesi stava lavorando al saggio che uscirà presto in inglese War and Justice Diary: Looking at Women Looking at War dedicato alle donne che documentano i crimini di guerra e che pensava di terminare di scrivere a Parigi, dove aveva ottenuto una borsa di studio della Columbia University. Il 4 luglio, in occasione del suo funerale a Kyjiv, tutta l’intellighenzia ucraina si è radunata per tributarle un ultimo saluto. Oltre a una giovane e talentuosa scrittrice, già tradotta in molte lingue, l’Ucraina perde una instancabile attivista (prima dell’invasione era riuscita a organizzare un bizzarro festival letterario in una cittadina del Donbas chiamata Niu Iork, oggi a ridosso del fronte, proprio per via della curiosa e ironica assonanza). Non possiamo dimenticare le sue parole, tanto più significative oggi: «Uno scrittore è vivo fino a quando viene ancora letto».
In un tweet qualche settimana prima della sua scomparsa aveva scritto: «La guerra è quando non puoi più seguire tutte le notizie e piangere tutti i vicini che sono morti al posto tuo a un paio di chilometri da te. Non smetterò di tenere a mente i loro nomi». Anche per questo è necessario ricordare il suo nome, uno tra le 9000 vittime civili ucraine (stima dell’Alto Commissariato Onu per i diritti umani) nei primi 500 giorni di guerra. Ricordando Viktoria Amelina, una donna coraggiosa e intelligente, una scrittrice di talento destinata a diventare forse un’icona grazie anche al suo bel viso di porcellana e i suo tratti gentili ed eleganti non dobbiamo dimenticare le altre ottomilanovecentonovantanove vittime civili ucraine (tra cui cinquecento bambini), che per noi rappresentano forse solo una singola unità, un singolo pixel che, insieme agli altri, restituiscono l’immagine di una folle barbarie della quale non si vede ancora la fine, vittime di una strategia politica e militare che ricorre in modo deliberato all’annientamento fisico della popolazione di un intero Paese come parte di un piano finalizzato alla sua annessione.
La foto di Viktoria Amelina, tratta da Wikipedia è di Osabadash CC BY-SA 4.0,