Il governo impone più Cpr e più mesi di detenzione. Ma i Cpr esistono ormai da 25 anni, e si sa che le persone o vengono riconosciute o rimpatriate nelle prime settimane, oppure non si riuscirà più a farlo

Tra le soluzioni che non risolveranno nulla da oggi potete aggiungere l’aumento a 18 mesi dei tempi di detenzione nei Centri permanenza per il rimpatrio (Cpr) che il governo ha pensato per “intimidire” i disperati che partono e convincerli a non partire più.

Al di là dell’infantile credenza che qualcuno che scappa dalla fame e dal piombo possa essere minimamente scoraggiato dall’indurirsi delle nostre regole ci sarebbe da studiare con attenzione che fine abbiano fatto negli ultimi due anni i 50 milioni di appalti per la gestione che hanno foraggiato multinazionali e cooperative a discapito di qualsiasi diritto umano che dovrebbe essere garantito.

Si potrebbe rileggere l’ultimo rapporto per il Garante dei diritti che racconta come nel 2022 sia stato effettivamente rimpatriato in media il 49,4% delle persone trattenute (dal Cpr di Macomer, ad esempio, solo il 23%) in media con gli ultimi 25 anni. Si potrebbe rileggere anche il Garante quando scrive che quel tipo di detenzione è a tutti gli effetti illegittima: “tale privazione sia giustificata da una percorribile ipotesi di rimpatrio: ciò rende illegittima la restrizione della libertà quando non ci siano accordi con il Paese di destinazione che rendano questa ipotesi concretamente realizzabile”.

Come ricorda Cild (coalizione italiana per i diritti civili) «i Cpr esistono ormai da 25 anni, un periodo di tempo sufficiente per sapere che le persone o vengono riconosciute o rimpatriate nelle prime settimane, oppure non si riuscirà più a farlo. Già in passato i tempi di permanenza erano di 18 mesi e i rimpatri erano percentualmente come negli anni successivi in cui i tempi erano stati ridotti drasticamente».

Siamo pronti, quindi, all’ennesimo fallimento sulla pelle dei disperati.

Bravi.
Buon martedì.