Ad oggi, uno scatto della sinistra, potrebbe essere quello di trovare il coraggio di contrastare attivamente tutta la politica pro-life. E pretendere che lo Stato si interessi alle vite esistenti, investendo sulla prevenzione della malattia e promozione della salute mentale, fin dai primi momenti

I quotidiani e diversi programmi televisivi hanno parlato di una terribile storia, resa nota proprio poche settimane dopo la proposta del governo Meloni, di istituire “l’assistente materna” per la prevenzione della Sindrome depressiva post partum.
Il caso è quello di una donna di 27 anni, che ha trascorso il suo primo anno di vita nell’orfanotrofio di Maria Teresa di Calcutta, in India. È stata “l’ultima orfana” dell’Istituto, ad essere adottata e portata in Italia da una famiglia bergamasca. La giovane madre, per le ricostruzioni della Procura, è accusata di duplice infanticidio, potrebbe aver soffocato i suoi due neonati, a distanza di un anno l’una dall’altro. È necessario, comprendere cosa si cela dietro questi eventi drammatici e non sporadici. Soprattutto, è opportuno indagare le cause mediche, socioculturali e politiche, che possono generare tali fenomeni.

Parte del mondo medico, la cultura e la politica in generale, sono portatori di un vecchio pensiero, che ancora non riconosce che l’esordio, e lo sviluppo della malattia mentale, avvengono all’interno di rapporti interumani patologici. Facciamo cenno a questo drammatico evento ricollegandoci alla proposta dell’assistente materna, per riflettere sull’importanza della formazione degli operatori che ruotano introno a una coppia che ha, o sta per avere un figlio. È fondamentale che queste figure siano competenti e preparate, per lavorare con situazioni fortemente a rischio. A questo proposito, la cronaca, una volta di più, ci mette davanti quanto sia importante la prevenzione anche da altri punti di vista, citando ad esempio quei casi in cui per la salvaguardia e la tutela dei bambini, il Tribunale per i minorenni predispone la decadenza della responsabilità genitoriale, decretando l’adozione. Tutti gli operatori che s’interessano d’infanzia e di genitorialità – ginecologici, ostetriche, pediatri, pedagogisti, familiari, terapisti della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva, logopedisti, educatori dei nidi e non solo gli psicologi – devono essere formati ad una nuova immagine di bambino e di relazione con l’adulto, basata su dinamiche legate alla realtà mentale non cosciente di entrambi. Come pedagogiste familiari, spesso ci troviamo ad affrontare con i genitori il tema del pianto del neonato. La stanchezza, l’impegno fisico e mentale che richiede la nascita e la cura di un figlio, possono portare a momenti di sconforto e fatica, e può accadere che anche una mamma o un papà con un sano equilibrio psichico, possano entrare in crisi di fronte a questo tipo di linguaggio, soprattutto quando non riescono ad interpretarlo. Allora, va raccontato ai genitori, come nasce e si sviluppa il pensiero del neonato. Questa specifica conoscenza, aumenterà le competenze genitoriali, potenziando la fiducia nelle proprie risorse.

Va detto, che la mente del bambino nel primo anno di vita, è realtà non cosciente, con cui l’adulto si relaziona costantemente. Ad ogni carezza e suono che percepisce e sente con il corpo sensibile, il neonato fa un’immagine che è legata all’affetto di chi lo circonda. Il pianto è il linguaggio non verbale, con cui il neonato si esprime. In questo modo, facciamo prevenzione primaria e accompagniamo i genitori in questo complesso percorso di vita.
Quando poi si evidenziano delle “difficoltà”, è importante che i genitori possano dare un nome ai loro stessi vissuti, e alle conseguenti reazioni del neonato, che si basano su dinamiche di rapporto non coscienti.

L’accompagnamento alla nascita è utile anche per evidenziare false credenze, di cui si fa portavoce una parte della politica, che da tempo è concentrata nelle battaglie pro-life, negando le evidenze scientifiche che distinguono il feto dal neonato. La vita di un essere umano, infatti, ha inizio alla nascita, prima di questo momento c’è solo lo sviluppo di una realtà biologica. Lo Stato, la cultura cattolica e tutta la filiera della psichiatria organicista, insistono con l’invenzione della vita fin dal momento del concepimento, rischiando di ledere lo stato mentale della donna che, per decisione personale, intenda eseguire una interruzione di gravidanza. Un Municipio romano ha appoggiato l’idea di far ascoltare il battito cardiaco fetale alle donne che intendono abortire, insinuando ancora una volta la colpa della donna assassina.

Ad oggi, uno scatto della sinistra, potrebbe essere quello di trovare il coraggio di contrastare attivamente tutta la politica pro-life e pretendere che lo Stato si interessi alle vite esistenti, investendo sulla prevenzione della malattia e promozione della salute mentale, fin dai primi momenti in cui una coppia si trova a vivere una gravidanza.
I pochi consultori familiari esistenti sul territorio e sempre più in via di smantellamento, quando si avvalgono del lavoro di equipe, ginecologici, assistenti sociali, psicologi, s’impegnano in un lavoro di prevenzione su famiglie a rischio, per evitare gravidanze in coppie o donne, non sufficientemente adeguate alla crescita di un bambino (adulti con patologie psichiatriche, tossicodipendenti, minorenni a rischio, immigrate senza una rete di supporto, ma anche persone in difficoltà a sostenere una gravidanza non desiderata).
Questo lavoro andrebbe esteso non solo nei consultori ma anche negli studi pubblici e privati dei ginecologi e, qualora fossero famiglie conosciute per precedenti gravidanze, anche negli studi dei pediatri, in un’ottica di lavoro multidisciplinare e trasversale, in cui è possibile richiedere la collaborazione di altre figure competenti.
Si eviterebbe di affidare alle Case-famiglia (ex orfanatrofi), quella moltitudine di bambini che rischiano la propria sanità mentale, come possiamo ipotizzare sia successo nel caso del presunto infanticidio della giovane madre di Bergamo.

In casi estremi, può accadere, che il genitore perda completamente il rapporto con il proprio piccolo, arrivando a farlo sparire prima nella mente e poi anche materialmente, fino all’infanticidio. L’impegno della politica, dovrebbe rafforzare i servizi per la famiglia preposti a comprendere quei primi segnali di disagio che spesso sono già intuibili anche durante la gravidanza e che raccontano non di una crisi fisiologica, ma parlano di patologia. È necessario che la genitorialità venga supportata mettendo i genitori nella condizione di poter intraprendere percorsi di sostegno e cura personalizzati, e mirati alla guarigione. Auspichiamo che i servizi lavorino affinché si possa arrivare a programmare una gravidanza come realizzazione di un sano rapporto di coppia.

Un certo tipo di politica, si batte per la difesa aprioristica della famiglia naturale, e poi non investe a sostegno della genitorialità. Il benessere psico-fisico del bambino e il suo diritto a crescere in un ambiente affettivo e quindi sano, è il presupposto per un valido sviluppo. L’Italia, ricordiamo, è tra i Paesi che ha ratificato, nel 1991, la Convenzione sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, che dovrebbe essere una guida per tutte quelle Istituzioni che si occupano di queste fasce di età. Infatti, per quanto riguarda i bambini che vengono affidati ai Centri residenziali per minori, dobbiamo evidenziare che, per lo più, vanno incontro a difficili percorsi di crescita, nonostante il grande lavoro che fanno le diverse figure professionali che ruotano attorno alle strutture di accoglienza. Possono essere bambini molto piccoli, ma anche adolescenti e sarebbe opportuno un interesse più sostanziale da parte della politica. L’intervento degli operatori e le scelte stesse dei Tribunali per i minorenni dovrebbero essere esenti da moralismi, credenze e luoghi comuni, ponendo al centro l’esclusivo interesse del minore. Accade, purtroppo non di rado, che molti casi restino aperti per via delle lungaggini burocratiche, perdendo quel tempo prezioso per la crescita di un bambino e per gli stessi genitori, che a volte non trovano risposte in progetti mirati e personalizzati, volti alla loro cura. Accanto alle famiglie multiproblematiche, troviamo quelle coppie che invece scelgono di ricorrere all’adozione per realizzare il desiderio di un figlio. Anche per questi casi sono necessari quegli investimenti che permettano di seguire e sostenere nel tempo le famiglie adottive e quelle affidatarie, essendo la crescita di questi minori estremamente complessa, per le pregresse storie di vita molto difficili.

Attivare precocemente strumenti preventivi, permette di evitare la cronicizzazione di situazioni a rischio. Sulla base di tutte queste considerazioni, riteniamo che sia molto importante la conoscenza della fisiologia del primo anno di vita, in relazione alle dinamiche genitoriali. Come pediatri e pedagogisti capita di incontrare diverse tipologie di genitori; quelli più a rischio sono coloro che mostrano un atteggiamento freddo e lucido nella relazione con il neonato, provando una forte insofferenza al pianto. In questi casi, infatti, non si tratta di difficoltà dovute allo “stress”, ma di importanti segnali che un professionista deve saper riconoscere per attivare un monitoraggio. Ne consegue che è importante che gli operatori siano formati all’attenzione di quella che chiamiamo “intenzionalità non cosciente” di chi accudisce il bambino.

Storicamente il bambino è sempre stato considerato corpo, senza pensiero. Ora sappiamo che tutto ciò è falso. Il bambino, presenta un pensiero per immagini, non c’è scissione mente-corpo. Le immagini si formano, per la sensibilità del corpo, che sente gli affetti dell’ambiente e delle persone presenti. Il vissuto corporeo verrà trasformato in immagini mentali, più o meno evolutive, a seconda degli affetti vissuti. Ne consegue che non possiamo accontentarci della sola “Capacità d’intendere e volere” che caratterizza l’aspetto razionale del genitore, che si muove con destrezza e lucidità nella quotidiana gestione del bambino. Se usassimo solo il criterio dell’intendere e volere, non potremmo accorgerci di questa tipologia di genitore, detto “schizoide” che, perfetto nel comportamento e nel linguaggio, si occupa in modo eccellente dei bisogni del bambino e ci racconta anche di quanto sia solerte nell’individuare le sue esigenze. Poi, a ben vedere, il suo comportamento e il suo linguaggio sono, in realtà, scollegati dai suoi affetti. Questi, sono casi che mettono in gran difficoltà l’operatore che, pur accorgendosi di un ambiente umano anaffettivo, non può tutelare il bambino, perché ha di fronte un genitore apparentemente perfetto. Non c’è coscienza di malattia, né richiesta di cura. Il bambino inizia ad ammalarsi ed il pediatra può intervenire, per lo più, quando si manifestano sintomi evidenti nel comportamento: bambini con gravi ritardi di linguaggio articolato, oppositivi, con gravi difficoltà di attenzione, di memoria e di comunicazione. Spesso, il mondo scientifico non ci viene in aiuto.  Le diagnosi fanno poco riferimento alle dinamiche non coscienti, dando grande spazio agli aspetti cognitivi-comportamentali, considerando quelli relazionali, secondari alle difficoltà di gestione di bambini difficili. Spesso, questi bambini iniziano dei percorsi riabilitativi del ”sintomo” e gli operatori, se ben formati anche sulla realtà non cosciente, assumono un assetto relazionale, che fa recuperare al bambino un’affettività che diventa la matrice della loro guarigione. Gli affetti non sono distrutti, sono spariti e possono tornare, recuperando in vitalità. Se ne evince l’importanza della formazione degli operatori, che non solo intervengono sulla relazione con il bambino, proponendosi come adulto affettivo, ma possono incidere anche sul genitore che a volte, realizza la possibilità di un altro tipo di rapporto con il proprio figlio. Per questo è molto importante creare una rete di professionisti che sappiano organizzare una prevenzione primaria, che possa individuare precocemente quelle tipologie di genitori a rischio, che potrebbero intraprendere un percorso di cura anche prima della nascita del bambino.

Non è da sottovalutare, che gli eventi più efferati si manifestano proprio nei primi mesi di vita, in situazioni spesso di solitudine, o in contesti dove non si è attenti all’intenzionalità non cosciente di chi si occupa del bambino, in un ambiente culturale che spesso ha perso la sensibilità del corpo. Qualora se ne abbia sentore è comunque molto difficile fare l’invio nei centri competenti, salvo che non succeda qualcosa di eclatante. Intanto si cerca di allertare la famiglia, ma a volte non è sufficiente, come è successo nel caso che ha suscitato le nostre riflessioni. È necessario che uno psichiatra si prenda la responsabilità di una diagnosi basata sulla “Intenzionalità non cosciente”. Il problema è che spesso né l’operatore, né la famiglia, né la rete delle amicizie è consapevole del rischio che la coppia genitore-bambino sta correndo. Mi riferisco alla coppia genitore-bambino e non solo alla madre-bambino, perché negli ultimi anni anche i papà sono diventati centrali nell’accudimento dei figli.

Diverso è il caso di un genitore che ha un assetto interno di tipo “depressivo”. Anche in questi casi c’è una realtà di anaffettività, per una realtà non cosciente malata, ma c’è più possibilità che il genitore riconosca il proprio stato di malattia e quindi può essere più facile l’invio ai servizi di prima accoglienza. Investire sugli operatori della prima infanzia con una formazione che fa riferimento ad un pensiero nuovo, basato sulla realtà non cosciente, permette di non incorrere in errori diagnostici e avviare genitori e figli verso un percorso di cura possibile.

 

Picasso, maternità (1905). Fonte: Wikipedia