La maternità rappresenta una questione delicata, intoccabile che difficilmente viene messa in discussione, come se esistesse un unico modo per viverla. Eppure, i fatti dimostrano il contrario. Non tutte le donne rispondono alla nascita di un figlio con affetto ed umanità, alcune affette da psicopatologie possono arrivare a compiere un crimine agghiacciante come l’infanticidio. Ne abbiamo parlato con Camilla Ghedini, autrice del libro Interruzioni (Girardi) da cui è tratto l’omonimo spettacolo, in scena al teatro Lo Spazio di Roma dal 15 al 18 febbraio, con l’adattamento teatrale e la regia di Paolo Vanacore e Carmen Di Marzo sul palco.
Interruzioni Le crepe dell’anima è uno spettacolo che ruota intorno al tema dell’infanticidio, ponendo al centro la figura della madre assassina. Perché portare in scena tematiche così dure, difficili e drammatiche?
Perché l’unico modo per evitare le tragedie è parlarne, abbattendo stereotipi e tabù. Come giornalista ho sempre notato che il tema dell’infanticidio è poco sondato e rapidamente liquidato, con giudizi tranchant e superficiali sulle responsabili, bollate come madri assassine, senza alcuna tentativo di ricerca o approfondimento. Io invece ho ritenuto importante indagare le cause per cui alcune donne arrivano a compiere un atto così terribile ed estremo, definito per l’appunto “contro natura”, studiando e leggendo tutto il materiale a disposizione. Penso che affrontare scientificamente un fenomeno, capirne le cause sia il primo passo per arginarlo.
In questo caso qual è stato il passo più rilevante?
La diffusione della conoscenza della sindrome post partum, per cui, dopo la gravidanza, anziché sviluppare sentimenti di affettività, emerge un vuoto, legato alla depressione e non solo. Troppo spesso anche di fronte ai primi sintomi ci si trincera dietro un muro di vergogna, sensi di colpa e sofferenza.
Come si pone nei confronti della sua protagonista e delle altre donne autrici di questi delitti?
Senza giudizi e generalizzazioni, banalizzazioni inutili e controproducenti che impediscono ogni possibilità di cambiamento. Che, invece, può nascere partendo da un’analisi scientifica, focalizzata sulla ricerca delle cause all’origine della malattia mentale che può essere affrontata con la terapia. Il male e la cattiveria sono incurabili. La malattia si può curare e prevenire.
Qual è il messaggio che vuole lanciare?
Intendo diffondere la consapevolezza che la maternità può non essere sempre un momento felice. Può essere difficile, debilitante, disorientante. Può suscitare sentimenti negativi che non sono una vergogna. Il dialogo e il confronto in questi casi sono preziosi perché trincersi nel proprio dolore è pericoloso, peggiora le cose creando una distorsione della realtà da cui poi potrebbe essere difficile tornare indietro.
Penso che affrontare questi argomenti in modo approfondito sia essenziale per evitare le tragedie o quantomeno ridurle. Come ci sono i corsi preparto, sarebbe importante preparare le donne al Post Partum. La conoscenza è conditio sine-qua-non per prevenire determinate dinamiche e per individuare le prime manifestazioni di un eventuale disturbo psichico, perché è chiaro che chi arriva a compiere un gesto del genere, possa aver dato dei segnali di disagio in precedenza.
Com’è avvenuta la trasposizione da racconto a pièce teatrale?
Direi passando da una dimensione individuale ad una riflessione corale, a cui, oltre a Paolo Vanacore e Carmen Di Marzo, che avevo avuto conosciuto e apprezzato tempo fa, ha contribuito Alessandra Bramante, psicologa, autrice di Madri assassine, con cui collaboro da anni. La sua partecipazione è stata essenziale per evitare ingenuità interpretative e costruire un lavoro rigoroso.