Ci ha folgorato un’immagine: un giovane inginocchiato di fronte alla polizia schierata, con il pugno alzato. È un simbolo. Di fronte a un muro di scudi quel ragazzo si piega ma con ancora nell’animo, forse, l’arma più potente: la speranza. È solo un fotogramma di un’intensa sequenza di episodi di protesta collettiva che, a Torino, in occasione del G7 sull’Ambiente, hanno mantenuto alta l’attenzione su temi di stretta attualità come la crisi climatica e la guerra in Medio Oriente.
Sono stati giorni caldi sotto la Mole con l’arrivo di ministri e delegazioni di Canada, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito, Ue e Stati Uniti per il forum sulle politiche energetiche. Il bilancio dei disordini che si sono verificati è stato di tre poliziotti feriti e cinque studenti contusi. Sui social i manifestanti hanno pubblicato un video in cui uno di loro sarebbe anche rimasto colpito al volto da un lacrimogeno. Cinquanta gli antagonisti identificati e poi denunciati per danneggiamento, violenza a pubblico ufficiale aggravata e lancio di oggetti.
I primi ad alzare la voce, domenica 28 aprile, sono stati i gruppi ambientalisti e i No Tav che fuori dalla Reggia di Venaria hanno dato fuoco alle foto di Giorgia Meloni, oltre a quella del premier britannico Riski Sunak e del presidente Usa Joe Biden. Gli striscioni che hanno accompagnato i loro passi recitavano: “I Governi del G7 distruggono il pianeta di tutti. Stacchiamo la spina di questo sistema”, “Ecoresistenza per cambiare rotta” ed ancora “Lottiamo contro le vostre guerre a difesa delle nostre terre. Voi 7 noi 99%”. Il corteo dopo aver percorso alcune vie cittadine, si era diretto verso la tangenziale: i manifestanti hanno occupato la carreggiata in direzione Torino bloccando il traffico verso il capoluogo piemontese per una decina di minuti.
Poi, il giorno seguente, i protagonisti della protesta sono stati i collettivi studenteschi insieme al centro sociale Askatasuna. Giovani, giovanissimi scesi per le strade scandendo la parola “lotta” per oltre due ore. Per loro la mobilitazione dal basso può ancora servire quantomeno ad ottenere ascolto. Sono stati circa un centinaio i giovani, uniti dagli stessi ideali, che si sono radunati sotto la Mole per protestare, ribadire che tornare nelle piazze, bloccare le vie cittadine, occupare le sedi universitarie, prendere la parola al megafono a difesa delle sorti del pianeta e del proprio futuro di cittadini e di lavoratori è fondamentale. Per loro mettersi in marcia sull’asfalto è il paradigma per esprimere “totale disaccordo sui sussidi pubblici ai combustibili fossili, fonti di energia altamente inquinanti”. Politiche che definiscono “ingiustificabili vista l’emergenza climatica, energetica e sociale in corso”.
Chiedono interventi più concreti e tempestivi per contrastare la crisi climatica, ma anche diritti uguali per tutti e lo stop immediato, in Palestina, di quello che definiscono genocidio. Non accettano una transazione ecologica “imposta dall’alto”.
“Vogliamo che chiunque riconosca questa assurdità – spiegano gli attivisti – unisca la propria voce alla nostra, per pretendere giustizia dal nostro Governo, un utilizzo dei soldi pubblici che segua l’interesse della cittadinanza e un reimpiego di tali ingenti capitali in opere produttive e lungimiranti per la tutela del futuro di chi abita oggi questo paese e di chi lo abiterà domani”.
Per Penelope, 19 anni, studentessa in Psicologia l’impegno principale deve essere quello di sradicare i vecchi modelli che hanno alimentato privilegi, disuguaglianze, prevaricazioni riproponendo la partecipazione collettiva e l’attività assembleare. Pietro di anni ne ha 23, fa parte del Collettivo universitario autonomo, punta il dito contro una classe politica che continua imperterrita a disporre investimenti che vanno esclusivamente a vantaggio di un’élite condannando i giovani alla precarietà e all’ingiustizia sociale.
In testa al corteo partito da Palazzo Nuovo, sede delle facoltà umanistiche, nel tardo pomeriggio di lunedì 29 aprile, primo giorno della riunione dei leader politici alla Reggia di Venaria, campeggiava lo striscione con tanto di bandiera palestinese e la scritta “Contro il G7 di guerre e devastazione. Fuori i Ministri e zone rosse da Torino”. Sul volto dei manifestanti c’era rabbia, sdegno, sfiducia ma anche la determinazione di chi ha deciso che non abbasserà la testa.
Al grido “Free Free Palestine” hanno marciato con l’obiettivo di raggiungere Palazzo Madama, location della serata di gala e gli alberghi cittadini che ospitavano le delegazioni. Il corteo però non è riuscito ad arrivare a destinazione. I manifestanti sono stati respinti qualche metro più avanti da un fitto cordone di forze dell’ordine schierate in tenuta antisommossa. È stato solo il primo faccia a faccia tra la polizia e gli attivisti che hanno indietreggiato, si sono ricomposti e hanno tentano a più riprese di raggiungere altre strade del centro con l’intento di avvicinarsi il più possibile alle zone transennate. Si è andato avanti per quasi due ore in un crescendo di tensione. La polizia ha usato prima gli scudi per respingere il corteo poi gli idranti e i lacrimogeni, infine anche qualche manganellata per rispondere ai colpi di bastone. I giovani hanno continuato a rivendicare con ostinazione il proprio diritto di manifestare contro “scelte ipocrite di una finta transizione ecologica mentre è in atto un’escalation bellica generalizzata”.
“La nostra non è una passeggiata” hanno urlato. Una giovanissima studentessa ha spiegato che “è fondamentale schierarsi in questa fase storica per non rimanere schiacciati sotto narrazioni che arrivano dai poteri forti. Attraverso l’attivazione dal basso, ad esempio, nei mesi scorsi si sono aggiunte altre voci sulla guerra genocida di Israele contro la Palestina mentre inizialmente si riportava solo quella sionista”. Mobilitarsi ha portato anche a risultati concreti – hanno ricordato gli studenti – come la rescissione degli accordi Maeci nell’Università di Torino. “Siamo convinti – ha ribadito la ragazza – che con la lotta si possano cambiare le cose, il fatto che tanta gente vuole scendere in piazza è già un traguardo. Da qui si può partire per costruire anche qualcosa dopo”.
I contestatori non hanno trovato varchi per raggiungere la linea rossa ma sono riusciti sicuramente ad attirare l’attenzione dei media e quindi dell’opinione pubblica.
Durante l’ultimo dietrofront, prima che il corteo di dissolvesse davanti a Palazzo Nuovo – da dove era partito – qualcuno si è fermato a strappare i manifesti elettorali affissi sui muri dell’edifico del liceo classico. Un’altra immagine emblematica a distanza di un mese dalla chiamata alle urne per eleggere i nuovi deputati del Parlamento europeo.
Tra le varie azioni di protesta anche quelle di un gruppo di attivisti di Extinction Rebellion. Sul tetto della sede universitaria di Biologia – che si affaccia su piazza Carlo Emanuele II, meglio conosciuta come piazza Carlina – hanno esposto uno striscione con la scritta “The king is nake, G7 is a scam” (“Il re è nudo, il G7 è una presa in giro”)
Le foto sono di Rosita Mercatante