C’è una generazione di giovani e giovanissimi che si alza in piedi in difesa dei diritti umani e per la giustizia sociale. Dagli Usa all'Italia, al Medio Oriente, manifestano le proprie idee per costruire un mondo diverso, più giusto, per costruire orizzonti di pace. Lo fanno in maniera informata, nobile, disinteressata, pur sapendo di giocarsi il futuro

Qualcosa di assolutamente nuovo sta accadendo. Sta crescendo un nuovo movimento di studenti e ed anche di docenti, con loro solidali, che propone un radicale cambio di prospettiva, rispetto all’ineluttabilità della guerra, che chiede a gran voce il cessate il fuoco a Gaza e uno stop alle ricerche universitarie a fini militari.
C’è una generazione di giovani e giovanissimi che si alza in piedi in difesa dei diritti umani e per la giustizia sociale. Non accadeva da molti anni. Quei giovani che durante la pandemia sono stati descritti come untori, menefreghisti, oppure – e al contempo – accusati di essersi chiusi in un solipsistico mondo web, oggi sono la parte della società più sensibile, più attiva e presente contro la guerra e l’inumana carneficina che si sta consumando in Palestina. Protetti da mascherine, per sfuggire alle schedature, ma anche indossandole simbolicamente per dire di sé, di una generazione cresciuta durante la crisi della pandemia, danno vita a pacifici accampamenti di protesta in Italia, negli Usa, come in tante università del Medio Oriente. Manifestano le proprie idee per costruire un mondo diverso, più giusto, per costruire orizzonti di pace. Lo fanno in maniera informata, nobile, disinteressata, pur sapendo di giocarsi il futuro. Nelle università Usa, perlopiù private, rischiano l’espulsione.
In Germania addirittura di essere denunciati e accusati di antisemitismo, per iniziativa dei cristiani della Cdu, mentre i neonazisti dell’Afd organizzano ronde anti manifestanti.
Peggior sorte ancora tocca ai loro colleghi che osano manifestare in Egitto, lì finiscono direttamente in carcere, dove non c’è stato di diritto, non c’è alcuna considerazione dei diritti umani. Se l’intellighenzia araba nei decenni passati era stata accolta in Paesi come la Germania, ora deve stare bene attenta a quel che dice e a non esporsi per la Palestina per evitare di essere espulsa. Il clima è pesantissimo. Anche intellettuali di chiara fama, dalla filosofa Nancy Fraser all’antropologo Ghassan Hagen, dopo essersi pronunciati per la pace in Palestina, si sono visti cancellare incarichi e contratti. Per non dire delle infamanti accuse di antisemitismo che sono fioccate sul movimento degli studenti, in Italia e in altri Paesi europei, inopinatamente, senza prove. È accaduto anche nei campus Usa dove ben il 30 per cento dei manifestanti che chiede il cessate il fuoco a Gaza è di origine ebraiche. Ma il potere delle lobbies che sovvenzionano le università private americane è molto forte, tanto quanto lo è stata la repressione. Fa ancor più male che avvenga in Paesi governati dal centrosinistra come la Germania guidata dal cancelliere Scholz. Ce l’aspettavamo nella Francia “liberale” guidata da Macron, che insegue la destra di Le Pen. Ce lo aspettavamo e lo abbiamo visto nell’Italia di Meloni, dove le manganellate contro i ragazzi che manifestano pacificamente sono all’ordine del giorno. Ma come raccontiamo in questa storia di copertina gli studenti non si fanno intimorire, non accettano questo mondo alla rovescia in cui chi ha il potere e censura il dissenso fa la vittima. E rilanciano la loro proposta democratica, e nonviolenta, per lottare contro la violenza di governo, palese o meno. Speriamo che dopo aver intrapreso questa loro coraggiosa iniziativa votino alle Europee per far contare la propria voce. Sappiamo che perlopiù non si sentono rappresentati dai partiti in corsa per le elezioni ma si sentono europei e sono cosmopoliti. Su questo numero di Left (e non solo su questo) diamo loro voce. Left sta decisamente dalla parte dei ragazzi. Anche con interventi di docenti e ricercatori che ne sostengono la battaglia e che intervengono nello sfoglio (da Caridi a Della Porta, da Tedesco a Pelletti).
Lo facciamo anche con un ampio dossier (con approfondimenti di Verducci, Cerchia, Alghemo e altri) dedicato al socialista e parlamentare Giacomo Matteotti, che il 10 giugno 1924 fu ucciso dai sicari di Mussolini. Non aveva ancora 40 anni. Accadeva esattamente 100 anni fa.
Fu una data spartiacque della nostra storia in cui la violenza criminale, strutturale (ed eversiva), del fascismo si palesò definitivamente. Crollò lo Stato liberale, sonnambulo e connivente. Il fascismo, da reazione violenta alle conquiste del movimento operaio, diventò potere totalitario.
Matteotti aveva già visto arrivare tutto questo in quel laboratorio politico che era stato il suo Polesine, terra di leghe contadine e rosse dove da politico socialista riformista (ma scevro da compromessi) aveva lavorato per l’emancipazione e il riscatto delle masse popolari. In Polesine già dal 1919 al 1921 si erano moltiplicate le aggressioni ai capi cooperativa e agli amministratori locali, come allo stesso Matteotti. Lui lo aveva denunciato pubblicamente in scritti che avevano avuto risonanza anche all’estero. E lo denunciò in Parlamento, affrontando a viso aperto Mussolini. E anche per l’eco internazionale che aveva avuto il suo j’accuse fu ucciso. Questi in estrema sintesi i fatti, a tutti noti. Da giornalista penso però che oggi vadano ripetuti ad ogni occasione visto il momento di strisciante revisionismo che stiamo vivendo, con una presidente del Consiglio e un presidente del Senato che non si professano antifascisti, benché abbiano giurato sulla Costituzione. Mentre la presidente dei Conservatori europei e presidente del Consiglio, nonché segretaria del partito che conserva la fiamma del Msi nel simbolo, continua a indicare il repubblichino e propalatore delle leggi razziali Almirante come padre nobile. Gli effetti li vediamo: in Italia il dissenso viene silenziato e criminalizzato. Dalla censura di Scurati alle querele temerarie contro docenti universitari, giornalisti e scrittori come Luciano Canfora e Tomaso Montanari. Ma non un dito viene alzato contro i tassisti – storico bacino di voti della destra estrema – che lanciano bombe carta e fumogeni nel centro di Roma per protestare contro il rischio che il loro monopolio venga intaccato.
E soprattutto avanzano provvedimenti dal segno autoritario come il premierato, che insieme all’autonomia differenziata, sovverte gli equilibri costituzionali, degradando la democrazia a capocrazia e cancellando i diritti universali sanciti dalla Carta. Con questo non sto dicendo che è tornato il fascismo di Mussolini. In quella forma fu sconfitto nel 1945 dai partigiani antifascisti, con un alto prezzo di sangue. Ma i segnali di allarme democratico non mancano. Urge una seria riflessione ed è quello che vi proponiamo. Discutiamone.