Il 45% degli italiani si oppone al progetto del governo di autonomia differenziata. Lo rileva una ricerca dell'Istituto Noto. L’autonomia differenziata della maggioranza - e gli italiani dimostrano di esserne ben consci - serve essenzialmente agli obsoleti interessi di quella Lega che ha dimenticato di essere nata federalista europea. Ma che è anche fuori tempo massimo rispetto alla realtà

Quando i costituenti inserirono, nell’articolo 5 della Costituzione – che appartiene alla Prima parte che fissa i princìpi fondamentali – la promozione dell’autonomia amministrativa locale, lo fecero in un saldo quadro di unicità e indivisibilità dello Stato.
L’istituto demoscopico Noto Sondaggi, ha diffuso ieri una rilevazione su come gli italiani percepiscono la legislazione sulla cosiddetta autonomia differenziata, per l’approvazione della quale la maggioranza di governo avanza a passo spedito nei lavori parlamentari in questi giorni. Progetto che, va detto, serve, prima che agli interessi del Paese, a tenere insieme la maggioranza stessa in uno scambio tra la bandiera leghista dell’autonomia regionale rafforzata (e differenziata) e il cosiddetto premierato, che la presidente del Consiglio promuove come “la madre di tutte le riforme”.
Fatto sta che, spiega l’Istituto Noto, alla domanda “favorevole o contrario”, il 45% degli italiani si oppone al progetto del Governo. Solo il 35% è favorevole. E solo al Nord il 42% dice “sì”. La maggioranza per il “no” viene al 50% dal Centro e al 57 dal Sud. I cittadini della parte più ricca vedono di buon occhio la possibilità di gestire più risorse a livello regionale. Per le Regioni più povere la valutazione è opposta.
Ma è sull’affermazione del governo che l’autonomia differenziata ridurrebbe le disparità delle Regioni che emerge un dato davvero interessante: solo il 16% dei cittadini del Nord la condivide, contro l’8% del Sud. Sul totale, il dato di coloro che fanno proprio il concetto è, nell’insieme del Paese, solo l’11%. Insomma, gli italiani non ci credono. Dunque, il governo si è perso l’unità del Paese affermata dall’indivisibilità richiamata nell’articolo 5 della Carta.
Ora, cerchiamo di guardare alla realtà concreta che ci circonda. Il federalismo, dunque. Siamo nel XXI Secolo e il sistema federale nel quale l’Italia è inscritta è quello dell’Unione europea. Le politiche fondamentali, la stessa raccolta di risorse comuni e la loro distribuzione – pensiamo, tra tanti esempi, al solo PNRR – sono radicati nell’Unione. Pensiamo alle politiche per il lavoro. Come si possono ancora cristallizzare a livello regionale le politiche attive di un Paese che deve muoversi nelle pieghe del mercato globale? E così tutte le altre, dall’istruzione e formazione alla sanità.
Dunque, l’autonomia differenziata della maggioranza – e gli italiani dimostrano di esserne ben consci – serve essenzialmente agli obsoleti interessi di bandiera di quella Lega che ha dimenticato di essere nata federalista europea. Ma che è anche fuori tempo massimo rispetto alla realtà.

 

In apertura illustrazione di Fabio Magnasciutti

L’autore: Cesare Damiano, già sindacalista e parlamentare in tre legislature, è stato ministro del Lavoro ed è presidente dell’associazione Lavoro & Welfare