Giovanni Mori, bresciano, classe 1993, è un ingegnere energetico. È un attivista per il clima, divulgatore scientifico, ed è stato portavoce di Fridays for Future Italia nel 2022. Nelle recenti elezioni europee si è candidato nella lista Alleanza Verdi Sinistra (Avs) da indipendente nel collegio nord-ovest, arrivando a sfiorare le ventimila preferenze con una campagna assolutamente low-cost, ma risultando il primo dei non eletti.
In molti Paesi membri Ue l’estrema destra ha spopolato e le sinistre sono crollate. In Italia c’è però uno scenario un po’ diverso, il Pd ha avuto un buon risultato, mentre Avs è arrivata a raggiungere inaspettatamente quasi il 7%. Come mai?
In Italia abbiamo già normalizzato l’estrema destra due anni fa, anticipando i tempi, mentre negli altri Paesi europei le formazioni nazionaliste hanno avuto un exploit solo adesso. Fratelli d’Italia è un partito post-fascista che deriva direttamente dal Movimento sociale italiano (Msi) – il suo simbolo contiene la storica fiamma – e che ci governa esprimendo il presidente del Consiglio dei ministri. Quello a cui stiamo assistendo è forse una parziale risposta allo spostamento netto del baricentro politico: si è andati molto a destra, e adesso molte persone cercano una sinistra più chiara. Alla fine in Italia cento anni fa era successa una cosa simile, in un clima molto polarizzato e in cui i liberali erano l’ago della bilancia che decisero in quel caso di aprire la strada alle forze fasciste. Adesso molti liberali si trovano un po’ schiacciati, almeno in Italia.
Da candidato alle europee hai avuto molte preferenze, frutto del tuo impegno ambientalista?
La mia candidatura da indipendente in Alleanza Verdi e sinistra ha pescato tanto nel mondo della militanza per il clima: molte persone sono state entusiaste di poter farsi rappresentare finalmente da un attivista in un’elezione di tale peso. Questa cosa non succedeva da anni. Inoltre, mettere al centro i temi della giustizia sociale e ambientale con alcuni dei protagonisti dei movimenti che da anni sfilavano per le piazze e per le strade chiedendole a gran voce, ha permesso di ottenere un buon consenso e di poter ambire alla rappresentazione politica di tutta questa galassia. Anche se bisogna ricordare una cosa importante.
Che cosa?
Ha votato meno della metà delle persone, quindi la nostra rappresentanza del 7% è in realtà meno del 3,5% reale. Ci sono ancora praterie in cui andare, composte da persone incredibilmente demotivate dalla politica, alcune irreversibilmente mentre altre per fortuna no. Questo è il primo il primo punto da cui partire. Bene che la sinistra non solo abbia tenuto, ma abbia addirittura rilanciato. Ma c’è ancora tanto lavoro da fare.
I movimenti sociali sono degnamente rappresentati, a livello politico, nel nostro Paese?
Io penso che non siano minimamente rappresentati in questo momento, e nemmeno le loro istanze. È necessaria una rappresentanza in grado di dialogare alla pari e con dignità con la politica, che sappia raccogliere le istanze dal basso ed eventualmente farle proprie. I movimenti sono composti da giovani e giovanissimi, mentre l’età media della politica è molto elevata, e questo crea un grosso divario e molte incomprensioni. Faccio un esempio: io sono un ingegnere energetico, vivo in prima persona le problematiche della transizione ecologica, ma solo grazie all’esperienza nei FFF ho capito l’importanza delle questioni sociali. Per molti di noi è impossibile scindere la questione ambientale con quella sociale, i “Verdi” da “Sinistra”.
Insomma, non vi sentite pienamente rappresentati?
Quel poco di rappresentanza che c’è non è ancora riuscita a intercettare i linguaggi, le forme e le domande di questi movimenti. È stato molto frustrante, da portavoce di FFF al tempo, interfacciarsi e dialogare con alcune forze politiche, in alcuni casi molto diverse tra loro, che provavano a raccogliere tali istanze. Mi è sempre sembrato molto chiaro in quei dialoghi che non avessero la cassetta degli attrezzi per capire quanto rapidamente debba cambiare il mondo.
È per questo che ti sei candidato?
La mia candidatura deriva da quella frustrazione, dal fatto che non vedevo politici che, sia in buona fede sia soprattutto in cattiva fede, potessero portare un linguaggio che sapesse parlare a questo pubblico ampio e interpretare le istanze di cambiamento.
Il nostro governo spesso ha attaccato il mondo dei movimenti per la giustizia climatica, e sembra non aver molto a cuore la questione dei cambiamenti climatici. Per fare un esempio, durante l’approvazione della direttiva Case green avvenuta lo scorso aprile in Consiglio Ue, l’Italia è stato uno dei due Paesi – insieme all’Ungheria di Viktor Orbán – a bocciare il provvedimento.
Pensi che il nostro esecutivo sia ideologicamente “negazionista”?
Oramai essere negazionisti e negare tout court la crisi climatica è essere fuori dalla storia, oramai è evidente a tutti che una forte accelerazione dei cambiamenti climatici è in corso. A mio parere, siamo allo step successivo: si ammette l’esistenza della crisi climatica ma si avanzano dubbi circa la sua origine antropica, si additano i cinesi come principali colpevoli, si punta molto sulla disinformazione e sul semplicismo. Alcuni scienziati e attivisti hanno coniato i termini “inattivismo” o “dilazionismo”. Certo, quello che conta è che alcune forze politiche sminuiscano gli effetti e soprattutto le cause fossili dei cambiamenti climatici. In molti altri Stati europei il tema dell’emergenza climatica è, a livello mediatico e di dibattito pubblico molto presente – dai Paesi Bassi alla Germania, dalla Francia al Regno Unito, dove persino il conservatore Boris Johnson da sindaco di Londra aveva promosso il bike sharing e da primo ministro parlava apertamente di apocalisse climatica. In Italia il livello del dibattito è imbarazzante.
Siamo messi davvero male?
La destra italiana è non solo negazionista, ma ostacola attivamente la transizione energetica ed ecologica: prova a bloccare le energie rinnovabili, in Europa aveva tentato di boicottare la Direttiva sulla restaurazione della natura si oppone alle Case green. I sovranisti nostrani sono ideologici, si oppongono a priori ai provvedimenti green, lo sappiamo bene. È davvero tremendo che l’Italia, come Paese fondatore della Ue, tratti “al ribasso” su questi temi cruciali. Senza contare che questo atteggiamento ci isola completamente dal resto dell’Unione europea e del mondo: così facendo ci autoemarginiamo da ogni filiera industriale all’avanguardia che conterà nei prossimi anni nell’ambito della transizione ecologica, dall’automotive al settore delle costruzioni. E in questo modo si stanno facendo dei danni che noi vedremo nei prossimi decenni.
Abbiamo parlato di costruzioni. La direttiva Case green prescrive di decarbonizzare il nostro parco edilizio al 2050. Secondo te è fattibile?
C’è il tema degli edifici di nuova costruzione, che dovranno già essere Nzeb – quasi a zero emissioni. C’è poi quello più importante della deep renovation del costruito. Attualmente stiamo rigenerando il parco edilizio ad un tasso dell’1% annuo. Numeri alla mano, si capisce bene che, se dobbiamo arrivare al 100% entro il 2050, dovremmo circa triplicare questo indice. Il Superbonus ha accelerato molto: in un anno abbiamo riqualificato il 5% degli edifici. Allo stesso tempo il 110% ha accelerato la transizione energetica del comparto, contribuendo al raggiungimento di circa un terzo dei target Ue al 2030. Tuttavia, non ha portato i benefici sperati perché è stato indirizzato a tutte le fasce sociali mentre invece avrebbe dovuto essere diretto verso determinati soggetti, come le famiglie che vivono in condizione di povertà energetica in condomini vetusti dove c’è molta dispersione energetica.
Ok, ma è fattibile?
È difficile ma non impossibile. Noi in Italia abbiamo una spesa energetica di diverse decine di miliardi all’anno, la maggior parte delle quali servono a scaldare gli edifici con il gas. Accelerare e portare a termine la transizione del comparto degli edifici significa, in termini macroeconomici, spostare soldi dai beni che paghiamo al Qatar o all’Algeria a servizi di gente che lavora in Italia. È ovvio che serve un piano di investimenti senza precedenti – nell’ambito dell’emergenza climatica serve in qualsiasi settore, dall’installazione delle rinnovabili alla trasformazione della mobilità sostenibile. È fattibile farlo ma bisogna cominciare. E serve iniziare con i più deboli, così da far capire concretamente che la transizione non è solo necessaria, ma anche desiderabile in termini economici e in linea con i principi di equità e giustizia sociale, perché permette alle famiglie precarie di abbattere i costi in bolletta.
La prossima legislatura europea su che cosa si dovrà concentrare, a tuo avviso?
Nella scorsa legislatura il Green deal è stato delineato, un po’ timidamente, mentre ora va finanziato. Stiamo parlando di un piano di transizione varato da una maggioranza di centro-destra, più o meno, nel senso che la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, proviene dal Partito popolare, che ben rappresenta il settore delle imprese. Prendiamo come esempio la Politica agricola comune (Pac): gli obiettivi della riforma erano sensati, si andava nella direzione giusta della riduzione dell’impatto ambientale del settore agricolo. Nonostante questo, non c’è stato un trasferimento di risorse rispetto a come i soldi venivano spesi nel bilancio precedente, non c’è stato un cambio di paradigma economico. I soldi sono pochi, il bilancio europeo è solo l’1% del Pil degli Stati membri, non abbiamo un vero e proprio bilancio comune.
Secondo te un bilancio comune aiuterebbe la transizione?
Avere un bilancio e un debito in comune tra tutti i Paesi membri Ue dovrebbe essere uno degli obiettivi della nuova legislatura. Questa è una condizione imprescindibile se vogliamo raggiungere la neutralità climatica ben prima del 2050, perché i settori su cui intervenire sono molteplici: mantenere una manodopera e posti di lavoro di qualità, supportare la transizione ecologica del settore industriale, sviluppare la mobilità elettrica, puntare sulla deep renovation degli edifici, decarbonizzare il settore energetico con le energie rinnovabili. Bisogna dare gambe al Green deal, anziché fare marcia indietro come stava facendo la Commissione von der Leyen nell’ultima fase. Le persone hanno ragione ad essere scettiche nei confronti della transizione, molte persone hanno paura, ma a ragione: è sbagliato ricondurre tutto a “non ho i soldi per comprare l’auto elettrica nuova o per riqualificare la casa” ma servono sicurezze, e mostrare che la transizione significa anche altro, ma che soprattutto non verrà a danneggiare te, persona già fragile.
La scorsa legislatura che si è appena chiusa, è stata diciamo molto prolifica sotto il punto di vista ambientale – tra le altre cose, come ricordavi tu, è stato improntato il Green deal. Secondo te, i movimenti come i FFF quanto hanno contribuito all’adozione del Green deal e degli obiettivi al 2030 al 2050?
I movimenti ambientali ispirati da Greta Thunberg sono stati fondamentali. Penso a Ursula von der Leyen, estratta dal cilindro nel 2019, senza un programma definito né con una maggioranza chiara ha provato a trasformare la legislatura iniziata nel 2019 in una “legislatura ambientale”. Certo, c’è stata la pandemia che ha occupato molto l’azione del Parlamento e della Commissione, ma non dimentichiamo che il Green deal è stato varato a gennaio 2020: la Commissione e la sua presidente hanno ammesso che il tema del quinquennio era il clima. A fine 2019 c’era molta voglia di scendere in piazza per il clima, eravamo molto convinti – almeno noi attivisti – ma questo interesse lo sentivo anche fuori. Ho scritto un articolo sul Fatto quotidiano che diceva: ci servono un miliardo di attivisti per il clima. Certo, era una iperbole, ma ero abbastanza convinto che saremmo stati in grado di contagiare tutti. Probabilmente senza le manifestazioni per il clima non avremmo visto il Green deal europeo così come lo conosciamo, c’è stata una spinta incredibile da parte della società civile. E il Gde è il piano più grande di transizione che c’è al mondo, per quanto incompleto, insufficiente e tante altre cose.
Tanti spin doctor dicono che l’ambiente non porta voti. Secondo te è vero?
Abbiamo incassato quasi ventimila preferenze basandoci molto sul tema della giustizia climatica. Poi, a livello macro, prendere ventimila voti da quelli che convinci è ben diverso da diventare partito di maggioranza. Finora però si è sbagliato completamente la narrazione sul tema: bisogna enfatizzare quanto questo momento sia un’occasione unica per trasformare il mondo in un posto migliore. Io per raccontare la transizione ecologica racconto sempre di quanto ogni settore possa migliorare, in positivo. C’è una metafora secondo me efficace.
Sarebbe?
A me piace molto andare in montagna. Ma se dovessi convincerti a venire con me, cosa sarebbe meglio fare? La prima opzione è dirti: ci metteremo quattro ore, sarà faticosissimo, oltre ogni immaginazione, e rischi pure di farti molto male. E senza nemmeno raccontarti l’obiettivo. Ma si può vedere la cosa sotto un altro punto di vista.
Quale?
Serve mostrare dove possiamo arrivare: posso dire che l’escursione sarà, certamente, nel complesso faticosa, ma che la affronteremo insieme, che non lasciamo indietro nessuno e che una volta arrivati, potremo vedere un panorama splendido e capiremo che ne sarà valsa la pena. Puntare il focus sul percorso collettivo e soprattutto sui risultati è diverso no? Tradotto: pagheremo meno la bolletta, ci emancipiamo dai combustibili fossili e dai dittatori che ce li vendono, possiamo contribuire a costruire un modello di economia migliore, rigenerativo, che combatte le diseguaglianze e si avvale di un mercato del lavoro più umano e di qualità. Se la transizione la raccontiamo così, la gente si convincerà sulla sua necessità e desiderabilità. Ecco, gli spin doctor dovrebbero narrare il cambio di paradigma in questo modo, anziché porre l‘accento su quanto sia faticoso il percorso.
Ultima domanda: il Green deal potrà essere annacquato dopo l’exploit delle destre estreme in Francia e altri Paesi?
Il Green Deal è a rischio, anche se, molto probabilmente, la maggioranza sarà la stessa di prima. I liberali e soprattutto i popolari di centrodestra saranno tentati di annacquarlo per recuperare consenso. Proprio per questo bisogna agire ora e enfatizzare quanto la transizione sia desiderabile dal punto di vista della giustizia sociale, cosa che finora non è stata quasi mai fatta. Per esempio, bisogna ribadire alle persone che non voglio obbligarle a spendere soldi per sostituire l’automobile a benzina con una elettrica. L’obiettivo è aiutare ad abbattere i costi di mantenimento dell’auto. Definitivamente, serve una tassa sui grandi patrimoni che porti risorse da investire sulla transizione in Europa. Anche perché, come sostiene il report Banking on Climate Chaos, dal 2016 al 2023 le 60 più grandi banche al mondo hanno elargito al settore fossile circa 6.900 miliardi di dollari. La politica ha il dovere di capire dove quei soldi invece devono essere indirizzati per non distruggere il pianeta, per non uccidere le persone. Bisogna cambiare tutto, e non c’è troppo tempo.