In occasione della Festa d’estate della Fondazione Massimo Fagioli ETS che si svolge il 6 luglio a Roma (dalle 17 alla Città dell’Altra economia, largo Dino Frisullo) pubblichiamo l’intervento di Gabriele Cericola sui Dialoghi sulla salute mentale “AppassionataMente”, una delle iniziative della Fondazione.
L’idea di AppassionataMente nasce dalla collaborazione tra il Segretariato italiano studenti di medicina (Sism) e la Fondazione Massimo Fagioli. Il progetto consiste in una serie di incontri tenuti in università su tematiche di salute mentale (depressione, sostanze d’abuso, Dca, etc) con lo scopo di abolire lo stigma che ancora persiste riguardo queste tematiche e, soprattutto, di fornire in materia punti di riferimento saldi a giovani e giovanissimi. Ogni incontro risulta costituito da circa un’ora di presentazione del tema principale da parte degli psicoterapeuti facenti parte della Fondazione, a cui fa seguito circa un’ora e mezza di domande da parte del pubblico studentesco (e non), arrivando a instaurare così un vero e proprio dialogo con i professionisti presenti.
Il primum movens è stato la mia partecipazione ad eventi studenteschi di associazioni esterne al Sism in cui si cercava di fare lo screening di varie patologie fisiche alle studentesse dell’Ateneo in occasione della Giornata contro la violenza sulle donne e della Festa della donna. In questi contesti, ancora studente a circa metà corso, ho partecipato poco alle visite per la paura di essere ancora poco preparato e mi sono concentrato piuttosto dove pensavo di poter essere realmente utile: mi sono messo a fare anamnesi. Le partecipanti erano tantissime, noi aspiranti medici davvero pochi in confronto, quindi mi sono ritrovato a fare centinaia di anamnesi. La cosa bella che mi porto da quell’esperienza è stato il contatto umano con tutte queste persone, che nonostante fossero pressoché circa tutte della mia età, in quel contesto si aprivano a parlarmi di loro, delle loro abitudini, di cose per loro intime senza alcuna remora. Non so, forse si fidavano del camice bianco che indossavamo, per quanto ancora fossimo in erba. Parlando con loro però, oltre queste belle sensazioni, emergevano anche tante cose meno positive: ragazze che non mangiavano, che dormivano poco, che si trascuravano, che si lamentavano di attacchi di panico o che venivano con un’ansia talmente forte da temere che la propria tachicardia fosse segno prodromo di un infarto, etc. Insomma, qualsiasi persona con una non totale cecità si sarebbe accorta che c’era qualcosa di grosso sotto, non solo nell’entità dei singoli casi, ma soprattutto nei numeri: erano davvero tantissime le persone a lamentarsi di qualcosa che non andava. Alcune non se ne rendevano conto e pensavano che i loro disagi fossero del tutto normali, altre erano consapevoli di stare male ma dicevano che non sapevano a chi rivolgersi o di non avere i soldi per pagare un professionista. Non so quante volte ho sentito “O pago l’affitto o pago lo psicologo, se sto male me lo tengo ma non posso dormire per strada o smettere di studiare”. Alcune avevano tentato la strada del counseling psicologico universitario, il quale però offrendo gratuitamente solo un massimo di circa 4 incontri avevano lasciato il tempo che trovava (sempre ricordando che il counseling è diverso da un approccio terapeutico e che quindi, pure avendo più incontri a disposizione, può avere al massimo un ruolo di screening nel contesto di patologie mentali, cliniche o subcliniche che siano). Avendo vissuto queste dinamiche più volte nel tempo ed avendo visto che non era una tendenza casuale e temporanea mi sono reso conto che non si poteva continuare a restare passivi di fronte a tutto questo disagio. Bisognava fare qualcosa, senza se e senza ma. In attesa di capire cosa poter fare concretamente ho conosciuto per coincidenza la realtà del Sism, fatta di persone fantastiche nonché di studenti di medicina ognuno con un proprio spirito etico e un forte desiderio di aiutare le persone in difficoltà. Dopo un periodo di doverosa conoscenza e cementazione dei nostri rapporti, ho capito di poter trovare nei miei compagni una possibile risposta al quesito precedente. Ci siamo quindi confrontati all’interno della nostra Sede Locale e siamo convenuti sul fatto che, viste le analogie tra la nostra Carta dei Valori e gli obiettivi dichiarati dalla Fondazione, fosse una buona idea chiedere una collaborazione a quest’ultima. Così siamo andati io e una mia collega, un po’ spaesati, a chiedere di parlare con dei membri della Fondazione. In questo contesto abbiamo avuto il piacere di conoscere Marcella e Francesca Fagioli, Chiara Aliquò e Federico Fiori Nastro, che sentendo quanto avevamo da raccontare e la nostra richiesta di collaborazione hanno mostrato entusiasmo e grande disponibilità fin da subito, proponendoci di ragionare insieme su un progetto per porre un argine alla situazione in attesa di un intervento più strutturale e definitivo da proporre in un secondo momento. Da lì è iniziata lentamente ad emergere l’idea che poi si sarebbe concretizzata in AppasionataMente.
I primi sviluppi…
Il progetto, a fronte di un primo semestre di “sperimentazione” in Sapienza ha ottenuto notevole successo: la media di prenotazioni è stata di circa 280 iscritti a incontro e anche i feedback dei partecipanti sono stati molto positivi, non solo in termini di ringraziamenti ma anche e soprattutto di partecipazione. Ogni incontro ha sforato il tempo previsto a causa delle numerose domande e si è dovuto chiudere a causa della necessità di abbandonare l’aula per chiusura della stessa. Inoltre il progetto è stato presentato al congresso nazionale del Sism, dove, durante l’Activities Fair (ovvero lo show room interno di tutti i progetti tenuti dalle singole sedi in territorio nazionale) ha vinto due premi: Miglior progetto e Progetto più originale. Da questo evento numerose sedi si sono dichiarate interessate a portare il progetto anche nei propri atenei d’appartenenza, per un totale di 16 sedi.
…e gli ultimi
Dopo un altro semestre di incontri solo in Sapienza e poche altre sedi (Sapienza Sant’Andrea e Università di Novara) si è finalmente riusciti a portare il progetto attivamente in tutte le altre a partire da marzo 2024. Le università coinvolte sono state, oltre quelle già citate, quelle delle città di Chieti, Ferrara, Firenze, Messina, Parma, Pavia, Siena, Torino e Trieste. Purtroppo, alcune delle 16 sedi che si erano dette originariamente interessate si sono ritirate in corso d’opera a causa di alcune controversie interne al Sism o, in altri casi, per difficoltà tecniche degli atenei. In compenso, alcune nuove sedi, si sono già dichiarate interessate a entrare a far parte del progetto a partire dal prossimo semestre. Quello che è certo è che il progetto è stato accolto con entusiasmo dai partecipanti di tutta Italia, i quali hanno caldamente auspicato un rinnovo della collaborazione.
Gli argomenti trattati
Ad oggi le tematiche dei singoli incontri sono state diverse e variegate. Eccone un elenco schematico: Violenza contro le donne, ex DCA (Disturbi del comportamento alimentare), Depressione e autolesionismo, Ansia e attacchi di panico, Sostanze d’abuso, Schizofrenia, Fenomeno degli Hikikomori, Gioco d’azzardo e gaming patologico, Psicoterapia, Dismorfofobia. Per i prossimi semestri sono in cantiere nuovi incontri, di cui almeno uno sarà molto probabilmente dedicato al tema della Sessualità.
Considerazioni sul progetto
La prima cosa da fare, arrivando a tirare le somme fino ad oggi, è ringraziare non solo la Fondazione come ente astratto, ma dichiaratamente tutti i membri che hanno partecipato attivamente alla realizzazione del progetto. Grazie ai coordinatori, agli psicoterapeuti nonché relatori, grazie a tutti coloro che hanno agito da dietro le quinte per la promozione del progetto e in tutti gli aspetti più tecnici. Grazie ai partecipanti. Anzi, a questi ultimi un grazie speciale: la vostra presenza e partecipazione attiva ha dato un senso a tutto il lavoro svolto. Vedervi emozionati, entusiasti, stupiti, immensamente partecipi non ha avuto prezzo. È stato bello vedervi essere presenti anche per un solo incontro o tornare più volte e non perdervene mai uno. È stato toccante vedere ogni tanto qualcuno alzare la mano anche solo per dire “grazie mille perché quello che avete raccontato è proprio quello che è successo a me” o “sono felice che qualcuno abbia la possibilità di non sentirsi solo come mi sono sentito io quando ci sono passato”. Voi siete la speranza, voi siete il motivo per cui vale la pena non arrendersi al cinismo, al disfattismo della nostra generazione, alla normalizzazione e accettazione dei rapporti deludenti. Siete la prova tangibile che ci sono persone che vogliono cambiare se stesse, che cercano con coraggio nella cura della propria malattia la capacità di amare e farsi amare, di non farsi del male da soli e di non farne agli altri, di affrontare il proprio inverno per donare agli altri un’altra estate (per citare in modo parafrasato alcuni scritti di M. Fagioli). Infatti, come scrissi un po’ di tempo fa in un post Instagram sul mio profilo, proprio sotto la registrazione dell’intervento riguardo la presentazione di AppassionataMente al Salone del libro di Torino: “Noi viviamo per rapportarci con chi abbiamo accanto, di chiunque si tratti. Viviamo di sguardi, momenti, parole, sensazioni. Sarebbe bello arrivare un giorno a vedere ciascuno vivere i propri rapporti nella massima libertà, senza alcun limite se non la voce della propria sensibilità. Qui nasce il senso della psichiatria e della salute mentale: una lotta per garantire a tutti questa libertà di nascita, di scelta, di sensibilità, l’unica guerra giusta. Perché, come dicevo nel video, la malattia mentale non è come un calcolo ai reni o qualsiasi altra malattia del corpo, la malattia mentale tormenta chi la ha, ma anche tutte le persone accanto. La malattia mentale strappa ai cuori la gioia, alle menti la serenità e costringe le persone a dirsi addio per non soccombere. Restare accanto a una persona malata di mente vuol dire morire internamente (se non anche esteriormente) sotto la cecità della sua vista offuscata, abbandonare quella persona spesso vuol dire però strapparsi un pezzo di cuore. Per chi ha avuto la fortuna di non vivere mai su di sé queste sensazioni, basti pensare agli esempi di Watanabe e Naoko in “Norwegian Wood” o alla canzone “Song to say goodbye” dei Placebo (di cui anche il video è perfettamente esplicativo quanto commovente). L’unico modo per non soffrire e non far soffrire è curarsi con coraggio, onestà, senso di responsabilità, amore. Perché la psichiatria e la psicoterapia, nella misura in cui sono strumenti che possono lasciar le persone libere di amarsi, sono esse stesse una forma d’amore. L’obiettivo, ad oggi dunque, è perseguire l’ideale di arrivare per tutti finalmente a un “Amore senza bugie”. Per cui per tutti i partecipanti, passati e futuri, non posso che avvolgervi a distanza con un caldo abbraccio e augurarvi di raccogliere quanto prima i frutti del vostro coraggio, a presto.
L’autore: Gabriele Cericola è medico, Sism Roma La Sapienza