Allo Sperimentale Belli di Spoleto fino al 25 agosto è in scena Anita di Gilberto Cappelli su libretto suo e di Roberta Sindoni. E’ un evento importante poiché nella penuria di nuove proposte di teatro musicale quella di Cappelli fa ben sperare.
Il suo lavoro è dedicato ad una immagine femminile simbolo della nostra storia, la compagna di Garibaldi e ci coinvolge in una riflessione sul senso civico dell’impegno e aperto di vivere. Cappelli ha una solida formazione intellettuale e compositiva ed ora la sua ricerca – con questo atto unico in otto scene per soprano, baritono, coro ed ensemble di 18 strumentisti – pone l’interesse sull’interazione fra voce e orchestra. Fra la figura femminile e la massa dei suoni d’orchestra. Cappelli è un compositore civile nel vero senso della parola, uno dei pochi compositori sociali. Dalla sua opera emerge proprio quel suo grande desiderio di dare rappresentazione all’animo umano attraverso la visione pittorica e musicale e provare a ricordare che il senso della vita è probabilmente sta proprio nell’essere disposti di batterci per un ideale.
Cappelli, partiamo dall’aspetto pittorico. E’ come se usasse due segni molto sintonici, quello grafico e quello musicale. Da dove nasce tutto questo?
Qua a Spoleto ho portato miei quadri su Anita e sulla sua vita: sono 6 dipinti che parlano di lei. A me la pittura è sempre piaciuta, nel caso specifico di Anita sono ritratti, non mi interessa tanto l’aspetto esterno quanto quello interiore: l’interiorità del soggetto ritratto. Pertanto la mia è una pittura di profondità dove quello che occorre arriva per semplificare agli occhi di chi guarda quello che vedo io.
Lei tratta la materia pittorica come se avesse di fronte il legno dal quale poi trae l’interiorità attraverso un segno. Una pittura realizzata come se scolpisse il legno attraverso la pittura.
Cerco di far emergere attraverso i volti soprattutto quello che la persona mi ispira. Faccio pittura figurativa, cerco di dare forma alle immagini, il fondo è nero e i colori che metto sopra mi permettono di far emergere l’interiorità attraverso l’insieme dei colori e delle forme. E poi correggo, se non funziona ci ritorno, finché non ho raggiunto quel livello di rappresentazione di quello che c’è dietro. Ho fatto diverse mostre con i ritratti di donne seguendo questa ricerca.
La sua pittura è vicina alla sua musica. Con un segno romantico ma anche espressionista?
Si è vero, a me piaceva molto il romanticismo, poi ho mantenuto questa passione per la scoperta pittorica e ho scelto questo modo espressionista di esprimere le mie idee.
La sua sembra una forma malinconica di romanticismo…
C’è molta malinconia nella mia ricerca sulla pittura, anche nella musica, cerco di scavare, di migliorare finché non sono soddisfatto, alla ricerca di una immagine poetica, finché il suono non rappresenta quello che sento. Per me poi è molto importante come la musica viene eseguita e i musicisti che suonano Anita diretti Angius raggiungono un importante livello espressivo che poetico.
Possiamo dire che lei cerca di comunicare attraverso i piani espressivi del colore, dal pianissimo al fortissimo spesso senza continuità?
E’ questo il senso romantico, una specie di “clangore”. Con l’orchestra e con Angius non abbiamo avuto problemi, alla prima prova tutto era chiaro e i musicisti hanno capito subito quello che avevo in mente.
Si comprende che la sua è una scrittura essenziale, una scrittura di suono. Usa tanto gli accordi, non sono complicati da eseguire, ma da far sentire?
Sono anni che lavoro su questo aspetto, sulle note lunghe, su i crescendo e mi sento in difficoltà a non “farli fare” a tutti gli strumenti come vorrei. Non è facile per me riuscire a far comprendere l’espressività del suono nel proprio colore.
Da dove arriva tutto ciò?
Da un’insegnante bravissimo di armonia, poi da Manzoni, Nono, Clementi, però ho avuto un insegnate di composizione e armonia perfetto. Giordano Noferini che è stato un insegnante fantastico di armonia, e me le ha fatta amare. Per amare l’armonia, bisogna conoscere i corali di Bach e il contrappunto armonico. Ho fatto un lavoro su questi corali per tanti anni, dopo lo studio delle armonie di Wagner, decisive per il passaggio. Bach e Wagner pensavano al suono, è il suono l’essenza che poi non è la struttura che si può chiudere nelle note. Con questo modo di scrivere Bach vicino alla composizione moderna risulta anche lui estremamente moderno. Si basa tutto sul suono. Lo farà anche Wagner ma in un altro modo.
La scrittura occidentale deriva dal gregoriano, la scrittura è suono. C’è un’elevazione. La sua non è più un’opera ma diventa qualcosa di altro, di superiore.
E’ quello che dicevo prima provo a scendere negli abissi dell’anima. Ho lavorato molto sul suono e poi sono intervenute anche le armonie di Schoenberg, Berg e Mahler. E un eccellente armonista che è Richard Strauss quello degli ultimi lieder.
Puccini che li conosceva tutti , ha fatto una somma di tutti questi riferimenti. Così come ha creato la struttura dell’opera, una struttura di vero teatro rivolta al femminile. Che ne pensa?
Infatti in Puccini, che amo tantissimo, il tema della donna è fondamentale, portatrice di tanti valori dal punto di vista musicale.
La figura di Anita è un motivo che le serve per parlare di quella che è la sua idea del femminile, insomma perché Anita?
Perché quando ero piccolo, penso intorno ai tre anni, mio babbo prima di addormentarmi mi raccontava le storie, le storie delle persone che lui amava tantissimo, diverse persone. E mi raccontava anche la storia di Anita. Quindi io porto con me questi ricordi che fin da piccolo mi hanno toccato molto: ho sempre avuto una venerazione per Anita. In Romagna è molto forte il suo ricordo. Ogni anno il 4 di agosto c’è la commemorazione alla fattoria Guiccio, dove lei è morta e fu sepolta. È talmente amata in Romagna che nell’anniversario – nonostante sia trascorso tanto tempo – nella sala delle conferenze della fattoria c’è sempre il pienone.Dove è morta lei hanno rifatto lo stesso letto, comunque la camera dove è morta non è stata più abitata da nessuno, l’hanno tenuta per lei. Una specie di santa laica.
Dalla sua lettura di Anita quello che esce è l’aspetto non di una santa, ma di una donna, molto umana.
Ho cercato di mettere il punto sulla sua malattia, su quello che la ucciderà. Non penso che sia morta di malaria, semmai sarà stato qualcosa che ha mangiato o che ha bevuto. Fin da bambino non mi tornava questa storia, ciò che sappiamo è che arrivò praticamente morente alla fattoria, fu una cosa rapida. In Romagna Anita è molto amata. Io ne ero innamorato e ho cercato di fare uno scavo umano sulla storia e su tutta la sua vicenda come quando ricorda i suoi bambini e capisce che non li vedrà più. Nonostante i momenti più dolorosi è una bellissima storia d’amore fra un uomo e una donna. Io e mia moglie che ha scritto il libretto, siamo andati alla fattoria il 4 agosto ed è stato un momento importante. Certo, ci sono tante donne che hanno fatto tanto, perfino imprigionate, che hanno subito violenze per i loro ideali e di cui ci siamo dimenticati. Ma penso che Anita sia una figura simbolo che ricorda tutte. Quando siamo arrivati alla fattoria, sia io che mia moglie ci siamo entrambi commossi. Siamo entrati nella sua camera, è una cosa che mi ha colpito profondamente. Poi scendendo alla sera c’era questa piccola rappresentazione con un’attrice che recitava delle parti della vita di Anita e mentre ascoltavo lo spettacolo mi è venuta l’idea. Cercavo un soggetto e ho pensato che potesse essere quello più adatto. Anita.